mercoledì 27 dicembre 2017

Morte dei padri separati a Natale


Solitudine di Natale, morte dei padri separati


Ci sono morti silenziose che distruggono solo il cuore di chi vive questo dramma di solitudine.
Non voglio essere politicamente corretta, francamente oggi me ne infischio.
Dopo anni di costante osservazione nel mondo dell’associazionismo separativo, storie ascoltate, migliaia di atti letti, abbiamo evidenziato un elenco di soggetti coinvolti, con in capo una qualsiasi responsabilità, in questo circolo vizioso
Genitori vigliacchi e vendicativi
Avvocati senza professionalità e senza scrupoli
Giudici indegni
Servizi sociali parziali e indottrinati all’inquantomammismo
Assessori ai Servizi Sociali “disattenti”
Un popolino ignorante e gretto….
…In questo panorama troppi padri si tolgono la vita….
No, ma “loro” pensano ai femminicidi… quelli sì salgono alla ribalta.
Non si vuole mettere in contrapposizione un episodio piuttosto che un altro, si chiede pari dignità almeno nella morte.
Anche questo è un omicidio, ancorché questo PADRE si è suicidato.
È ora di dire BASTA A TUTTO QUESTO.
Questo episodio è solo l’ultimo in ordine cronologico, molti altri prima di lui durante il periodo natalizio non hanno retto alla solitudine.
“Perdonatemi”

“Perdonatemi”, l’ultimo straziante messaggio prima della morte: addio al papà di Quartu
 
Fonte: http://www.laurabesana.it/2017/12/27/solitudine-di-natale-morte-dei-padri-separati/

lunedì 4 dicembre 2017

Centri antiviolenza: una bolla speculativa


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MILANO - ANNUNCI OFFERTE DI LAVORO - AGENZIA LAVORO INTERINALE 

Negli anni ’90 ci fu il boom della new economy e di concetti correlati quali la mobilità e flessibilità del lavoro. In tutto il mondo i governi colsero l’occasione per riformare gli ordinamenti giuslavoristici ereditati dal passato industriale, adattandoli alla nuova eterogenea e cangiante realtà economica ancorata ai servizi. I mitici “Uffici di collocamento” passarono quindi la mano ai più fragili “Centri per l’impiego” pubblici, ma soprattutto si diede una delega in bianco alle “Agenzie di lavoro”, imprese private che commerciavano in risorse umane, assecondando un processo verso cui non mancarono fortissime resistenze.
Fu per superare proprio quelle resistenze che sul piano culturale le élite globali e nazionali spinsero e spesero grandi risorse per affermare il ruolo di questi soggetti privati, che finirono per proliferare. Legioni di giovani registrarono i loro Curriculum Vitae e sperarono in una chiamata. Molti di loro, va detto, trovarono la via per un inserimento nel mondo del lavoro, che magari dura ancora oggi, ma non è l’efficacia di questi soggetti a interessare. Piuttosto è il fatto che in quel periodo le città erano invase di pubblicità delle diverse agenzie di lavoro, che pullulavano a piano strada in una proporzione pari oggi ai negozi dei cinesi. La spinta istituzionale alla nouvelle vague del mercato del lavoro, testimoniata dai pochi vincoli imposti per aprire un’agenzia di lavoro, era sotto gli occhi di tutti. Oggi di quella pletora rimane un 10%. Imbattersi casualmente in un’agenzia di lavoro è quasi impossibile. Bisogna cercarle, e il loro numero è nettamente calato.
Crisi-agricola-immagine-simbolica-300x279Più o meno nello stesso periodo l’ingresso dell’Italia a pieno titolo nell’UE comportava, tra le prime conseguenze, la rinuncia della sovranità sulle politiche agricole. Il pallino, su quella tematica, passava a Bruxelles, dove gli interessi francesi la facevano da padrone. Risultato: l’agricoltura italiana conosce una crisi pesantissima. Nasce così, per sostenere un settore in crisi, l’idea dell’agriturismo. Le aziende agricole messe in ginocchio dalle politiche comunitarie potevano trasformare la loro attività di produzione mescolandola a un’attività di servizi per il turismo. Anche in questo caso vincoli pochi, pubblicità tanta, spinta culturale fortissima, e fu il boom.
Per un lungo periodo gli agriturismi sorsero come funghi. In ogni regione, anche nelle più piccole, se ne contavano tantissimi, c’era oggettivamente l’imbarazzo della scelta. Chiunque fosse in possesso di un appezzamento, un paio di caprette annoiate, una mucca smunta, qualche gallina spelacchiata e un orticello poteva spacciarsi per agriturismo. Sulle pagine dei giornali, autorevoli e meno autorevoli, si sprecavano i redazionali con personaggi noti e meno noti che testimoniavano la loro favolosa vacanza in agriturismo. Oggi quel mercato è ancora prospero, per fortuna, ma è dovuto passare, dopo un po’, sotto le forche caudine sia della crisi, sia di un eccesso di offerta rispetto alla domanda, sia di una legislazione più sensata e restrittiva per accedere all’apertura di questo tipo di impresa.

