mercoledì 26 luglio 2017
#dipartimentomamme
#DipartimentoMamme
Lesson N.1
Un figlio non è "tuo" perché esce dal tuo corpo.
Lesson N.2
I figli hanno due genitori:
padre e madre, anche dopo una separazione.
Lesson N.3
Siate Mamme non solo perché suona la sveglia biologica
Lesson N.4
Per essere mamma non basta trovare un uomo di passaggio.
Perché sarebbe solo una forma di egoismo.
Lesson N.5
Una brava mamma rispetta il padre e viceversa.
Lesson N.6
Una donna che vuole diventare mamma si accompagna a uomini di valore, solo così tutelerà i figli. E viceversa.
Lesson N.7
Una mamma che pretende di fare anche da padre ha alle spalle la propria responsabilità di aver fatto scelta inadeguate per il proprio figlio.
Lesson N.8
Una donna che diventa mamma non deve perdere la propria dignità ne abdicare ad altri il proprio futuro.
Lesson N.9
Una vera mamma non nega il padre ai propri figli nè ne ostacola la frequentazione.
Lesson N.10
.......
Fonte: papà separati liguria - Roberto Castelli
https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=1450069658405152&id=117955388283259
lunedì 12 giugno 2017
Se anche ANSA falsa gli allarmi sul cosiddetto femminicidio....
Se anche ANSA falsa gli allarmi sul cosiddetto femminicidio.... - di Fabio Nestola
Fonte: http://www.adiantum.it/public/3797-se-anche-ansa-falsa-gli-allarmi-sul-cosiddetto-femminicidio....---di-fabio-nestola.asp
La costruzione di un falso allarme femminicidio ora si avvale anche del prezioso contributo ANSA.
La più autorevole agenzia di stampa, infatti, tuona “quattro femminicidi nei primi due giorni di maggio”.
(Roma, Cagliari, Genova, Salerno)
includendo nell’elenco 3 episodi che nulla hanno a che vedere col
femminicidio così come definito dalle associazioni promotrici del
neologismo e della fattispecie autonoma di reato.
Il femminicidio infatti è stato sempre
propagandato come l’uccisione di una donna in-quanto-donna, quindi a
causa della prevaricazione maschilista che non accetta il no di una
donna considerata possesso dell’uomo, la gelosia morbosa che fa dire
all’assassino “o mia o di nessuno”.
Lo slogan imperante è “il mostro ha le
chiavi di casa”, a sottolineare che il femminicidio è sempre legato a
rapporti interrotti o mai iniziati, infatti gli autori dovrebbero essere
mariti o ex mariti, conviventi o ex, fidanzati o ex, spasimanti
rifiutati.
Inoltre una pressione accessoria del
movimento che ha voluto il reato di femminicidio è quella verso la
stampa: nei titoli non più delitto del troppo amore, non più raptus, non più follia
ma solo femminicidio come espressione di un problema culturale radicato
nell’intera popolazione maschile, che esita nella discriminazione di
genere, nel dominio sulla donna, nell’impossibilità di accettare un
rifiuto e quindi nel femminicidio come eliminazione della persona che
non si può possedere.
Ma allora che c’entrano i casi di Cagliari, Salerno, Genova citati dall’ANSA insieme a quello di Roma?
Uno in effetti è riconducibile alla
mancata accettazione della fine di un rapporto, sembra che la vittima
volesse lasciare il convivente e questi si è trasformato in assassino.
Gli altri tre sono invece guerre condominiali o rapine finite nel sangue.
la lite in un parcheggio finisce con una donna accoltellata. L’ex marito che voleva tornasse con lui? Uno spasimante rifiutato?
No, tra vittima ed assassino non c’era alcun legame sentimentale, è una discussione legata a problemi di vicinato.
Dov’è l’elemento o mia o di nessuno?
la vittima ha 81 anni, il presunto
assassino 34. Sono vicini di casa ed il 34enne - tossicodipendente -
intendeva rapinare l’anziana con la complicità dello spacciatore dal
quale si rifornisce.
Prima ha ammesso l’omicidio, ora
accusa lo spacciatore, in ogni caso nessuno dei due complici ha legami
affettivi presenti o passati con la vittima, volevano la pensione.
Dov’è l’elemento gelosia morbosa?
notizia stringata, si sa solo che la
vittima ha 44 anni ed è italiana. I carabinieri stanno conducendo le
indagini, ancora non c’è un colpevole ma l’ANSA già è certa che si
tratti di femminicidio, deve essere stata uccisa dall’ex marito, dal
fidanzato, dal convivente.
Invece è una tragica rapina ad una prostituta, ilmattino.it fornisce particolari che l’ANSA non ha.
Forse un altro tossicodipendente, forse un balordo in cerca di vittime facili, in ogni caso dov’è l’elemento discriminazione di genere?
Faccia chiarezza l’ANSA, riconosca che
qualsiasi vittima femminile per l’agenzia è femminicidio, pur di far
lievitare artificialmente l’allarme.
