mercoledì 2 marzo 2016

adozione lesbica incrociata: sentenza tribunale

Acrobazie legali sulla pelle dei bambini di Tommaso Scandroglio2-03-2016 AA+A++
Ancora una volta un tribunale italiano dà in adozione bambini a coppie omosessuali. Ma per la prima volta in Italia abbiamo una doppia adozione incrociata lesbica. Infatti una partner di una coppia omosex ha adottato la figlia naturale della compagna e quest’ultima ha ricambiato il favore adottando la figlia dell’altra compagna avuta tramite fecondazione artificiale eterologa. Il Tribunale che ha prodotto questo prodigio genitoriale, gesto atletico da veri acrobati del diritto, è sempre quel Tribunale dei Minori di Roma che già in passato aveva aperto le porte all’adozione gay.
Quale il puntello normativo? Per l’ennesima volta l’art. 44 della legge 184 del 1983 che disciplina l’istituto della adozione. Questo articolo regolamenta i casi particolari di adozioni, cioè quando il minore non è in stato di abbandono. Ora queste due bimbe, di 4 e 8 anni, non erano in effetti in stato di abbandono dato che vivevano con le proprie madri. Ma questa non è l’unica condizione da rispettare affinché sia permessa l’adozione in casi particolari. Vediamo quali sono queste condizioni che consentono, anche ai single ed ai conviventi (e la coppia lesbica è convivente), di adottare un bambino.
La lettera a) dell’art. 44 afferma che i minori possono essere adottati “da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, anche maturato nell’ambito di un prolungato periodo di affidamento, quando il minore sia orfano di padre e di madre”. La lettera non è applicabile al caso romano perché il minore non è orfano dei genitori biologici.
La lettera c) – saltiamo la b) perché si riferisce solo alle coppie sposate – permette l’adozione particolare per minori handicappati e che hanno perso madre e padre. Nemmeno questa lettera può essere applicata al caso della coppia lesbica.
Veniamo alla lettera d) che è stata richiamata dai giudici di Roma per legittimare questa doppia adozione incrociata. Coppie coniugate, conviventi (come la coppia omosessuale qui presa ad esame) e single possono adottare il minore non in stato di abbandono “quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”. L’affidamento preadottivo è quel periodo di tempo in cui il bambino vive a casa della coppia che ha chiesto la sua adozione e che precede la pronuncia di adozione definitiva. In sostanza è un periodo di prova. Nel caso della coppia lesbica non solo manca la prova dell’impossibilità di affidamento preadottivo, bensì – a ben vedere – tale affidamento di fatto c’è stato, dato che entrambe le bambine hanno convissuto per parecchio tempo con le rispettive mamme adottanti. Quindi in punta di diritto tale adozione è illegittima.
E dunque, dato che le lettere a) e c) non potevano assolutamente essere utilizzate al caso in questione poichè le mamme – e molto probabilmente anche i padri – erano ancora in vita, pur di dare in adozione queste bimbe alle aspiranti adottanti,  i giudici, cimentandosi in un carpiato doppio, hanno piegato al loro volere l’ambito di applicazione della lettera d), l’unica rimasta disponibile nell’alfabeto del fantadiritto. Un gesto acrobatico, come abbiamo detto, da cui mamme e giudici sono usciti indenni, ma non così le bambine che rischieranno di rompersi l’osso del collo, come testimoniano moltissimi studi.
Tale intento manipolatorio del Tribunale è così manifesto che l’avvocato Maria Grazia Sangalli, presidente di Rete Lenford – associazione di legali che tutelano le persone omosessuali e che hanno dato assistenza anche a questa coppia di lesbiche – ha dovuto ammettere, richiamando proprio la lettera d), che "attualmente, in mancanza di una normativa sull’ adozione da parte delle coppie formate da persone dello stesso sesso il percorso per giungere all’adozione da parte di queste coppie è possibile solo interpretando la normativa in vigore in senso ampio ed evolutivo”. Ampio ed evolutivo o erroneo ed illegittimo?
La Sangalli si è poi lamentata che l’adozione in casi particolari conferisce al minore uno status di figlio di serie B. Infatti, laddove i genitori biologici sono ancora in vita, non elimina i rapporti con la famiglia di origine e in aggiunta il minore oltre al cognome dell’adottante conserva il proprio (e così le due piccole avranno due cognomi) e non acquista alcun legame di parentela con i familiari dell’adottante (ed infatti le due bambine non saranno sorelle). Infine – e potrebbe rappresentare una utopica scialuppa di salvataggio – il tribunale può revocare l’adozione per indegnità dell’adottante. Ovvio che nessun giudice si sognerà mai di farlo in casi come questi perché le coppie gay sono giuridicamente intoccabili.
Una conclusione tra le tante: avete presente una di queste giornate di febbraio-marzo quando, camminando per la via ed investiti dal vento freddo e dalla pioggia battente, vedete in una vetrina abiti dai tagli e colori primaverili e pensate che la moda deve sempre anticipare le stagioni per non essere paradossalmente “fuori stagione”? Ecco i giudici del Tribunale dei Minori di Roma hanno già scelto per la stepchild adoption (addirittura doppia e contemporanea), anticipando così la Cirinnà laddove prevede che in materia di adozioni gay saranno i giudici a decidere. Ben prima del varo della legge questa è stata già ampiamente rodata da quei magistrati assai attenti al superiore interesse non dei bambini, bensì degli adulti omosessuali.

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