Quelli sopra riportati sono solo due esempi di “bolle speculative”, volute e create dal sistema per spingere sul piano culturale ed economico realtà commerciali specifiche, per imporre una narrazione diffusa e, alla fine dei conti, per mutare una mentalità. Dietro vi è in minima parte una strategia economica complessiva, ma soprattutto un calcolo per orientare l’opinione pubblica verso determinate direzioni, avvantaggiando agglomerati di interessi a loro volta collegati con interessi politici. Il tutto con i media a pieno supporto. L’esito, in tutti i casi, è sempre un boom di ciò che viene imposto, sia che si tratti di agenzie di lavoro, di agriturismi o di altro. Che si configura come bolla speculativa perché, non avendo uno sbocco reale o non rispondendo a una domanda reale, di fatto non ha fondamento. E’ un boom “drogato”, sostenuto solo da strategie e investimenti politici e mediatici.

Meccanismi che si ripetono periodicamente, coinvolgendo di volta in volta settori diversi, e che seguono uno schema più o meno sempre uguale: battage per imporre all’opinione pubblica un’emergenza o la necessità di un’evoluzione (il più delle volte presunte quando non inesistenti), risposta all’emergenza con l’individuazione e pubblicizzazione ossessiva di soggetti teoricamente capaci di risolvere l’emergenza, libertà d’azione e assenza di vincoli per questi soggetti in modo che proliferino senza freni. Quando la “bolla” così creata esaurisce i suoi compiti, consolidandosi (come nel caso degli agriturismi) o sfruttando al massimo le opportunità (come le agenzie di lavoro), il passaggio successivo è quello di dare regole più stringenti, che consentono alla bolla di sgonfiarsi gradualmente, invece di esplodere. Un altro esempio calzante è l’emergenza ecologica del risparmio energetico immobiliare, risolta con l’obbligo di un’inutile certificazione a carico di chi vende casa, che ha fatto e sta facendo la fortuna di un gran numero di geometri, senza che il problema del risparmio energetico venga risolto.
cav-guidoniaSe si usa la chiave di lettura della bolla speculativa, si riesce oggi a dare una spiegazione all’isteria dilagante relativa alle violenze di genere (intese naturalmente solo come “contro le donne”), con tanto di supporto di statistiche pubbliche e ufficiali piegate a scopi ideologici e propagandistici, e un esercito di media impegnati come non mai a manipolare l’informazione. La “bolla” oggi è imporre la necessità di un numero imprecisato di nuove imprese che vadano sotto la specie di “centri antiviolenza” o “case rifugio” o similari, con tutto l’indotto occupazionale che esse innescano. Anche grazie alla pressoché totale assenza di regolamentazione (come da schema usuale) di requisiti di legge. Si impone dunque un’emergenza che non c’è, o non c’è nelle proporzioni con cui viene rappresentata, e si dà come risposta la distribuzione a pioggia di denaro pubblico a soggetti pressoché privi di ogni regolamentazione. Che però non trattano forza lavoro, non commerciano servizi turistici, ma si occupano di casi umani spesso in situazioni gravissime.