Anche la sola vittima di Roma, l’unica
realmente riconducibile ad un movente di genere, deve suscitare
l’indignazione di cittadine e cittadini onesti che mai risolverebbero
col sangue i fallimenti delle proprie relazioni.
Ma allora perché gonfiare i dati, inserendo in soli due giorni il 75% di falsità?
Una preghiera a tutti i drogati,
rapinatori, automobilisti ubriachi e delinquenti di ogni ordine e grado:
se proprio vi capita di ammazzare qualcuno per cortesia fate in modo
che siano solo anziani, disabili, bambini ed adulti di genere maschile,
altrimenti chissà l’ANSA cosa scrive.
FN
sabato 6 maggio 2017
Vi ordino di andare in psicoterapia (M.Pingitore)
https://www.psicologiagiuridica.eu/vi-ordino-andare-psicoterapia/2017/04/24/
Troppo spesso i CTU – Consulenti Tecnici di Ufficio – “prescrivono”,
nelle conclusioni peritali, percorsi di psicoterapia e/o sostegno
psicologico alla coppia genitoriale conflittuale nell’ambito di una
separazione giudiziale.
Il Giudice, recependo le conclusioni del suo Consulente, “ordina”, “prescrive”, “impone” una psicoterapia e/o un sostegno genitoriale ad entrambi i genitori con l’obiettivo di far cambiare idea ad uno o all’altro genitore o ad entrambi in nome della tutela del loro figlio minore. In pratica, “andate in psicoterapia, così cambiate, litigate meno e vostro figlio starà meglio”.
Solo cinque domande:
#1 si può essere obbligati ad intraprendere una psicoterapia se non si è motivati e senza consenso informato?
#2 si può imporre una psicoterapia con il fine di far cambiare idea ad una persona, dietro minaccia (se non cambi idea, potresti perdere l’affidamento del figlio)?
#3 il soggetto maggiorenne è libero di autodeterminarsi e di scegliere liberamente se fare una psicoterapia e, in caso, di scegliersi il professionista, se pubblico o privato, l’approccio ecc.?
#4 lo psicoterapeuta può scegliere liberamente di non accettare la coppia genitoriale o di sospendere la psicoterapia dopo qualche incontro? Può il professionista farsi un’idea diversa da quella del Tribunale, ad esempio ritenendo i genitori “non trattabili”?
#5 e se non sono trattabili, è “responsabilità” dello Psicoterapeuta, dell’approccio psicoterapico o della coppia scarsamente motivata? Il Giudice (o i Servizi Sociali) lo vuole sapere.
Ma si può imporre un trattamento sanitario ad un soggetto adulto?
Decisamente no. Lo spieghiamo in un articolo, accettato per la pubblicazione su ilFamiliarista.it di prossima pubblicazione, a cura di Camerini G. B., Pingitore M., Lopez G.: Si può prescrivere una psicoterapia alla coppia genitoriale?
In attesa dell’articolo, di seguito vengono riportati gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi che sostanzialmente impediscono l’obbligo di una psicoterapia/un sostegno psicologico nei confronti di soggetti adulti.
Ma iniziamo con la Costituzione, art. 32 co. 2:
Maggiori informazioni tramite questo tag.
Ecco gli articoli del Codice Deontologico:
Articolo 4
Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e l’istituzione presso cui lo psicologo opera, quest’ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è professionalmente tenuto.In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell’intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell’intervento stesso.
Articolo 6
Lo psicologo accetta unicamente condizioni di lavoro che non compromettano la sua autonomia professionale ed il rispetto delle norme del presente codice, e, in assenza di tali condizioni, informa il proprio Ordine. Lo psicologo salvaguarda la propria autonomia nella scelta dei metodi, delle tecniche e degli strumenti psicologici, nonché della loro utilizzazione; è perciò responsabile della loro applicazione ed uso, dei risultati, delle valutazioni ed interpretazioni che ne ricava. Nella collaborazione con professionisti di altre discipline esercita la piena autonomia professionale nel rispetto delle altrui competenze.
Articolo 11
Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti.
Articolo 18
In ogni contesto professionale lo psicologo deve adoperarsi affinché sia il più possibile rispettata la libertà di scelta, da parte del cliente e/o del paziente, del professionista cui rivolgersi.
Articolo 24
Lo psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale, fornisce all’individuo, al gruppo, all’istituzione o alla comunità, siano essi utenti o committenti, informazioni adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni, le finalità e le modalità delle stesse, nonché circa il grado e i limiti giuridici della riservatezza. Pertanto, opera in modo che chi ne ha diritto possa esprimere un consenso informato. Se la prestazione professionale ha carattere di continuità nel tempo, dovrà esserne indicata, ove possibile, la prevedibile durata.
