A Padova una gup legge la sentenza prima della fine del processo
Il gup picchia due volte col martelletto per richiamare l’attenzione generale di avvocati, imputato ed astanti, si alza in piedi e si appresta a leggere le poche cartelle che ha in mano. Siamo in un’aula del tribunale di Padova dove si sta celebrando un procedimento penale contro un tale, Davide Zago, allenatore di calcio di squadre giovanili con diploma ISEF, accusato di molestie sessuali ed abusi su giovanissimi under 14 a lui affidati. La gup Chiara Bitozzi si avvia a leggere la sentenza ed esordisce con il rituale : “In nome del popolo italiano, visti gli articoli 533, …(omissis) …del Codice di procedura penale condanno…”. E’ solo a questo punto che gli allibiti avvocati di parte civile si riprendono dallo stupore e trovano il coraggio di interrompere la giudice, circostanza che di per sé potrebbe comportare l’accusa di oltraggio alla corte, per farle doverosamente osservare come il processo sia tutt’altro che concluso considerato che mancano ancora le richieste della parte civile, la deposizione dell’imputato e l’arringa del suo difensore.La gup si ferma, guarda stupita ed esterrefatta i suoi interlocutori: “Come non è finito?” si interroga dentro di sè, poi si rende improvvisamente conto dell’accaduto, si porta una mano alla fronte e ricade pesantemente sulla poltrona dalla quale si era appena alzata. Ammette subito l’errore, e vorremmo vedere che non l’avesse fatto con così tanti e qualificati testimoni, fa verbalizzare l’accaduto dal cancelliere ammettendo che a quel punto null’altro le resta da fare se non autodichiararsi “incompatibile” con il procedimento, dichiarare chiusa l’udienza, rimettere atti, carte processuali e l’intero fascicolo al giudice Lara Fortuna coordinatrice dell’ufficio gip di Padova perché proceda ad assegnare il fascicolo ad altro gup. Ergo, un dibattimento avviato nel 2010 per un fatto accaduto nel 2009, sospeso l’anno scorso e riaperto lo scorso mese di aprile, adesso dovrà essere iniziato da capo, forse nel 2014. Pensiamo un po’ a cosa sarebbe successo sui media nazionali se un chirurgo avesse disposto la ricucitura del paziente prima di aver completato l’operazione. Ma qua si tratta di un giudice, non di un chirurgo o di un fornaio che ha spento il forno prima che la cottura del pane fosse terminata, per cui non è successo niente.
Di questa storia a noi non interessa tanto mettere in risalto la turpe vicenda di abusi sessuali su minori di 14 anni. Possiamo ritenere che alla fine se l’imputato sarà trovato colpevole finirà prima o poi col subire una giusta condanna e con lo scontare la relativa pena inflittagli, rendendo piena giustizia alle sue vittime. E neanche, in questa particolare circostanza, ci interessa troppo calcare la mano sull’irresponsabilità di fatto del giudice, che neanche in casi come questi sarà chiamato a pagare di persona i danni erariali – quanto costano al contribuente quattro anni di un procedimento giudiziario andato in fumo? Poi moltiplichiamo per le migliaia di casi e traiamo le dovute conclusioni – nonostante un referendum con esito plebiscitario sulla responsabilità civile e personale dei giudici disinnescato dalla sinistra italiana per tirare dalla propria parte una consistente parte della magistratura, quella “democratica”. Quello che invece di questa vicenda attrae maggiormente la nostra attenzione è un altro aspetto, diciamo così più sottile e generale, cioè quello della presunta pretestuosità di accuse spesso rivolte ai magistrati di scrivere le sentenze “prima”. Per quanto ci riguarda, possiamo andare persino oltre potendo riferire di sentenza scritte “prima”, neanche dal giudice, ma addirittura da altre persone in nome e per conto suo.
Ad esempio, in un articolo del 31 luglio del 2012 Qelsi aveva denunciato questa pratica da parte di Giudici di Pace di farsi scrivere le sentenze da altri, spesso coincidenti con le parti interessate alla decisione. Riportiamo qui di seguito l’incipit di quell’articolo :
La Procura di Lecce, competente a condurre indagini sui magistrati in servizio nel distretto di Bari, ha chiesto il rinvio a giudizio per 27 addetti alla giustizia. La vicenda è stata scoperta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari e copre un periodo che va dal 2006 al 2008: multe annullate, patenti restituite a boss malavitosi, ma anche trattamenti “morbidi” per pregiudicati arrestati per droga ed armi che se ne sono potuti tornare tranquillamente a casa dopo udienze farsa. Sentenze scritte da avvocati per altri avvocati, che quando indossavano la toga da giudice di pace restituivano poi il favore ai colleghi.
FOnte: http://www.qelsi.it/2013/a-padova-una-gup-legge-la-sentenza-prima-della-fine-del-processo/
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