Questa volta la bolla speculativa si macchia quindi di un cinismo atroce, che fa proliferare un business ingiustificato, a danno di chi davvero avrebbe bisogno di un sostegno (e centri davvero specializzati sarebbero una manna in questo senso) e di chi finisce incastrato in meccanismi distorti, capaci di rovinare un’intera esistenza. Come un tempo si trovava un’agenzia di lavoro in ogni via, o un agriturismo ogni tre chilometri in campagna, oggi c’è l’imbarazzo della scelta sui centri antiviolenza. Che però vivono di contributi pubblici, con un bassissimo accesso di utenza reale (e un altissimo accesso di utenza fittizia). Le statistiche sulla creazione di nuove imprese migliorano, così come quelle sull’occupazione, voti e consensi elettorali fluiscono liberamente, lobby e holding collegate prosperano. E fra qualche tempo, quando questo doping esaurirà la sua spinta, per fare l’operatore di un centro antiviolenza serviranno requisiti specifici, così come aprirne uno laddove già ce ne siano molti. Tutto insomma sarà riportato alla giusta proporzione. Ma a che prezzo, intanto?


beauty_jpg_363x200_crop_q85Un prezzo alto, molto alto, pagato essenzialmente da chi avrebbe bisogno davvero di un supporto professionale, e nell’inflazione dilagante non lo trova, o lo trova nella mera spinta a sporgere una denuncia purchessia, e da chi oggi si trova suo malgrado a sostenere una narrazione diffusa distorta a supporto di queste attività, facendosi 42 giorni ai domiciliari per un bacio denunciato falsamente come molestia.


Fonte: https://stalkersaraitu.com/2017/11/30/i-centri-antiviolenza-sono-lennesima-bolla-speculativa/

venerdì 29 settembre 2017

Turiste USA con polizza anti violenza: di 200 denunce, il 90% (180) sono inventate


Turiste Usa in Italia con polizza anti-violenza: 200 denunce l’anno, il 90% sono inventate


NEW YORK Non esiste una polizza assicurativa specifica contro lo stupro: né per un cittadino americano in patria, né per chi viaggia all’estero. Esistono polizze che assicurano sui danni provocati da violenza (rapine, scippi, omicidi, infortuni vari) sia in patria che all’estero. E le ragazze di Firenze ne avevano una di questo tipo, stipulata dal college con cui sono arrivate in Italia. Ci sono comunque delle cifre che fanno riflettere: ogni anno, solo a Firenze, vengono presentate da ragazze americane dalle 150 alle 200 denunce per stupro. di queste il 90% risulta completamente inventate.

Gli studenti americani che partono a frotte ogni anno per un semestre di studi all’estero hanno la scelta, come ogni viaggiatore, di acquistare appunto una assicurazione temporanea contro gli infortuni. Le università statunitensi raccomandano vivamente l’acquisto, e i genitori sono ben felici di sapere che i loro figli saranno protetti, a dispetto delle differenti normative locali. «I contratti sono generici, molto meno articolati di una polizza sulla salute che viene offerta negli Usa ci ha detto Ashley McCornick, responsabile della Cultural Insurance Services International, un’agenzia che fa da ombrello per queste speciali polizze a molte società di assicurazioni statunitensi. Nessuna polizza contempla in modo specifico la violenza sessuale. In tema di sesso, è molto più frequente vedere clausole che declinano la copertura assicurativa in caso di contagio di una malattia trasmessa durante un rapporto. Una disposizione questa che tende a scoraggiare il turismo sessuale».

IL VENDITORE
Per Dominick Serrano, venditore della polizza Geo Blue che accompagna molti degli studenti della New York University in visita a Firenze «un caso come quello delle due vittime fiorentine rientrerebbe nell’ipotesi generale di infortunio, e le spese sostenute verrebbero rimborsate al 100%».
L’idea di una assicurazione contro lo stupro è stata discussa seriamente dal parlamento in India nel 1999, ma la proposta è stata affossata dalle critiche del movimento femminista che la considerava colpevolizzante per le donne e per gli uomini che avrebbero dovuto accettare l’identità di vittime predestinate, e pagare il costo monetario relativo a tale etichetta. Breve vita ha avuto anche l’idea dell’australiana CGU, che in Sud Africa aveva iniziato ad offrire la polizza Rape Survival per garantire l’accesso ai medicinali nel caso di sieropositività di una persona che aveva subito violenza.