Articolo 27
Lo psicologo valuta ed eventualmente propone l’interruzione del rapporto terapeutico quando constata che il paziente non trae alcun beneficio dalla cura e non è ragionevolmente prevedibile che ne trarrà dal proseguimento della cura stessa. Se richiesto, fornisce al paziente le informazioni necessarie a ricercare altri e più adatti interventi.
Articolo 39
Lo psicologo presenta in modo corretto ed accurato la propria formazione, esperienza e competenza. Riconosce quale suo dovere quello di aiutare il pubblico e gli utenti a sviluppare in modo libero e consapevole giudizi, opinioni e scelte.
Vi Ordino di Andare in Psicoterapia
Il Giudice, recependo le conclusioni del suo Consulente, “ordina”, “prescrive”, “impone” una psicoterapia e/o un sostegno genitoriale ad entrambi i genitori con l’obiettivo di far cambiare idea ad uno o all’altro genitore o ad entrambi in nome della tutela del loro figlio minore. In pratica, “andate in psicoterapia, così cambiate, litigate meno e vostro figlio starà meglio”.
Solo cinque domande:
#1 si può essere obbligati ad intraprendere una psicoterapia se non si è motivati e senza consenso informato?
#2 si può imporre una psicoterapia con il fine di far cambiare idea ad una persona, dietro minaccia (se non cambi idea, potresti perdere l’affidamento del figlio)?
#3 il soggetto maggiorenne è libero di autodeterminarsi e di scegliere liberamente se fare una psicoterapia e, in caso, di scegliersi il professionista, se pubblico o privato, l’approccio ecc.?
#4 lo psicoterapeuta può scegliere liberamente di non accettare la coppia genitoriale o di sospendere la psicoterapia dopo qualche incontro? Può il professionista farsi un’idea diversa da quella del Tribunale, ad esempio ritenendo i genitori “non trattabili”?
#5 e se non sono trattabili, è “responsabilità” dello Psicoterapeuta, dell’approccio psicoterapico o della coppia scarsamente motivata? Il Giudice (o i Servizi Sociali) lo vuole sapere.
Ma si può imporre un trattamento sanitario ad un soggetto adulto?
Decisamente no. Lo spieghiamo in un articolo, accettato per la pubblicazione su ilFamiliarista.it di prossima pubblicazione, a cura di Camerini G. B., Pingitore M., Lopez G.: Si può prescrivere una psicoterapia alla coppia genitoriale?
In attesa dell’articolo, di seguito vengono riportati gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi che sostanzialmente impediscono l’obbligo di una psicoterapia/un sostegno psicologico nei confronti di soggetti adulti.
Ma iniziamo con la Costituzione, art. 32 co. 2:
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.Anche recentemente la Cassazione ha confermato tale diniego.
Maggiori informazioni tramite questo tag.
Ecco gli articoli del Codice Deontologico:
Articolo 4
Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e l’istituzione presso cui lo psicologo opera, quest’ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è professionalmente tenuto.In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell’intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell’intervento stesso.
Articolo 6
Lo psicologo accetta unicamente condizioni di lavoro che non compromettano la sua autonomia professionale ed il rispetto delle norme del presente codice, e, in assenza di tali condizioni, informa il proprio Ordine. Lo psicologo salvaguarda la propria autonomia nella scelta dei metodi, delle tecniche e degli strumenti psicologici, nonché della loro utilizzazione; è perciò responsabile della loro applicazione ed uso, dei risultati, delle valutazioni ed interpretazioni che ne ricava. Nella collaborazione con professionisti di altre discipline esercita la piena autonomia professionale nel rispetto delle altrui competenze.
Articolo 11
Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti.
Articolo 18
In ogni contesto professionale lo psicologo deve adoperarsi affinché sia il più possibile rispettata la libertà di scelta, da parte del cliente e/o del paziente, del professionista cui rivolgersi.
Articolo 24
Lo psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale, fornisce all’individuo, al gruppo, all’istituzione o alla comunità, siano essi utenti o committenti, informazioni adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni, le finalità e le modalità delle stesse, nonché circa il grado e i limiti giuridici della riservatezza. Pertanto, opera in modo che chi ne ha diritto possa esprimere un consenso informato. Se la prestazione professionale ha carattere di continuità nel tempo, dovrà esserne indicata, ove possibile, la prevedibile durata.
Articolo 27
Lo psicologo valuta ed eventualmente propone l’interruzione del rapporto terapeutico quando constata che il paziente non trae alcun beneficio dalla cura e non è ragionevolmente prevedibile che ne trarrà dal proseguimento della cura stessa. Se richiesto, fornisce al paziente le informazioni necessarie a ricercare altri e più adatti interventi.
Articolo 39
Lo psicologo presenta in modo corretto ed accurato la propria formazione, esperienza e competenza. Riconosce quale suo dovere quello di aiutare il pubblico e gli utenti a sviluppare in modo libero e consapevole giudizi, opinioni e scelte.
