Lettura: Genesi 39:1-20
1Un giorno egli entrò in casa per fare il suo lavoro, mentre non c'era alcuno dei domestici.
12Ella lo afferrò per la veste, dicendo: «Còricati con me!». Ma egli le lasciò tra le mani la veste, fuggì e se ne andò fuori.
13Allora lei, vedendo che egli le aveva lasciato tra le mani la veste ed era fuggito fuori,
14chiamò i suoi domestici e disse loro: «Guardate, ci ha
condotto in casa un Ebreo per divertirsi con noi! Mi si è accostato per
coricarsi con me, ma io ho gridato a gran voce.
15Egli, appena ha sentito che alzavo la voce e chiamavo, ha lasciato la veste accanto a me, è fuggito e se ne è andato fuori».
16Ed ella pose accanto a sé la veste di lui finché il padrone venne a casa. 17Allora gli disse le stesse cose: «Quel servo ebreo, che tu ci hai condotto in casa, mi si è accostato per divertirsi con me. 18Ma appena io ho gridato e ho chiamato, ha abbandonato la veste presso di me ed è fuggito fuori». 19Il padrone, all'udire le parole che sua moglie gli ripeteva: «Proprio così mi ha fatto il tuo servo!», si accese d'ira. 20Il padrone prese Giuseppe e lo mise nella prigione, dove erano detenuti i carcerati del re.
Così egli rimase là in prigione.
16Ed ella pose accanto a sé la veste di lui finché il padrone venne a casa. 17Allora gli disse le stesse cose: «Quel servo ebreo, che tu ci hai condotto in casa, mi si è accostato per divertirsi con me. 18Ma appena io ho gridato e ho chiamato, ha abbandonato la veste presso di me ed è fuggito fuori». 19Il padrone, all'udire le parole che sua moglie gli ripeteva: «Proprio così mi ha fatto il tuo servo!», si accese d'ira. 20Il padrone prese Giuseppe e lo mise nella prigione, dove erano detenuti i carcerati del re.
Così egli rimase là in prigione.
La moglie di Potifar aveva tutto ciò che una donna sposata può desiderare:
un marito che occupava una posizione elevata come ufficiale del Faraone,
viveva in una casa spaziosa e lussuosa, nuotava nell’abbondanza, aveva cibo
e vestiti, c’erano schiavi al suo sevizio che facevano il necessario per
esaudire i suoi desideri.
Era
una donna viziata.
Come egiziana godeva di molta libertà più di ogni altra donna del tempo, con
tutti questi elementi si potrebbe dedurre che fosse molto felice.
Ma questa conclusione si dimostra infondata perché la situazione reale era
diversa.
E’ stato detto che “le circostanze
non fanno una persona, ma rivelano quale essa sia”,
questa massima calza a pennello per la moglie di Potifar.
Nelle Scritture incontriamo la figura di questa donna in Genesi in rapporto
alla storia di Giuseppe, il capo degli schiavi di quella casa.
Giuseppe, figlio di Giacobbe e Rachele, era un uomo di una bellezza
sorprendente, arrivò nella casa di Potifarre dopo essere stato venduto ai
mercanti di schiavi dai suoi fratelli.
Ma la vita interiore di Giuseppe era ancora più singolare del suo
bell’aspetto, egli camminava
vicino a Dio.
Molte volte Dio gli aveva rivelato il futuro per mezzo di sogni ed era una
delle ragioni per cui i suoi fratelli erano gelosi di lui e, quando poi si
erano accorti che il loro padre lo amava più di tutti, presero ad odiarlo
tanto da desiderarne la morte.
Essi si sbarazzarono di lui vendendolo a dei mercanti che passavano di lì,
tuttavia fu molto chiaro che Dio era con Giuseppe, perché dovunque egli
andasse la benedizione di Dio era con lui.
Perciò la casa di Potifar fu benedetta a causa sua, una relazione di
reciproco rispetto nacque fra Giuseppe e Potifar .
In conseguenza di ciò le responsabilità di Giuseppe aumentarono notevolmente
e fu nominato sovrintendente dell’intera casa.
La moglie di Potifar che a prima vista sembrava possedere tutto ciò che una
donna potrebbe desiderare, era vuota interiormente, non aveva uno scopo per
vivere.
Aveva del tempo libero e non sapeva come occuparlo, era sposata ad un uomo
che si dedicava completamente al lavoro.
La Bibbia non parla di bambini, ma se ce ne fossero stati, probabilmente
sarebbero stati affidati alle cure di una governante.
Forse era offesa per il fatto che il marito non le dava le attenzioni che
avrebbe desiderato, una vita vuota cerca uno scopo, un cuore vuoto cerca
soddisfazione.
La moglie di Potifar alla fine mostrò i desideri che erano nel suo cuore.
Non era riuscita a capire il carattere interiore di Giuseppe, la sua
giustizia e la sua serenità erano per lei, unitamente alla bellezza fisica,
motivo di attrazione.
Non poteva capire che ciò che aveva di speciale quest’uomo era
il suo cammino con Dio.
Infatti, dal suo comportamento è evidente che non aveva inteso il legame fra
Giuseppe e il suo Dio, perché umiliò sé stessa e Giuseppe non una volta
sola, ma ripetutamente.
Lei cercò di imporre sé stessa e il suo corpo, pensava di trovare
soddisfazione nel sesso.
(...)
La rapida fuga di Giuseppe era la prova della sua purezza di carattere,
indusse la donna a compiere un altro peccato: mentire.
Essendo suo superiore aveva deciso, senza nessuno scrupolo, di rovinargli la
carriera e di macchiare il suo buon nome.
Questo causò a Giuseppe molti anni di prigionia. Egli indubbiamente fu molto
ferito dalle accuse disoneste, probabilmente si sentì abbandonato, anche
perché in apparenza Potifar non investigò sulla situazione, forse nutrì dei
dubbi sul racconto della moglie, altrimenti avrebbe messo a morte Giuseppe.
Giuseppe non si lamentò, con gioia scoprì che le mura della prigione non
potevano escludere Dio, che era con lui, come era stato nella casa di
Potifar.
Giuseppe fu una benedizione per tutti quelli che poi incontrò: carcerieri,
prigionieri sino ad arrivare al Faraone.
Fu ricompensato per la sua lealtà a Dio e al suo padrone, gli fu dato il
governo di tutto l’Egitto, egli era al secondo posto nella gerarchia di
comando dopo il Faraone.
Poi sposò la figlia di Faraone e divenne suo genero, cambiò nome e divenne
Zaphenath-paaneath, il protettore del popolo.
In seguito poté salvare i suoi fratelli, che l’avevano tradito, quando si
trovarono nella carestia.
Giuseppe non era stato il perdente, lo era stata la moglie di Potifar.
Di lei non sappiamo nient’altro, nonostante la grandezza del peccato essa
non mostrò pentimento, né chiese perdono.
Scritto da un
anonimo nel
1949
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