LE PROMESSE
La società ha scoperto di non essere in grado di mantenere la promessa in una società nella quale una donna su quattro sperimenta lo stupro, e dove il 25% della popolazione è portatore del HIV. Il rischio che alcuni tra i 320.000 studenti possano essere vittime di stupro mentre sono all’estero è ben conosciuto dai college e dalle università americane. L’ipotesi è discussa apertamente nei siti web delle scuole, e dai consulenti chiamati ad orientare gli allievi nel campo minato della crescita sessuale. Non esistono «paesi a rischio», almeno nella cinta europea, e soprattutto non esistono dati affidabili, in Europa come nel resto del mondo. Le denunce di violenze da parte delle vittime sono il 16% di quelle perpetrate, secondo le proiezioni elaborate dall’Onu.

Nuova Zelanda: l'infanticidio è diverso da assassinio (per le madri)

venerdì 25 agosto 2017

Il tramonto del Padre è il tramonto dell'Occidente


Sicuramente i padri, quelli separati, assistono con un certo disincanto a quanto sta avvenendo sul fronte immigrazione e jus soli.
Da più parti, dalla politica, alle ONG, allo stesso Vaticano è tutto un fermento di difese: difese dei diritti, difesa della legalità, difesa della Nazione, difesa delle persone, difesa degli Italiani, difesa dello straniero, delle donne e dei bambini vittime della guerra e della persecuzione, jus soli e jus culturae.

I padri italiani, vittime delle prassi delle ingiuste separazioni coniugali, assistono con disincanto nel vedere un film già visto, un déja vu, per intenderci quello fatto di titoloni sulle testate giornalistiche dove molti sedicenti benefattori corrono "in aiuto di", "in difesa di", aiuto fatto sulla carta di buone intenzioni e declinato nel modo più miserevole. Il déja vu  del business dell'aiuto.

La febbre dell'aiuto sembra il leitmotiv del tempo attuale, che ha sostituito la febbre dell'oro.
Salvo constatare che poi è la stessa cosa.

Le ONG umanitarie in aiuto dei gommoni, le cooperative in aiuto dei migranti, la Caritas in aiuto degli sbarcati, le Amministrazioni Comunali consenzienti in aiuto dei rifugiati, lo stato in aiuto economico delle organizzazioni in aiuto dei rifugiati. Salvo poi constatare che tutto questo fermento, tutto questa dedizione alla difesa del debole è ben remunerata, ha i suoi vantaggi e, "sorprendentemente" non consegue gli esiti desiderati.





Vantaggi assicurati per chi gestisce il soccorso umanitario: COOP, Caritas, ONG, centro di accoglinza. Salvo poi constatare che, dietro l'aiuto, si nasconde la truffa, il falso e i maltrattamenti, magari a danno degli stessi soggetti che si intendeva aiutare. Senza parlare dei problemi di convivenza e di legalità (vedere i fatti di Roma nello sgombero dei rifugiati a Piazza indipendenza)




Salvo poi entrare in un giro vizioso. Con l' "accoglienza ad ogni costo" si incentiva l'immigrazione (volontaria e imposta dagli "scafisti"), con l'immigrazione si incentivano i trasferimenti in denaro dello Stato e il gioco è fatto. Il business dell'accoglienza, alcuni giornali lo hanno titolato. 

Alcuni vedono più in là e scorgono, nei fenomeni immigratori voluti e finanziati, nell'accoglienza ad ogni costo, un chiaro esempio di decadenza della società.

Ida Magli scriveva:

"Ogni sistema culturale integra comportamenti estranei soltanto se questi non sono in contraddizione con il modello di base, se non ne alterano la «forma» significativa".

"Ogni modello culturale possiede una forma, ...., e rigetta perciò gli elementi estranei non compatibili, in analogia con il sistema immunitario di sorveglianza e di identificazione con il quale li rigetta l'organismo biologico. Non appena, quindi, viene meno la reazione di rigetto e il sistema comincia a lasciarsi invadere da elementi appartenenti a sistemi diversi, inizia il suo itinerario verso l'estinzione e manda il tipico segnale che l'antropologo percepisce come «etnologico»: segnale di pseudovita, di «vita morta».