La psicoterapia (nella realtà). (M.Pingitore)
https://www.psicologiagiuridica.eu/consenso-informato-obbligato-alla-psicoterapia-le-coppie-genitoriali/2017/04/30/
Cassazione: stop ai "percorsi" psicoteraputici
Prescrizioni ai genitori di percorsi terapeutici individuali e di coppia dopo la sentenza della Corte di Cassazione n. 13506/2015
Ed infatti , in base a tale sentenza, tale tipo di prescrizioni viola sia il principio della libertà personale tutelato dalla Costituzione , sia l’art. 32 secondo comma della stessa , atteso che finisce per condizionare comunque le parti ad effettuare un trattamento sanitario.
Pertanto la Cassazione revoca la disposizione impartita dalla Corte di Appello di Firenze a una coppia di genitori di sottoporsi a un percorso psicoterapeutico onde realizzare la propria maturità personale, rilevando che una simile decisione non può che rientrare esclusivamente nell’ambito del loro diritto di autodeterminazione, che non può subire condizionamenti e imposizioni di qualunque sorta.
Pertanto secondo la suprema Corte , sebbene una simile prescrizione possa essere ritenuta dal Giudice come extrema ratio per aiutare la coppia a formarsi quali idonei genitori, non si può decidere di impartirla loro , a titolo di invito, ma , di fatto, a mò di un trattamento sanitario obbligatorio in difformità a quanto sancito dall’art. 32 della nostra Costituzione.
E sostiene ancora la Corte che la finalità di un simile percorso psicoterapeutico- che deve rimanere estraneo al giudizio- è quella di realizzare una crescita e maturazione personale genitoriale ed attiene esclusivamente alla sfera del diritto di autodeterminazione dei singoli genitori.
Successivamente a questa sentenza della Suprema Corte abbiamo delle sentenze di merito, sia del Tribunale di Roma che di quello di Milano che se ne discostano alquanto , cercando di fornire una interpretazione delle prescrizioni psicoterapeutiche ai genitori , che si distacchi da una mera imposizione od obbligo che li possa tacciare di anticostituzionalità.
La prima sentenza è quella del Tribunale di Milano del 15 luglio 2015 ( Pres. Servetti , Est. Rosa Muscio). Nel caso di specie una ctu aveva evidenziato che nella coppia genitoriale sussisteva una inadeguata capacità di “cogliere nel profondo le emozioni della figlia e di rispondere ad esse in maniera appropriata”, paventando che la minore si stesse evolvendo verso una struttura di personalità problematica. Per superare le criticità genitoriali e la loro situazione personologica, il Tribunale indicava al padre e alla madre della minore un percorso di supporto genitoriale .
A tal uopo il Tribunale di Milano, citando preliminarmente la sopracitata sentenza della Corte di Cassazione , onde giustificare la propria decisione difforme, sosteneva che non intendeva imporre ai genitori tale supporto, ma semplicemente li onerava di ciò, argomentando che il Collegio, nell’interesse preminente della prole, segnalava alle parti la necessità di intraprendere determinati percorsi di supporto personale anche di tipo terapeutico .
E il Tribunale ancora afferma che la libertà personale di autodeterminazione e di scelta sulla propria salute di chi è genitore incontra pur sempre un limite nel diritto del figlio minore ad una sana e consapevole crescita, diritto di rango anche questo costituzionale , garantito, altresì, da convenzioni comunitarie ed internazionali e che , quindi , il Tribunale deve tutelare.
Pertanto il Collegio sostiene che si tratta di un “invito rivolto ai genitori, che, per quanto rimesso alla libertà di scelta dell’adulto genitore, è pur sempre in funzione della tutela dell’interesse e dell’equilibrio psicofisico del figlio minore e potrà avere delle conseguenze per il genitore non responsabile tutte le volte in cui le sue libere legittime scelte si traducano in comportamenti pregiudizievoli per il figlio” E qui il tribunale di Milano cita gli articoli 337 ter c.c. e 333 c.c. per evidenziare in maniera esplicita i provvedimenti che nel caso di specie potranno essere adottati nei confronti de genitori che non ottemperino all’invito effettuato dal Collegio giudicante.
Una successiva pronuncia della prima sezione civile del Tribunale di Roma del 13 novembre 2015 ( Pres. Mangano, rel. Galterio) prescrivendo un percorso terapeutico ad una coppia genitoriale problematica, dichiara che la prescrizione terapeutica si traduce nel caso di specie nell’unico strumento disponibile da parte del giudice per il superamento della conflittualità genitoriale , affinché sia garantita l’equilibrata crescita del minore, nel rispetto del suo diritto alla bigenitorialità. Sostiene il Tribunale che, benché sia consapevole del diverso orientamento della Cassazione , non crede che tale disposizione sia in contrasto con i dettami costituzionali , atteso che si tratta di un “onere” e che pertanto , essendo prevista nell’interesse dello stesso onerato, non è obbligatoria ed è priva di conseguenze sanzionatorie personali , nel caso in cui rimanga inattuata, “ricadendone semmai gli effetti sul regime di affido..”nell’interesse preminente di una sana crescita del minore.
