martedì 14 maggio 2013

Diario di un padre separato: la papà-cena!




 
http://abbattoimuri.wordpress.com/2013/05/13/diario-di-un-padre-separato-la-papa-cena/
di Capitan Daddy
È mercoledì, il giorno della cena col papà… ho due figli e da più di cinque anni nel classico mercoledì sera da papà separato passo a prenderli al ritorno dall’ufficio per cenare insieme; e da cinque anni loro lo segnano sul calendario; tuttavia nel bel mezzo della settimana si svolge un fantastico percorso ad ostacoli…
Questo dovuto al fatto che la più classica delle leggi di Murphy (se qualcosa può andare storto sicuro ci andrà) farà si che quanto previsto dagli accordi non si paleserà nei fatti.
Intanto, da parte mia, faccio tutto il possibile per evitare che impegni di lavoro non si accavallino nel tardo pomeriggio e così il mercoledì diventa giornata off-limit creando a volte non pochi imbarazzi tra colleghi, anche perché nonostante abbia la fortuna di avere un lavoro stabile e con orari fissi, capitano comunque impegni improvvisi non proprio conciliabili con appuntamenti prefissati.
Quindi quella tanto invocata flessibilità può diventare un boomerang infernale: l’elasticità lavorativa sarà inversamente proporzionale con la disponibilità della ex-moglie nel concederti il piacere di passare del tempo coi tuoi figli in orari o giorni diversi rispetto a quanto definito davanti al giudice, figura altrettanto curiosa, che per i separati diventa quasi un parente tant’è la responsabilità nel dettarti i tempi e i ritmi della tua nuova vita; tuttavia, più cercherai di attenerti a quanto previsto e più arriveranno le mitiche richieste di variazione delle 8 di mattina dello stesso giorno in cui pensavi, si, tu pensavi… ma non lo pensava lei!
Naturalmente per i figli questo ed altro e son sicuro che se dovessi, mi taglierei un braccio per loro ma son sicuro che troverà sempre un modo per dire la fatidica frase: “sei un egoista, prima vengono i tuoi figli!!! Allora dillo che non te ne frega niente!!!”; mi do sempre un consiglio: manda giù, lo fai per i tuoi figli, non vorrai mica dare seguito a queste bassezze che puntualmente verranno riportate, solo le tue, ai ragazzi e con dovizia di particolari?
Comunque, bando agli imprevisti, alle ore 18:30 se non è cambiato niente carico i pargoli e andiamo a casa, dalle richieste che arrivano, i ragazzi mi farebbero vivere in tre ore di tempo una settimana di divertimento e sentimento.
papà giochiamo a carte? tiriamo i rigori al campo? Mi scarichi Caparezza da youtube? Ti devo far leggere il fumetto degli xmen… guardiamo un film? organizziamo un torneo all’xbox? Ho bisogno che mi stampi una cosa per la ricerca della classe… “ e così via, non basterebbero, appunto 7 sere su 7 e sarebbe la normalità del rapporto genitori/figli; fortunatamente i ragazzi ormai sono abituati, anche ai miei salti mortali: è capitato anche che la mia compagna fosse fuori per lavoro quindi mi trovassi da solo mentre preparavo la cena, mischiavo il mazzo di carte e accendevo il pc lanciando ricerche su google… per il calcio di rigore in contemporanea mi sto ancora organizzando…
Mi rendo conto che sono piccole cose in confronto a quanto fa una madre, oddio, se avessi a disposizione lo stesso monte ore di frequentazione sono stracerto che farei esattamente le stesse cose che fa lei; mettetemi alla prova!!
Ore 21:30 si rientra alla base e devo confessare che spesso ho assistito a non pochi mugugni da parte dei ragazzi che però si premurano subito di organizzare la prossima volta che ci vedremo e mi rende felice perché hanno voglia di passare del tempo con me e questo mi ripaga tanto.
Naturalmente guai a sgarrare di 5 minuti l’orario del rientro… cazzarola, a volte le signore si fanno attendere intere mezz’ore… e noi per il tempo di una pipì veniamo folgorati, già, perché capita l’imprevisto che mentre stai uscendo: “papà devo andare in bagno…” che fai? Gli dici no? E va bene tua mamma aspetterà…
Per fortuna che a settimane alterne ci sono i week end e sono un grosso sollievo, insieme riusciamo a prenderci i nostri tempi, riusciamo a realizzare le nostre piccole abitudini, possiamo decidere insieme nel corso della giornata cosa fare insomma; peccato che passano troppo in fretta.