In ambito di diritto familiare, sembra di aver assistito a un fenomeno simile, anche qui basato sul business dell'aiuto. Gli assistenti sociali in aiuto dei bambini (presunti) maltrattati, gli avvocati familiaristi in aiuto delle madri (presunte) vittime di violenza, le Amministrazioni in aiuto, economico e legale, delle donne (presunte) vittime di violenza, lo Stato in aiuto dei centri di accoglienza delle donne vittime di violenza (presunta), i tribunali che "mettono il minore al centro", le case famiglie desiderose di aiutare i minori messi "al centro", e poi la schiera di psicologhette e di educatori che, biro e notes, fanno colloqui, aiutano, aiutano, stendono perizie per i tribunali, formulando evanescenti valutazioni  sulle "capacità genitoriali" dei padri italiani.
Una danza macabra con al centro i nostri figli.




Salvo poi constatare che i padri accusati delle più sperticate nefandezze non sono tali, che nella maggior parte dei casi le accuse si rivelano infondate (fenomeno quasi internazione che ha pure l'hastag: #falseallegation) e poi tutti a piangere lacrime di coccodrillo e a stracciarsi le vesti perchè, dopo aver forzatamente privato i nostri figli della figura paterna,  "a rimetterci sono sempre i minori, i bambini i più deboli".




 Ormai c'è stato il lavaggio del cervello.

Il provvedimento sul femminicidio è ottimo esempio anticostituzionale e sessista. Il crimine non ha sesso né posizione geografica. La violenza è violenza, sia se è un uomo a praticarla su una donna sia viceversa. E' un errore fare leggi inseguendo la psicologia popolare e l'ondata mediatica del crimine, nella speranza di prendere voti o di avere ragione. Ma le vittime maschi non esistono per i Boldriniani.  Un capolavoro di "fake news" a cui tutti si sono inchinati in perenne adorazione. Anche le prolusioni inamidate del card. Bagnasco indicavano come "emergenze" il femminicidio.

Dei padri italiani, di quelli "biologici", della "vis", della paternità, dell'autorevolezza paterna è stato sistematicamente coltivato il disprezzo, con la pretesa di "mettere il minore al centro",  così come si sta coltivano il disprezzo della società occidentale sotto le mentite spoglie dell'"accoglienza".
Un tempo le femministe sfilavano per le strade "contro la società patriarcale". Oggi quelle sfilate si sono trasformate "contro la società omofoba e patriarcale". E le similitudini tra il disprezzo della "vis" e il disprezzo nutrito verso il mondo Occidentale con i  principi di legalità, non si fermano qui.


E' una similitudine che diventa non solo formale, non solo fatto di parole, ma , secondo la Ida Magli, sostanziale.
Perchè per la Magli, la "vis" è la sostanza della società occidentale. Scrive in "Il tramonto dell'Occidente".

"Questo che manca all'Europa: l'aspirazione a un futuro. Manca perché la maggior parte dei suoi tratti culturali è esaurita. Manca perché una società priva di vis, dove non si sa più che cosa sia la «virilità», la potenza della virilità, e addirittura la si disprezza, non possiede più alcuna spinta aggressiva verso l'esterno e anzi si trova in stato di passività e di soggezione. Manca perché i suoi leader, governanti, clero, giornalisti l'hanno spinta e la spingono ogni giorno a perdere le proprie caratteristiche per unificarla e omologarla al resto del mondo. Laddove tutti sono «uguali» (o vengono costretti a sembrare uguali) la passività dei sudditi è assicurata, ma è assicurata anche l'assoluta debolezza della società."


Con un atto di orgoglio il Meeting di Rimini titola, come il Faus di Goethe: Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo coniugando, pericolosamente per i tempi odierni, l'immagine del padre (oggi blasfema) con l'eredità del passato.

Scrive la Magli, senza essere troppo politically correct e usando frequentemente il maschile:

L’ostinata opera di disprezzo, dell’odio e del tradimento da parte dei governanti è cominciata da lì, dallo sforzo per negare la grandezza e la bellezza di questi fattori eccezionali. Prima di tutto negando ostentatamente ogni valore ai fondatori di Roma e padri degli Italiani, malgrado l’evidente assurdità dell’impresa. Sì è cercato di calpestarne il genio giuridico..di passar sopra la grandezza della lingua latina..di far dimenticare la capacità ingegneristica dei Romani, rimasta tuttora ineguagliata, e si è parlato con disprezzo della saggezza di governo dell’Impero più grande che sia mai esistito, saggezza che uno dei maggiori storici della romanità, Pierre Grimal, ha definito come il primo Umanesimo che sia apparso nella storia del mondo