Recentissimo è poi il decreto del Tribunale di Milano sez. IX dell’11 marzo 2017 ( Pres. Amato , est. G. Buffone). Con tale provvedimento viene prescritto alla coppia genitoriale un percorso di sostegno e di cura nell’esclusivo interesse della figlia minore. Nel caso che ci occupa la bambina aveva assunto come proprio il pensiero materno dicotomico, dove sul padre veniva riversata ogni colpa, mentre la madre era esente da ogni responsabilità.
Assume il Collegio “la situazione attuale di figlia può ricondursi anche alla attuale situazione della madre, la quale all’esito degli accertamenti , è emerso accusare un deficit di mentalizzazione e una distorta lettura della realtà. Causa centrale del rifiuto della bambina e dell’immagine rigidamente negativa che figlia ha del padre è la madre che , consciamente o inconsciamente, ha inevitabilmente e costantemente trasmesso alla figlia i propri distorti convincimenti negativi, paurosi e pericolosi sulla figura paterna..” E allora il Tribunale afferma che è necessario procedere a prescrizioni psicoterapeutiche e di sostegno per i due genitori. A tal uopo , citando la sentenza della Corte di Cassazione del 2015 che ha sostenuto essere inammissibili le prescrizioni rivolte ai genitori, nonché le sopracitate sentenze di merito del Tribunale di Milano e di quello di Roma, alle quali ultime aderisce il Collegio giudicante, afferma che la libertà di autodeterminazione e di scelta sulla salute del genitore, sebbene afferenti a diritti di rango costituzionale, trovano però il limite nel diritto del minore ad un percorso di sana e matura crescita, anche questo diritto di rango costituzionale , altresì tutelato da convenzioni comunitarie ed internazionali e che è “compito del tribunale in ogni caso assicurare attraverso provvedimenti incidenti sull’esercizio e/o sulla titolarità della responsabilità genitoriale. Ciò nella misura in cui interventi di supporto anche di tipo terapeutico potrebbero consentire, se seguiti , ad uno o ad entrambi i genitori di superare le proprie fragilità e criticità personali e di conservare integra la propria responsabilità genitoriale”.
Anche tale decreto, come i due precedenti provvedimenti di merito citati, fa rilevare che si tratta comunque di un invito e non di un obbligo imposto alla coppia genitoriale, però si sottolinea che , sebbene sia un invito giudiziale rimesso alla libertà di scelta del genitore, è pur sempre finalizzato all’equilibrio psicofisico e all’interesse preminente del figlio minore e, pertanto, può avere serie conseguenze per il genitore che non accoglie tale invito tutte le volte in cui le sue “libere legittime scelte si traducano in comportamenti pregiudizievoli per il figlio “ , con tutte le conseguenze ex artt, 337 ter c.c. e 333 c.c..
In particolare la madre alienante veniva invitata ad effettuare interventi di supporto psicologico –psichiatrico ,oltre che di supporto alle genitorialità insieme con l’altro genitore, al fine di eliminare la dispercezione delle realtà che aveva e prendere così coscienza delle proprie difficoltà personali e dei distorti convincimenti sull’ex coniuge, dando così una realistica lettura alla minore della figura paterna . In difetto, la figlia minore, già affidata al comune di residenza, sarebbe stata collocata dall’ente affidatario in ambiente protetto e tolta alla madre.
Orbene una riflessione sorge spontanea: certamente è lodevole il fine ultimo dell’interesse preminente dei minori quale principio motore che conduce a disporre per i genitori un percorso psicoterapeutico, ma ci si domanda se poi tale obiettivo in verità si raggiunga sul serio, atteso che i genitori intraprendono tale iter spesso, senza esserne motivati ,ma solo perché sollecitati dal Tribunale, temendo di perdere l’affidamento, il collocamento della prole se non addirittura l’esercizio della responsabilità genitoriale.
E poi , anche motivato dall’interesse preminente dei minori, sia che sia invito, onere, o altro, in ultima analisi, nella sostanza, tale prescrizione dai genitori viene vissuta e sentita sempre come un obbligo sotto minaccia della sanzione di perdere il collocamento o l’affidamento della prole e, pertanto, in concreto , diventa l’impartizione di una sorta di trattamento sanitario obbligatorio in difformità dell’art. 32 secondo comma della nostra Costituzione.
Come sostiene la Cassazione il percorso di maturazione personale dei genitori e la loro assunzione di responsabilità consapevole in tanto potrà aversi in quanto liberamente avviata , affidata al loro diritto imprescindibile di autodeterminazione; se non sarà intrapreso liberamente, raramente potrà condurre a risultati positivi ed efficaci nel tempo.
