Fabio Nestola |
Ci troviamo ancora una volta a commentare provvedimenti surreali. Non
avendo gli strumenti per modificare atti che gridano vendetta,
rivendichiamo almeno il diritto di rendere note le bestialità.
Tribunale di Roma: stavolta analizziamo il provvedimento di un giudice
tutelare, dopo aver dato spazio alle perle di giudici ordinari e
minorili. Provando a sintetizzare una vicenda estremamente complessa,
diremo solo che una coppia prova per circa due anni ad avere un figlio
che non arriva, poi al momento della tanto attesa gravidanza la signora
scarica il compagno. Ciao, ora non mi servi più.
Su queste pagine non hanno alcuna rilevanza i motivi all’origine della
decisione, non ci interessa sostituirci al Tribunale e decidere chi ha
torto e chi ragione.
Resta un dato oggettivo: il sig. S.S. è stato da subito tenuto lontano dal figlio, da prima ancora della nascita.
Aspre lotte in tribunale per poter riconoscere il bimbo, poi lotte
ancora più aspre per iscriverlo all’anagrafe e potergli dare il cognome:
l’opposizione della madre ha ceduto solo di fronte alla prova del DNA,
ma la signora continua ad ostacolare la paternità con ogni stratagemma:
prova ne sia che, nonostante tutto, dopo quasi due anni il bimbo ha
ancora solo il cognome materno.
Nel gennaio 2014 il Giudice Tutelare emette un decreto che dovrebbe regolare le frequentazioni, ove si legge che la madre consente gli incontri in un bar, un’ora e mezza in un pomeriggio infrasettimanale, non oltre tre ore a domeniche alterne.
Forse il Giudice tutelare si è distratto un attimo, probabilmente non
ricorda che le frequentazioni con entrambi i genitori sono un diritto
del minore e non la “concessione” di un adulto.
Quanto al bar … com’è noto a migliaia di pediatri, pedagogisti e
psicologi dell’età evolutiva, una corposa letteratura scientifica
identifica i locali pubblici in generale, ed i bar in particolare, come i
luoghi più idonei in cui i bambini possano sviluppare solidi legami
genitoriali.
Perché i figli dovrebbero perdere tempo a sviluppare familiarità con
entrambi i genitori, le rispettive abitazioni ed i rispettivi ambiti
parentali ? Meglio che sviluppino relazioni significative con uno solo,
per l’altro un’oretta al bar è più che sufficiente.
Bambini come minatori gallesi dell’800 a fine turno: la birra al pub,
la partita a freccette, le lamentele sulla paga, un’altra birretta e poi
tutti a casa.
La domenica si festeggia: tre ore invece di un’ora e mezza.
Tre ore tutte insieme, che lusso! Ma perché specificare “non oltre tre ore”?
Non è per caso un’aggiunta superflua, una leggerezza che potrebbe
lasciare spazio a chi non aspetta altro che inasprire il conflitto con
scuse pretestuose?
Infatti il sig. S.S. inciampa immediatamente nell’ostracismo della ex, che contesta le tre ore e si aggrappa ad un equivoco. Non oltre
potrebbe voler dire 2 ore e 30’, 2 ore, anche solo un’ora … il Giudice
Tutelare ha commesso l’errore di specificare il tetto massimo ma non il
minimo, lasciandolo a discrezione di chi non vuole altro che costruire
ostacoli.
In pratica cosa significa?
È necessario tornare dal Giudice e perdere altro tempo per far correggere la svista:
altri incontri saltati … tanto il figlio mica è del Giudice
altro denaro al vento … tanto gli avvocati mica li paga il Giudice.
Non è finita.
Il bar oltre al caos, alla mancanza di privacy, all’impossibilità
oggettiva di identificare spazi che possano essere percepiti come propri
e/o familiari e/o paterni, ha anche un altro difettuccio: può
chiudere.
Per ferie, per ristrutturazione, per fallimento.
E quando il proprietario decide di chiudere, per un periodo o per
sempre, nessuno può imporgli di non farlo altrimenti padre e figlio non
potranno più vedersi.
Quindi è necessario tornare ancora una volta dal Giudice per chiedere
nuove misure: solito tempo perso, soliti incontri saltati, solito denaro
al vento.
Stavolta però il Giudice Tutelare ha un colpo di genio e cambia
strategia: evita di stabilire incontri in un luogo diverso dal bar e si
dichiara incompetente.
Perché è improvvisamente diventato incompetente?
Ma è ovvio: perché, dice il Giudice, ormai la competenza è dei Servizi
Sociali incaricati dal Tribunale per i Minorenni di organizzare incontri
tra padre e figlio.
Peccato che entrambi i provvedimenti del Giudice Tutelare (decreto del
gennaio 2014, correzione di febbraio 2014) nascano quando già i Servizi
Sociali erano stati incaricati da mesi, senza che per questo venisse
invocata alcuna incompetenza.
Peccato che i Servizi abbiano ricevuto mandato di valutare la relazione
padre-figlio mediante una serie di incontri da stabilire, senza però
sostituire il calendario vigente che quindi va mantenuto.
Peccato che i Servizi siano stati incaricati nel novembre 2013 e ad
agosto 2014 non abbiano ancora organizzato un solo incontro
padre-figlio, accumulando oltre 10 mesi di inerzia totale.
In conclusione, quando la faccenda si complica è buona regola
rispolverare il vecchio ma sempre valido Gran Maestro della burocrazia
italiana: Ponzio Pilato
Non è compito mio, l’ancora di salvezza sempre a portata di mano.
Non è un caso se invochiamo da anni l’urgenza di un Tribunale Unico per
la Famiglia, evitando così che la mano destra non sappia cosa fa la
mano sinistra, e nessuna delle due sappia dove stanno andando le gambe.
In questo caso come in altri simili, hanno avuto un ruolo il Tribunale
Ordinario, il Tribunale per i Minorenni, la Procura, il Giudice
Tutelare, i Servizi Sociali, senza che nessuno sia riuscito ad
individuare uno straccio di soluzione
Non è facile spiegare ai nostri figli che ‘sta baracca è il Sistema che
dovrebbe tutelare i loro diritti, ma la forza delle parole e delle idee
sono le nostre sole armi, a differenza di alcuni improvvisati
guerriglieri che credono di terrorizzare il Sistema urlando proclami
minacciosi.
Non è lo stile Adiantum, non è lo stile FeNBi, non è lo stile di chi ha
qualcos’altro oltre la rabbia da mettere sul piatto della bilancia.
L’analisi, la dialettica, la logica ed un pizzico d’ironia possono
essere armi estremamente utili se sorrette dalla potenza della verità, e
comunque sono le uniche che sappiamo usare.
FABIO NESTOLA
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