"L'Europa è diventata «femmina». Tutte le caratteristiche sociali e culturali dei «bianchi», quelle che erano implicite nella definizione stessa di «bianchi» come conquistatori, ma anche come portatori della civiltà più ricca e sviluppata in ogni campo, sono sparite. Certo, l'Europa appare ancora molto ricca in confronto all'Africa o all'India, ma si tratta di pura ricchezza materiale, una ricchezza che del resto si va anch'essa esaurendo rapidamente.
È sparita però la forza della società fondata sulla famiglia, sull'autorità del padre e dei maschi in generale, su una desiderata procreazione, sulla solidarietà dei legami di parentela. È sparito l'amore per la Patria, l'orgoglio per il patrimonio inestimabile del diritto, della letteratura, dell'arte, della musica, che caratterizza la storia d'Europa"

Probabilmente non viviamo nell'epoca della diffesa della verità. Anche il potere spirituale del Vaticano, più terzomondista che "cristiano" ha perso dignità. Sempre pieno di belle parole, che non rivoltano le coscienze. "Accompagnare, includere, discernere, accogliere, nuove sfide", per non parlare ancora di "ascolto, comprensione", "chi sono io per giudicare" e poi il capolavoro sulle labbra i tutti/e: l'Ammore. L'Ammore, l'Adonna, l'Ammadre.

Come diceva Montanelli, in italia ogni discussione va a finire in retorica, "inguaribile vizio italiano".


mercoledì 2 agosto 2017

#femminicidio: dati a senso unico

Tutte in vacanza le Cassandre? In questo torrido giugno sembra che tacciano i cori della denigrazione antimaschile,  quelli secondo i quali la violenza dell’uomo sarebbe una tara culturale da cui nessuno è escluso.
Latitano le narrazioni gender oriented che hanno imperversato negli ultimi anni, per capirci: la mattanza rosa, una donna uccisa ogni due giorni, ogni donna fra 16 e 70 anni ha subito almeno una violenza nella vita, l’orco ha le chiavi di casa, ogni donna è a rischio violenza sul posto di lavoro, in strada, in casa, a scuola, etc.
La donna è vittima per definizione, l’uomo è carnefice per DNA, punto.
L’ha spiegato in sintesi il Re dell’ovvietà antimaschile, Oliviero Toscani.
La violenza a ruoli invertiti non esiste, e se esiste è legittimata. Non si deve ammettere che possano esistere anche donne violente, e quando non è possibile negare l’evidenza salta fuori che in fondo fanno bene perché dopo tanto subire qualche uomo ammazzato non guasta.
Non è uno scherzo, sui social la violenza femminile viene applaudita, incoraggiata, addirittura esaltata.
I media, bovinamente asserviti all’ideologia di genere, accendono prontamente i riflettori su ogni vittima femminile di violenza e stalking,  ma sono costantemente distratti quando la vittima è un uomo.
Ovvio, logica conseguenza di uno strisciante diktat istituzionale, da Grasso alla Boldrini, da Mattarella (e prima ancora Napolitano) alla Fedeli si celebra la vittima dell’acido  Lucia Annibali e si snobba la vittima dell’acido William Pezzulo, anche se William ha riportato danni enormemente più gravi di Lucia.
Perché notiamo l’assordante silenzio di giugno?
Perché in questo mese la controinformazione, quella cioè non piegata al vento prevalente, registra diversi casi che – a ruoli invertiti – avrebbero saturato le pagine dei giornali, i palinsesti televisivi, il dibattito politico.      
Giugno si chiude con una notizia allo stesso tempo drammatica e curiosa
Picchia il marito da anni, allontanata
Ma le strutture protezione, pensate per donne, non accolgono l'uomo
Redazione ANSA GENOVA
30 giugno 2017   17:05
Per anni ha subito botte e insulti tanto da finire almeno due volte in ospedale con mascella e denti rotti. Vittima un uomo la cui moglie ha picchiato e umiliato per anni, anche davanti alla figlia di 7 anni, e che per questo è stata allontanata da casa. (…)
La vittima maschile non può contare su alcuna forma di accoglienza poiché, come scriviamo da anni, tutto il welfare è pensato, strutturato e finanziato esclusivamente in funzione del genere femminile. Perché prevedere un minimo di supporto anche alle vittime maschili, se le vittime maschili non esistono?
Comunque la cronaca di giugno non si ferma a percosse, lesioni, maltrattamenti e violenza assistita, registra anche casi estremamente più gravi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Così, tanto per citare alcuni dei casi che chi studia il fenomeno della violenza a 360°, quindi anche femminile, riesce a scovare online.
Perché la stranezza di fondo è questa: le vittime maschili te le devi andare a cercare con meticolosità, non hanno mai la stessa eco delle vittime femminili. 
I lanci ANSA ci sono, perché non vengono ripresi da Repubblica, Corsera, La Stampa e poi da TG Uno, TG 5, TG La7 e tutti i network nazionali?
Perché le notizie con vittime maschili sono non-notizie?
Ho archiviato 2141 google alert (duemilacentoquarantuno) sul processo che a Rimini vede come parte  lesa Gessica Notaro, la donna sfregiata dall’ex Edson Tavares.
In assenza di femminicidi, stupri e violenze del branco, qualcosa contro il maschile bisognava pur trovare. 
Ma nessuno spazio sulle testate nazionali a cinque uomini uccisi da donne, una donna che ha ammazzato la madre, qualche infanticidio, e poi pestaggi, evasioni, stalking (parecchi) e gli immancabili maltrattamenti ai bambini dell’asilo.
Meglio non scrivere niente, è estate, fa caldo, tutti in spiaggia
Con la testa sotto la sabbia.
Ps
C’è un altro caso che merita attenzione, se non altro per monitorarne gli sviluppi.
In ogni caso, si tratta del sesto uomo ucciso a giugno da una donna, resta da capire se si tratta di omicidio preterintenzionale o volontario.
 