Avv. Margherita Corriere
Presidente Sez. Distrettuale AMI di Catanzaro
Fonte: http://www.ami-avvocati.it/prescrizioni-ai-genitori-di-percorsi-terapeutici-individuali-e-di-coppia-dopo-la-sentenza-della-corte-di-cassazione-n-135062015/
mercoledì 3 maggio 2017
Il business di chi "aiuta": il caso a Napoli.
Napoli, bambini in cambio di fondi. Inchiesta sulle case famiglia. di Fabio Nestola
|
Brutta fama, quella dei Servizi Sociali. Ladri di bambini, il braccio
armato del sequestrificio, sequestri di stato, bambini venduti, bambini
come merce di scambio …, queste sono alcune delle definizioni che la
stampa riporta in occasione di inchieste che talvolta sollevano quel
coperchio che non deve essere sollevato.
A Napoli, in azione gli agenti della polizia municipale del comandante
Sementa: sequestrati atti negli uffici comunali. L'assegnazione dei
minori veniva pilotata dai funzionari pubblici a favore di alcune
strutture che lucravano sui finanziamenti Bambini usati come merce di
scambio per lucrare sui fondi del Comune di Napoli destinati
all'accoglienza residenziale dei minori.
Questo il sistema criminale che emerge dalle indagini della polizia municipale, coinvolti funzionari del Comune, impiegati delle Politiche Sociali, titolari di case famiglia della città.
Sono anche le teorie che serpeggiano in rete su centinaia di siti, bolg
e pagine FB, vengono ripetute nei convegni e nelle manifestazioni,
ricorrono nei libri e negli articoli sull’argomento.
Forse non è sempre così, forse gli interessi economici non sempre
prevalgono sugli interessi delle famiglie e dei minori, forse esistono
anche buone prassi, forse esistono casi risolti positivamente, forse
quella dei Servizi è una fama immeritata.
Forse.
Resta il fatto che decine di migliaia di bambini ogni anno finiscono
nel tritacarne, strappati ad uno o entrambi i genitori per alimentare il
mercato delle strutture di accoglienza. Perché di mercato si tratta:
sia chiaro che un bambino non entra in casa famiglia a titolo gratuito.
Di contro c’è la difesa dei Servizi stessi, secondo la quale il Sistema
lavora sempre al meglio, le operatrici sono sottopagate ed oberate di
lavoro a causa della carenza di organico, l’unico focus è l’interesse
dei minori, togliere i bambini alle famiglie è solo l’estrema ratio quando null’altro è possibile.
Ok, ma questa estrema ratio riguarda decine di migliaia di
famiglie ogni anno, centinaia di migliaia negli ultimi anni. Il tipico
genitore italiano è maltrattante per DNA e non ce ne siamo accorti?
In altra data abbiamo affrontato, sempre sulle pagine di Adiantum, il
tema della trasparenza sui criteri di collocazione dei minori in
istituto, il peso determinante dei Servizi per togliere i bambini alle
famiglie, l’opposizione dei servizi alle videoregistrazioni degli
incontri con adulti e minori presi in carico.
Ora vediamo come un caso concreto, uno dei tanti, solleva legittimi
dubbi sulle dinamiche che trascinano i bambini fuori dalla famiglia.
Agosto 2013, litorale tirrenico. Un bambino che chiameremo Mario viene
accompagnato al Pronto Soccorso di un piccolo centro poiché ha
incautamente stuzzicato un alveare ed è pieno di punture.
Il PS non è attrezzato al meglio e suggerisce il trasferimento ad altro
ospedale. Il bambino viene accompagnato dal 118 in una cittadina più
grande, con un ospedale migliore, ove viene confermata la diagnosi
(dermatosi infiammatoria), trattata con Bentelan.
Il mese successivo Mario è stato tolto alla madre, che chiameremo Anna, con la motivazione di percosse da persona nota.
Collocato in una struttura protetta, potestà sospesa alla madre,
vietato qualsiasi tipo di incontro anche in modalità protetta.
Come si è potuti arrivare a tanto?
Semplice, basta costruire una versione distorta dei fatti. Il
provvedimento del TdM motiva la misura protettiva col fatto che si
sarebbe presentata spontaneamente l’assistente sociale di un Comune nel
quale la famiglia non vive più, sostenendo di “aver saputo” che:
- il bimbo era andato in ospedale per curare i sintomi di percosse (falso 1)
- il convivente della madre, che chiameremo Giovanni, non aveva accettato la diagnosi (falso 2)
- Giovanni aveva portato via il bimbo per condurlo in un altro ospedale ( falso 3) e farlo refertare diversamente.
Falso 1 - il referto del PS smentisce la versione dell’assistente
sociale, sia la prima che la seconda struttura sanitaria hanno
riscontrato sul bambino esiti di punture d’insetto e non di schiaffi,
calci, cinghiate etc.
