Vi Ordino di Andare in Psicoterapia
Il Giudice, recependo le conclusioni del suo Consulente, “ordina”, “prescrive”, “impone” una psicoterapia e/o un sostegno genitoriale ad entrambi i genitori con l’obiettivo di far cambiare idea ad uno o all’altro genitore o ad entrambi in nome della tutela del loro figlio minore. In pratica, “andate in psicoterapia, così cambiate, litigate meno e vostro figlio starà meglio”.
Solo cinque domande:
#1 si può essere obbligati ad intraprendere una psicoterapia se non si è motivati e senza consenso informato?
#2 si può imporre una psicoterapia con il fine di far cambiare idea ad una persona, dietro minaccia (se non cambi idea, potresti perdere l’affidamento del figlio)?
#3 il soggetto maggiorenne è libero di autodeterminarsi e di scegliere liberamente se fare una psicoterapia e, in caso, di scegliersi il professionista, se pubblico o privato, l’approccio ecc.?
#4 lo psicoterapeuta può scegliere liberamente di non accettare la coppia genitoriale o di sospendere la psicoterapia dopo qualche incontro? Può il professionista farsi un’idea diversa da quella del Tribunale, ad esempio ritenendo i genitori “non trattabili”?
#5 e se non sono trattabili, è “responsabilità” dello Psicoterapeuta, dell’approccio psicoterapico o della coppia scarsamente motivata? Il Giudice (o i Servizi Sociali) lo vuole sapere.
Ma si può imporre un trattamento sanitario ad un soggetto adulto?
Decisamente no. Lo spieghiamo in un articolo, accettato per la pubblicazione su ilFamiliarista.it di prossima pubblicazione, a cura di Camerini G. B., Pingitore M., Lopez G.: Si può prescrivere una psicoterapia alla coppia genitoriale?
In attesa dell’articolo, di seguito vengono riportati gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi che sostanzialmente impediscono l’obbligo di una psicoterapia/un sostegno psicologico nei confronti di soggetti adulti.
Ma iniziamo con la Costituzione, art. 32 co. 2:
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.Anche recentemente la Cassazione ha confermato tale diniego.
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Ecco gli articoli del Codice Deontologico:
Articolo 4
Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e l’istituzione presso cui lo psicologo opera, quest’ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è professionalmente tenuto.In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell’intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell’intervento stesso.
Articolo 6
Lo psicologo accetta unicamente condizioni di lavoro che non compromettano la sua autonomia professionale ed il rispetto delle norme del presente codice, e, in assenza di tali condizioni, informa il proprio Ordine. Lo psicologo salvaguarda la propria autonomia nella scelta dei metodi, delle tecniche e degli strumenti psicologici, nonché della loro utilizzazione; è perciò responsabile della loro applicazione ed uso, dei risultati, delle valutazioni ed interpretazioni che ne ricava. Nella collaborazione con professionisti di altre discipline esercita la piena autonomia professionale nel rispetto delle altrui competenze.
Articolo 11
Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti.
Articolo 18
In ogni contesto professionale lo psicologo deve adoperarsi affinché sia il più possibile rispettata la libertà di scelta, da parte del cliente e/o del paziente, del professionista cui rivolgersi.
Articolo 24
Lo psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale, fornisce all’individuo, al gruppo, all’istituzione o alla comunità, siano essi utenti o committenti, informazioni adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni, le finalità e le modalità delle stesse, nonché circa il grado e i limiti giuridici della riservatezza. Pertanto, opera in modo che chi ne ha diritto possa esprimere un consenso informato. Se la prestazione professionale ha carattere di continuità nel tempo, dovrà esserne indicata, ove possibile, la prevedibile durata.
Articolo 27
Lo psicologo valuta ed eventualmente propone l’interruzione del rapporto terapeutico quando constata che il paziente non trae alcun beneficio dalla cura e non è ragionevolmente prevedibile che ne trarrà dal proseguimento della cura stessa. Se richiesto, fornisce al paziente le informazioni necessarie a ricercare altri e più adatti interventi.
Articolo 39
Lo psicologo presenta in modo corretto ed accurato la propria formazione, esperienza e competenza. Riconosce quale suo dovere quello di aiutare il pubblico e gli utenti a sviluppare in modo libero e consapevole giudizi, opinioni e scelte.