ISTAT ammette: flop dell'affido condiviso

Linee sul Condiviso nei tribunali, si aggiunge Salerno. ISTAT ammette il flop: chi lo dice ad AIAF?

Linee sul Condiviso nei tribunali, si aggiunge Salerno. ISTAT ammette il flop: chi lo dice ad AIAF?



L’ISTAT pubblica un’analisi dei dati emergenti dalla giurisprudenza 2005/2015, ed ammette la sostanziale disapplicazione dell’affido condiviso: (…) In altri termini, al di là dell’assegnazione formale dell’affido condiviso, che il giudice è tenuto a effettuare in via prioritaria rispetto all’affidamento esclusivo, per tutti gli altri aspetti considerati in cui si lascia discrezionalità ai giudici la legge non ha trovato effettiva applicazione (…)”
Buongiorno, ben svegliati ! Fa piacere leggerlo in un documento ISTAT del 2016, ma è impossibile non ricordare che lo scriviamo da oltre 10 anni, lo dimostriamo nei convegni, nei seminari di studio, nei master universitari e nei corsi di formazione, abbiamo depositato in Parlamento corposa documentazione probatoria.
Noi, non altri, abbiamo effettuato studi e ricerche che dimostrano le dinamiche di deroga del condiviso, abbiamo raccolto il dossier sulla modulistica in uso nei tribunali dopo il 2006, abbiamo condotto l’inchiesta sulle false accuse, abbiamo effettuato un monitoraggio dei tempi di permanenza della prole presso i genitori, abbiamo dimostrato la replica del modello di affido esclusivo anche nelle sentenze che formalmente recano la dicitura affido condiviso.
Quindi ciò che rileva  il rapporto ISTAT non è per Adiantum una sorpresa, si tratta sostanzialmente della conferma di tendenze negative che avevamo iniziato ad analizzare - e segnalare - fin dal 2007, già dopo il primo anno di monitoraggio della legge 54/06.
Per un lungo periodo siamo rimasti l’unica voce fuori dal coro, un coro fatto di superficiali sostenitori della teoria “falso allarme, tutto perfetto, la riforma è largamente applicata”.
Con l’AIAF in testa, va detto.
Oggi la nostra dimostrazione di un’applicazione anomala, formale ma svuotata di contenuti, viene riconosciuta da associazioni forensi, giudici, Consiglio d’Europa, MIUR e persino dall’ISTAT; pertanto rivendichiamo con forza il ruolo di leader nell’analisi critica della disapplicazione della 54/06. 
Ora, pur senza rivoluzionare nulla, si tenta di portare dei correttivi ad un sistema discutibile che ha per anni aggirato la riforma del 2006 con prassi applicative deviate.
Il tribunale di Brindisi vara delle linee guida per ribadire il dettato del legislatore, ma incontra l’indignazione dell’AIAF – si, ancora loro – che giudica disastrosa l’iniziativa pugliese e protesta perfino presso Ministero e Cassazione, parlando testualmente di Costituzione calpestata e negazione sistematica del diritto.  
Addirittura, aggiungerei.
All’AIAF andava bene l’aggiramento della norma perpetrato ininterrottamente per undici anni? Evidentemente loro preferivano la dicitura condiviso applicata a misure che replicano il modello di affido esclusivo, nel luglio 2011 sostenevano che “(…)  l’affidamento condiviso dei figli introdotto con la legge 54/2006 è stato in questi anni ampiamente applicato (…)” (documento AIAF depositato in audizione alla Commissione Giustizia del Senato).
Poi li smentisce clamorosamente lo stesso istituto di statistica, che ammette  “la legge non ha trovato effettiva applicazione”.  
L’aggressività AIAF nello stroncare le linee guida di Brindisi resta una voce isolata, qualcuno (v. UNCM) le critica blandamente senza toccare i vertici di indignata veemenza raggiunti da Sartori & C.
Altri invece stroncano le teorie AIAF (v. ANFI, Associazione Nazionale Familiaristi Italiani -
e/o si accodano all’iniziativa di Brindisi, (v. dr. Giorgio Jachia, tribunale di Salerno - http://www.ilcaso.it/articoli/fmi.php?id_cont=944.php )
arricchendola con robuste argomentazioni giuridiche a supporto.
Ora chi lo dice all’AIAF?  
Sarebbe interessante sapere cosa pensa l’ufficio legislativo del Ministro Orlando.
 