Falso 2 – Giovanni non si è opposto a nulla ne’ avrebbe potuto farlo,
semplicemente perché era altrove. Aveva accompagnato la madre di Mario -
guardacaso - proprio nello stesso ospedale ove il bambino è stato
trasferito in ambulanza. Infatti, non essendoci ne’ la madre ne’ il
convivente, Mario dopo l’assalto delle api è stato accompagnato al PS da
un’amica di famiglia.
Falso 3 - per lo stesso motivo (non era fisicamente presente) Giovanni
non ha condotto Mario nel secondo ospedale, ove il bimbo è giunto
tramite 118 come da referto.
Come mai tali e tante falsità? Basta leggere i referti che smentiscono
clamorosamente l’assistente sociale, non li ha visti prima di partire a
testa bassa col suo maldestro “ho saputo che”?
E soprattutto, non li ha letti nemmeno il giudice che ha accettato acriticamente la versione della testimone spontanea?
Inoltre l’assistente sociale dichiara che il bambino ha un aspetto
trascurato, va a scuola con le scarpe rotte e generalmente malvestito,
sporco, malnutrito.
Curioso però che la solerte assistente sociale si preoccupi di
denunciare l’incuria quando ormai il bambino e la sua famiglia non
vivono più da 10 mesi nel Comune ove ella esercita. Presso quale scuola
avrebbe riscontrato le scarpe rotte e tutto il resto, visto che Mario da
mesi è altrove?
Torniamo ai referti di PS.
L’avvocato della famiglia voleva vedere come ci si fosse arrampicati
sugli specchi pur di togliere il bimbo alla madre, ma non ha avuto
accesso immediato agli atti. Passano i giorni, passano le settimane, il
fascicolo “è su dal PM”, poi “è sceso ma non si trova”, poi “provi a telefonare la prossima settimana” … intanto Mario langue in casa famiglia.
Si può sapere da dove salta fuori il referto di percosse citato nel provvedimento del TdM?
Alla fine il fascicolo si trova ed ecco la sorpresa degna di Carramba! Il referto di percosse esiste davvero! Peccato che la madre non ne sappia nulla, Mario è stato portato al PS a sua insaputa.
Da chi?
Ma è ovvio, dai Servizi Sociali del nuovo comune di residenza della
famiglia, che hanno organizzato un centro estivo ed ogni mattino prima
delle 8 prelevano Mario da casa e lo portano al mare con altri bambini.
Quindi esce dal cilindro un referto del mese di luglio, quando il
bambino alle 9,45 viene accompagnato al PS del solito piccolo centro. La
diagnosi è percosse, ma il piccolo PS invia il bambino presso una struttura pediatrica.
Curioso, ma nel fascicolo non c’è traccia del referto di questa fantomatica struttura pediatrica.
Conferma le percosse?
Ha diagnosticato qualcosa di diverso dalle percosse?
Che terapia ha somministrato? È compatibile con le percosse o serve a curare altro?
Oppure Mario non vi è mai stato accompagnato perché il primo referto era sufficiente?
Ancora: per quale motivo nessuno ha riscontrato segni di percosse alle
8, al momento di prelevare Mario da casa, mentre i segni sono comparsi
un’ora e mezza dopo?
Cosa è accaduto fra le 8 e le 9,45?
È stato picchiato da un adulto? Se si, da chi, visto che la madre ed il convivente erano altrove?
Una semplice zuffa tra bambini, con deficit di sorveglianza da parte di chi avrebbe dovuto farlo?
Per quale motivo il bambino è stato immediatamente dimesso e non è stato detto nulla alla madre?
Per quale motivo al rientro a casa i segni di percosse non c’erano più?
Oppure le percosse non ci sono mai state, Mario aveva i soliti gonfiori da punture d’insetto che spariscono in due ore?
Poi si verifica una coincidenza che le AASS non potevano prevedere: 4 giorni dopo la corsa in ospedale per percosse , è il compleanno di Mario.
C’è la festicciola, con tanto di torta e foto. È luglio, Mario nelle
foto appare senza maglietta e non c’è traccia (ne’ sul viso, ne’ sulle
braccia o sul corpo) degli evidenti segni di percosse che hanno
costretto le operatrici a precipitarsi in ospedale.
I lividi impiegano 8/10 gg a sparire, seguono un riassorbimento
naturale che fa cambiare colore all’edema (dal nero, al blu/verde, al
giallo), ma sicuramente dopo 4 gg nessun bambino può avere la pelle
rosea che Mario mostra in foto. Cosa significa?
La zelante assistente sociale, sempre colei che senza essere convocata
da nessuno si è spontaneamente presentata al TdM per far nascere
l’allarme, dichiara inoltre di “avere saputo” che sono intervenuti anche
i Carabinieri. Ulteriore dato: il verbale dei CC nel fascicolo non
esiste.
L’assistente sociale del vecchio Comune di residenza dice che Mario sta
malissimo con la madre, viene picchiato, va a scuola in condizioni
pessime senza peraltro vederlo a scuola da 10 mesi.