Alza la voce e perde il figlio...

 

David Pisarra, a Men’s Rights lawyer, discusses ‘the new type of abuse—the marginalization of fathers.’

Fonte:
 http://goodmenproject.com/conflict/raise-your-voice-lose-your-child/

He raised his voice at me, and I was frightened he was going to hurt me and the kids.”
That’s it. That’s all it takes for a man to lose his children in today’s hyper-sensitive landscape of domestic violence prevention.
This sea change can be traced to the days and months following the tragic death of Nicole Brown Simpson, when the public outcry by the domestic violence lobby moved beyond confronting actual physical altercations and began focusing on the perceived threat of violence. By casting such a wide net, centered almost entirely on male against female domestic violence, there have been unintended consequences that play themselves out in Family Court every day.
♦◊♦
With nothing more than a woman stating, “I was frightened he might hurt us,” a court can remove a man from his home and prevent him from seeing his children for a minimum of three weeks. Often the court will also order either an anger management or a batterer’s intervention class and generally grant the demand by his ex-spouse that he have supervised visitation.
The intrusion by the courts into family dynamics has become so extreme that the domestic violence laws are no longer being used to protect potential victims, but rather to victimize potential abusers.
Let me be clear about this: in the eyes of the court, all men are considered to be potential abusers. No matter his history, if there was any provocation, or if he was in fact the abused victim. This last point is made even more interesting when considering that female-on-male domestic violence make up 50-percent of all cases, yet it is the man who is singled out as being potentially dangerous. And while as an attorney, my professional life is predicated on “innocent until proven guilty,” and “all” is a word to be carefully considered before using, I will say that due to O.J. Simpson’s horrific, inexcusable, and deadly behavior, a shadow has been cast on all men in all cases.
The courts no longer believe there is any appropriate expression of anger and, in essence, have outlawed the emotion. We have made it strategically impossible for a person to display anger in any form, whether a mental health professional would label it a “healthy expression” or not, without the line being automatically drawn to an actual act of physical violence.
But the fact is that humans have a full range of emotions. We get happy, we get sad, and yes, we get angry. And while it is absurd to think that our judicial system could legislate our happiness or sadness, it appears to gladly accept the notion that expressing anger in any fashion should have legal consequences.
♦◊♦
In states across the country, if one parent is determined to be an “abuser”—and in California that means a raised voice—that person is no longer presumed to be a fit parent. The “victim parent” is now presumed to be a better parent and has an advantage when the court makes final determinations of child custody, visitation, and move-away plans to new cities, states, or countries.
This has created the unintended consequence of the strategic domestic violence restraining order. When one parent wants to take unfair advantage in a divorce or paternity case, all that is needed is the granting of domestic violence restraining order and the court will automatically suspend the other parent’s parental rights—usually for a short period. But to the cut-off parent, that brief time can seem like an eternity.
If the court determines that there are grounds for a permanent order, the cut-off parent may be forced to endure a 52-week batterer’s intervention course. The problem with this is that in the flimsy guidelines of what defines domestic violence these days, almost any fact pattern can be twisted to create “violence.”
For fathers who are required to have a monitor to see their children, which is becoming a more common occurrence as a requirement due to the domestic violence allegations, they may be unable to see their children. The costs of a paid monitor can quickly become prohibitive since the man will also be ordered to pay child support, often spousal support, the cost of the batterer’s intervention or anger management classes, and he has to find his own apartment since he’s been evicted from his home.
♦◊♦
Domestic Violence Restraining Orders originally were meant to be a protective measure by the courts. But they have become a fast track process by which unscrupulous parties gain sole legal and sole physical custody of the children.
And, as is typical in “win at all cost” child custody cases, it is often the child that suffers the most. The “victim parent” strategy may yield short-term results for the accusing spouse, but the bad lessons learned by the child may last a lifetime.
Fathers who are truly guilty of domestic violence or child abuse should be viewed as criminals and treated as such. But in our rush to avoid these types of tragedies through a “zero tolerance policy,” we have gone against the most important tenet of the law: Innocent Until Proven Guilty. And the result is that we are creating and perpetuating a new type of abuse—the marginalization of fathers.