L’assistente sociale dell’attuale Comune di residenza porta il bambino
al PS senza dire nulla alla madre, ne’ prima ne’ dopo. Anche al centro
estivo dicono che Mario è picchiato, malnutrito, trascurato.
Che ci sia un disegno comune che collega le due iniziative?
Ma nooooo, non bisogna pensare male, i Servizi Sociali non avrebbero
alcun interesse a pilotare le decisioni del TdM verso la cancellazione
della figura materna a favore di un istituto prima e di una famiglia
affidataria poi.
Nemmeno se il provvedimento del TdM viene notificato, oltre che alla
madre di Mario, anche a due signori che si propongono come affidatari.
Non è che per caso, e dico per caso, questa vicenda finirà per
alimentare la teoria del “sequestro di stato”? Oppure Mario veniva
realmente pestato e - unica misura possibile - doveva essere sradicato
dalla famiglia?
Se ne stanno occupando medici legali ed avvocati, qualcuno dovrà dare
parecchie spiegazioni. Per ora la vicenda è in itinere, aggiorneremo i
lettori sugli sviluppi.
Fonte: http://www.adiantum.it/public/3451-napoli,-bambini-in-cambio-di-fondi.-inchiesta-sulle-case-famiglia.-di-fabio-nestola.asp
martedì 28 febbraio 2017
Aborto: in Uruguay storica sentenza pro paternità
Perché sull’aborto il padre non deve mai avere voce in capitolo?
La cultura femminista che ha portato all’approvazione della varie legislazioni abortiste, come la nostra in Italia, si fonda tutta sullo slogan “noi partoriamo e noi decidiamo“.
Peccato però che i figli si fanno sempre
in due. E se è vero che molte volte le donne vengono lasciate sole e
abbandonate da uomini irresponsabili e vigliacchi che prima si divertono
e poi scappano, è altrettanto vero che vi sono situazioni in cui il padre vuole tenere il bambino e la madre no.
È quanto accaduto in Uruguay, dove nei giorni scorsi, per
la prima volta, un tribunale ha emesso una sentenza storica a favore
del diritto alla vita e, potremmo dire, della paternità.
Si è infatti verificato il caso di una donna che, rimasta incinta, voleva sbarazzarsi del bambino, ritenuto evidentemente un grumo di cellule, un’escrescenza del proprio corpo e non – come invece la scienza stessa dimostra – un’altra persona, con una vita sua.
Ebbene, di fronte all’imminente aborto, il padre del piccolo si è
opposto. E per convincere la compagna le ha promesso che si sarebbe
preso cura di lei e del bambino e, se proprio non avesse voluto saperne,
avrebbe provveduto da solo al figlio. L’importante era non ucciderlo:
l’aborto infatti, oltre ad eliminare un bambino, comporta gravi problemi
non solo alla mamma, ma pure ai padri, anche se questo non viene mai ricordato.
La donna non ha cambiato idea e allora l’uomo è ricorso alla giustizia. E, incredibile a dirsi in questi tempi, il giudice (una donna, Pura Book, della città di Mercedes) gli ha dato ragione. Le motivazioni della sentenza sono davvero piene di buon senso e ci rincuorano.
Si dice ad esempio che il bene supremo è la protezione dell’inalienabile diritto alla vita, superiore
a qualsiasi altro diritto, anche di soggetti terzi. Per questo motivo
nessuno può esserne privato arbitrariamente. E se la donna ha diritto
a decidere sul suo corpo e sulla sua attività sessuale e riproduttiva,
questo vale fintanto che non rimane incinta. Con la gravidanza infatti
siamo di fronte a un nuovo essere umano, con i suoi propri diritti.
Essendo un omicidio, perpetrato
oltretutto su un innocente del tutto indifeso, l’aborto va invece a
colpire il bene fondamentale della vita.
Ricordiamo che in Uruguay l’aborto è legale fino alla 12 settimana e da quando la legge è stata approvata, nel 2012, sono stati ammazzati 38.000 bambini: praticamente uno all’ora.
In tale contesto la sentenza è dunque
davvero di portata storica, come ha fatto notare il militante provita e
deputato Carlos Iafigliola. Ia figliola ha spiegato che per la
prima volta il padre è stato considerato soggetto di diritto davanti ad
un bambino ancora nel ventre materno. E ha anticipato che per il 25 marzo sta organizzando una grande manifestazione a difesa del diritto alla vita.
Inutile dire che la decisione del giudice ha diviso l’opinione pubblica del Paese
ed è stata duramente contestata dalle associazioni femministe e
paladine dell’aborto. La donna ha fatto ricorso, ma a quanto pare sul
caso specifico ormai la questione sembra chiusa, perché si sta avvicinando il termine ultimo per poter uccidere i nascituri.
Questa volta ha vinto la vita. E finalmente un padre ha visto riconosciuto il diritto di essere tale.
Federico Catani
Fonte: El Pais
Iscriviti a:
Post (Atom)