Infanticidio, ben 197 casi nel solo 2011.

Infanticidio, ben 197 casi nel solo 2011. Un fenomeno in crescita, figlio della solitudine
















 Fonte:
http://www.adiantum.it/public/3351-infanticidio,-ben-197-casi-nel-solo-2011.-un-fenomeno-in-crescita,-figlio-della-solitudine.asp

In epoca di improbabili slogan di genere e moderna terminologia, i fenomeni sociali più radicati rischiano quasi di passare in secondo piano. Oggi è di gran moda il dibattito su un fenomeno che, a ben vedere, fenomeno non è affatto: il c.d. femminicidio.
La campagna di disinformazione su questo non-fenomeno rischia di far passare inosservata la tre statstica sull'infanticidio e sull'abbandono di bambini da parte di giovani madri. Secondo i dati diffusi dalla SIN - Società italiana di Neonatologia, in Italia ogni anno 3000 neonati vengono abbandonati. Nel solo Policlinico Mangiagalli di Milano, nel 2012, sono stati praticati 1300 aborti, senza contare il permanente fenomeno degli aborti clandestini e la diffusione della "pillola del giorno dopo", talvolta acquistata illegalmente via Internet.
Il volume di Vincenzo Mastronardi, Manuale per operatori criminologi e psicopatologici forensi, si sofferma poi su un dato sconvolgente: i casi di infanticidio nel 2011 sono stati 197. Negli ultimi anni la cifra conosce solo alcune variazioni, rivelando quindi un fenomeno stabile.
Si resta senza parole. Tra tutti i crimini, l'uccisione di un bambino è ciò che fa più orrore soprattutto considerando che quasi sempre sono le mamme stesse a compierlo.
Sparse sul territorio ci sono 40 "culle della vita", derivazione di quella ruota "degli esposti" di conventi e monasteri in cui un tempo si lasciavano i neonati. Queste culle però non sono diventate ciò per cui sono nate. In genere restano vuote. Esiste anche la possibilità di partorire anonimamente, ma ben poche donne se ne avvalgono.
Nonostante tutto le mamme uccidono i bambini come non accadeva nelle generazioni passate. In alcuni casi si spiega con il disturbo depressivo che spesso si affaccia dopo il parto. In altri casi si tratta di madri adolescenti che non vogliono rendere nota la gravidanza. Qualche volta sono le ragazze immigrate. Possono essere prostitute che arrivano a odiare il bambino concepito, ma anche donne che hanno un lavoro dignitoso.
Cosa non funziona? La vergogna sembra insensata dato che nessuno oggi disprezza la madre single. Forse è una nuova vergogna: possono dirti che, se sei rimasta incinta, sei stupida. A volte si vuole nascondere la maternità a un marito lontano. A volte... chissà cosa succede.
È lecito pensare che nel fenomeno dell'infanticidio ci sia malattia o immaturità, paura o disagio sociale. Gli esperti dicono che "bisogna intercettare le madri" prima che accada l'irreparabile. Si tratta allora di voler vedere e decidere di intervenire anche se non si è assistenti sociali. È possibile che i genitori non si accorgano che la figlia aspetta un bambino? È possibile che un insegnante non veda? E dove sono gli amici?
Anche la donna disastrata vive accanto a qualcuno. Ci sarà pure una vicina che intuisce la potenziale difficoltà. Dietro il fenomeno dell'infanticidio quindi si può cogliere anche un male che la fa da padrone nel nostro tempo: la solitudine e l'isolamento. 

Fonte: Redazione - tratto da Bresciaoggi.it

domenica 12 maggio 2013

Femminicidio, i numeri sono tutti sbagliati



Categoria: PATACCHE dell'INFORMAZIONE
Femminicidio, i numeri sono tutti sbagliati - Fabrizio Tonello - Il Fatto Quotidiano

Siamo diventati il Paese dove il maschio ha licenza di uccidere” titolano i giornali portando dati sul presunto aumento esponenziale della violenza contro le donne (leggi il blog di Nadia Somma). Ma i numeri sono tutti sbagliati. Per esempio, su Repubblica di domenica 5 maggio c’era una tabella da cui appariva che nel 2005 gli omicidi fossero stati appena 84, contro i 124 del 2012, con un aumento di quasi il 50% (fonte: fondazione David Hume). Un aumento degli omicidi del 50% in 7 anni giustificherebbe il panico, ma non è così. Non uno, ripeto non uno, dei dati citati in questi giorni da giornali e televisione viene da una fonte attendibile come l’Istat o il ministero dell’Interno: per esempio, nella tabella citata si enfatizza il dato di 25 donne uccise nel quadrimestre gennaio-aprile senza rendersi conto che questo corrisponderebbe a una media annuale di appena 75 omicidi, cioè il 40% in meno dell’anno scorso.
Si mescolano disinvoltamente aggressioni e omicidi, stupri e molestie, molestie psicologiche e sfregi con l’acido. Si citano calcoli di dubbia scientificità sulla probabilità che ha una donna di essere stuprata, nell’arco di una vita, cioè fra i 13 e gli 83 anni: un periodo di sette decenni (come se potessimo confrontare l’Italia di oggi a quella del 1943, o a quella del 2083 per intenderci).
I migliori dati disponibili sono ovviamente quelli dell’Istat, che ha i mezzi e la cultura per dare un senso alle cifre e la serie che l’istituto fornisce è inequivocabile: la violenza che sfocia in omicidio da vent’anni è in calo. Nel 1992 c’erano stati in Italia 1.275 omicidi, nel 2010 (ultimo anno disponibile) appena 466, cioè poco più di un terzo. La diminuzione riguarda principalmente gli uomini ma anche le donne: se c’erano state 186 vittime nel 1992, nel 2010 ce ne sono state 131, con un calo del 29,57%.
Ora, potrebbe essere che all’interno di una diminuzione generale degli omicidi, la particolare categoria delle donne uccise da un partner, o da un ex partner, sia in aumento. Questo è possibile ma non abbiamo dati per affermarlo perché occorrerebbe chiarire il rapporto assassino-vittima per tutti i casi censiti. A mia conoscenza questo lavoro non viene fatto dalle fonti ufficiali e l’unica ricerca accademica che ha utilizzato questo approccio è stata fatta da Elisa Giomi dell’Università di Siena e da me, studiando a fondo i dati del 2006. La ricerca è stata accettata da una rivista internazionale di sociologia e comparirà tra qualche settimana. Quello che possiamo anticipare qui è che, nel 2006, furono risolti i casi di 162 omicidi di donne e che, tra questi, 100 erano casi in cui il colpevole era un marito, un fidanzato o un ex.
Nell’ipotesi che il tasso di omicidi da parte di uomini con cui le vittime avevano una relazione sia rimasto costante al 62%, com’era nel 2006, le vittime del 2010 sarebbero state 81. Poiché si parla, nei giornali, di 25 vittime nei primi quattro mesi dell’anno, nel 2013 le donne assassinate da uomini che avevano rifiutato potrebbero diventare 75: siamo di fronte a un fenomeno grosso modo stabile, non a un’emergenza mai vista prima.
Anche un solo cadavere è di troppo, anche una sola vittima è “insopportabile” ma, in un Paese di 60 milioni di abitanti, ci saranno sempre i mafiosi, i violenti, i folli. E’ fondamentale che la violenza venga punita ma creare il panico non serve a nessuno, men che meno alle donne, che a guardare i titoli dei giornali dovrebbero aspettarsi più aggressioni che carezze dai loro partner. Ogni separazione potrebbe essere il preludio a un attacco con l’acido o a un omicidio: non è così. Lo ripeto: gli omicidi di donne sono un fenomeno stabile, tendenzialmente in calo qualsiasi sia l’anno preso come riferimento: oscillano fra i 160 (1998) e i 131 (2010). Non c’è bisogno di inventare cifre balzane e di firmare appelli alla creazione di “task force” ministeriali per sapere che i colpevoli vanno arrestati, perseguiti, condannati severamente. Le leggi ci sono.
Infine, una nota sul linguaggio. Spesso si usa il termine “femminicidio” per chiamare le aggressioni contro le le donne anche quando, fortunatamente, non hanno conseguenze mortali: per esempio uno sfregio con l’acido. Ora, un omicidio è un omicidio, e “lesioni gravissime” sono lesioni gravissime. Dalla tomba non si esce, dall’ospedale sì. Per di più, il “femminicidio” sarebbe un’espressione impropria anche in caso di morte: a imitazione di “genocidio” si crea una nuova parola che crea una nuova realtà: le donne uccise “in quanto donne”, come gli ebrei, sterminati “in quanto ebrei”.
Ma il paragone non regge: gli ebrei Samuel, Israel, Ruth o Esther venivano mandati dai nazisti nelle camere a gas per il solo fatto di essere di religione ebraica, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione. Le donne uccise da ex partner non vengono uccise “in quanto esseri umani di sesso femminile” bensì esattamente per la ragione opposta: per essere quella donna che ha rifiutato quell’uomo. Michela Fioretti è stata uccisa dall’ex marito Guglielmo Berettini, che non accettava di essere stato lasciato. Berettini non ha sparato sei colpi di pistola contro la prima donna che ha visto per strada: ha ucciso Michela perché era Michela che l’aveva lasciato. Non c’è bisogno di creare una nuova categoria di reati, di inventarsi nuove pene: per l’omicidio c’è già l’ergastolo. Chiamiamo le cose con il loro nome, puniamo i violenti ma guardiamo in faccia la realtà e non creiamo il panico quando non ce n’è bisogno.
Occorre stare in guardia contro la facile presa di una “bolla informativa” che impaurisce l’opinione pubblica. Agli amici e alle amiche ben intenzionate che si mobilitano su questo tema vorrei dire che la paura è un potente strumento di governo e raramente l’ingigantirla ha portato benefici di sorta ai cittadini. Nel 2006-2007 sembrava che dietro ogni omicidio di una donna ci fosse un extracomunitario, nel 2013 sembra che il colpevole debba essere un marito o un ex: prima di creare task force ministeriali o addirittura nuove leggi guardiamo ai numeri veri del fenomeno

mercoledì 8 maggio 2013

Marinella Colombo, condanna anche in appello. 10 mesi alla nonna dei bambini - Associazione di Associazioni Nazionali per la tutela dei Minori

Marinella Colombo, condanna anche in appello. 10 mesi alla nonna dei bambini






Marinella Colombo, condanna anche in appello. 10 mesi alla nonna dei bambini - Associazione di Associazioni Nazionali per la tutela dei Minori


Sale ad un anno e 8 mesi, rispetto al primo grado (un anno e 4 mesi), la condanna in appello per Marinella Colombo, la donna accusata di aver portato via da Monaco nel febbraio 2010 i figli avuti dall'ex marito tedesco.
I giudici hanno, in sostanza, confermato l'assoluzione per l'accusa di sequestro di persona. La condanna arriva per sottrazione internazionale di minore e maltrattamenti. Condannata a 10 mesi anche la madre della Colombo.
Si arriva così al secondo grado di giudizio su una vicenda che ha appassionato l'opinione pubblica e che ha comunque aperto uno squarcio di luce sullo Jugendamt, l'organizzazione governativa tedesca al centro di numerose proteste per i metodi poco trasparenti con cui la Germania, di fatto, viola la Convenzione Europea e i trattati internazionali in materia di affidamento dei figli ai genitori non-tedeschi.
Lo Jugendamt è un ente statale tedesco, qualcosa di più che un ufficio di assistenza giovanile, come invece si pensa. L’organizzazione, che svolge anche un’encomiabile opera a difesa dei giovani sottoposti a violenza, ha la funzione di sostegno attivo ai tribunali e di difesa degli interessi della Germania. Il codice sociale tedesco prevede per legge che lo Jugendamt intervenga sempre quando ci sono della cause di divorzio tra genitori che hanno figli minori, soprattutto quando a separarsi sono coppie binazionali.
In tribunale, al momento della separazione, sono presenti la mamma, il papà e come parte in causa lo Jugendamt (il terzo genitore). Il suo compito è quello di garantire il Kindeswohl, letteralmente “bene del bambino”, che per i tedeschi non è il bene superiore dei figli – come previsto da tutte le convenzioni internazionali – ma è il bene del bambino secondo la comunità tedesca.
In poche parole: lo Jugendamt tende ad anteporre l’essere tedesco dei bambini al loro vero bene, facendo in modo che nessun minore lasci la Germania, che l’affido esclusivo non venga mai dato al genitore straniero, e interrompendo o rendendo difficile i suoi contatti col figlio. Come? Ad ogni costo, con qualsiasi mezzo, spesso anche con misure penali. E gli esiti possono essere devastanti.

Fonte: ADIANTUM - ANSA

http://www.adiantum.it/public/3344-marinella-colombo,-condanna-anche-in-appello.-10-mesi-alla-nonna-dei-bambini.asp

domenica 5 maggio 2013

Dall'Australia un campanello di allarme sugli effetti delle separazioni.


young-boys-difficulty-adjusting-to-divorce

http://www.f4e.com.au/blog/2011/05/29/report-on-family-separation-reveals-surprises/

A recent study conducted by the Australian Institute of Family Studies performed in the wake of the 2006 family law reforms has exposed a number of surprising facts about adolescents’ adjustment after parental separation.
The study, which was based on 623 Australian teenagers between the ages of 12 and 18 whose parents had separated between July 2006 and September 2008, was released yesterday by the federal Attorney-General, Robert McClelland.
The study found that boys often have a harder time adjusting to their parent’s separation…
The study found that boys and girls tend to react differently to parental separation. The study found that boys often have a harder time adjusting to their parent’s separation and are more likely than girls to feel that it would have been better if their parents didn’t separate.
According to Jodie Lodge, a research fellow at the Australian Institute of Family Studies, and the study co-author, boys may experience greater distress than girls because of less maturity and awareness of the problems in the marriage.
The study also found that most adolescents did not want to have a say in which parent they lived with.
The study also found that most adolescents did not want to have a say in which parent they lived with.
”It’s important for young people to have a voice but important to recognise some don’t want to be put in the position of having to choose between parents”, Dr Lodge said.

mercoledì 1 maggio 2013

Il Brasile criminalizza la PAS (Parental Alienation)

Dads on the Air, Parental Alienation, Brazil


Finally the world has witnessed the first Government with the courage and insight to recognize and legislate for the criminalization of Parental Alienation. Brazil is the first country in the world to actually enshrine the cursed criminal behavior of Parental Alienation into its criminal code of justice. By so doing, Brazil is now leading the way into facing up to the  world’s human rights responsibilities, which obliges every country to protect the human rights of it’s nations’ children, by ensuring all their children enjoy a continuing relationship with both of their responsible parents.
First up we speak with Brian Ludmer, Lawyer and Expert on Parental Alienation in Toronto Canada. Brian is a highly credentialed lawyer with expertise in corporate /commercial and securities law and Family Law, most particularly with Parental Alienation.
The advantages of having exposure to both fields is that his commercial background brings a perspective to what Family Law could be or should be when Family Law is often dysfunctional. The understanding promotes negotiations between parents. The difference is that in business the benefits are often shared which may not be the case in Family Law. In Family Law it is often a zero sum with winner takes all instead of the optimal situation of two healthy homes.
Brian has written many papers on PA. He defines PA as a pattern of behaviour or a strategy by an aligned parent leading to a rejection in whole or in part of the other parent. You look at the results to determine if it is mild, moderate or severe. It is sometimes called “Parental Alienation Syndrome.”
We then speak with Tamara Brockhausen Psychologist and writer on Parental Alienation from Sao Paolo, Brazil, who is the wife of Judge Elizio Perez, the Brazilian Judge who wrote the world’s first Law criminalising Parental Alienation from Sao Paolo, Brazil. Tamara kindly volunteered to translates the interview with Judge Perez.
Judge Perez commented that although parental alienation occurs in Brazil as it does in other countries the justice system ignored it until the legislation that he introduced.
The law has been in place in Brazil since August 2010. There is still some resistance in Brazil to even the existence of PA among professionals such as therapists so the Judge sees this as a good thing that the law is in place.
The broader application of the law is that parents who are worried that there may be PA occurring can read the law for themselves and then ask questions. They are worried about the penalties to which they may be exposing themselves.
A good thing about the new law is that PA is set out and defined so Judges can do something without having to wait for a report from Psychologists or other professional experts.
Judge Perez said that the list of symptoms set out in the law came from the professional advisers such as therapists and affected parents. When proved in Court the Judge can impose a fine or one of the other penalties.
The penalties available include uncapped fines. The Judge determines the amount of the fine after taking everything into account including the severity of the alienation and the means of the parents. Fines have ranged from $100 to $1000 a day while the alienation continues. Other remedies include increasing the time with a parent or making it joint. If joint is not possible the Judge can reverse the residence order.

Fonte:
http://dadsontheair.squarespace.com/