FN

Fonte: ADIANTUM http://www.adiantum.it/public/3792-linee-sul-condiviso-nei-tribunali,-si-aggiunge-salerno.-istat-ammette-il-flop--chi-lo-dice-ad-aiaf-.asp

mercoledì 26 luglio 2017

Separazioni: 200 suicidi all'anno

Separazioni: il suicidio silenzioso dei papà che non vedono i figli

Separazioni: il suicidio silenzioso dei papà che non vedono i figli


La Pas, sindrome di alienazione parentale, è ancora lontana dall’essere ricompresa tra le malattie ufficiali: eppure i dati parlano di 200 suicidi all’anno di papà separati.
Si parla tanto di femminicidio ma a volte si dimentica che il crimine può avere un senso inverso e la violenza può provenire dalla donna. Se è vero che, solo nel 2016 sono stati 110 gli omicidi di donne ad opera del marito, convivente o dell’ex, è anche vero che altrettanti sono stati i suicidi dei padri allontanati dai loro figli per mano delle ex mogli. Un crimine che si ripete quotidianamente quello dell’alienazione del papà agli occhi dei bambini: la madre – presso cui i minori vanno a vivere – inizia un’opera di denigrazione e di demolizione della figura paterna fino a determinare un vero e proprio rifiuto del bambino di vedere il genitore. Situazioni, queste ultime, che hanno poi visto le madri, in alcune situazioni, perdere l’affidamento condiviso.
Di tanto si è parlato alla Camera dei Deputati lo scorso 20 luglio nel corso del Convegno sugli illeciti endofamiliari organizzato dalla associazione «Nessuno tocchi papà» e dall’avvocato Walter Buscema.
È intervenuto al dibattito l’onorevole Tancredi Turco il quale ha fornito una statistica allarmante. Circa 200 papà ogni anno si suicidano perché allontanati dai figli. Sono mille i suicidi in tutta Europa. Il suicidio di un papà è la risposta a una violenza subita dalla donna. Perché si parla tanto di femminicidio e non di patricidio? Perché i media sono così concentrati sulla tutela della figura femminile e ignorano che il crimine può avvenire anche nel senso inverso? «Quello dei suicidi dei padri separati è un dramma sottovalutato dai media – ci riferisce l’onorevole Turco – si parla di 200 suicidi ogni anno solo in Italia e 2000 in Europa, nella stragrande maggioranza dei casi nell’indifferenza generale. Secondo le statistiche sono 4.000 i suicidi in Italia ogni anno e tra questi, appunto, 200 quelli conseguenti ad una separazione e al conseguente allontanamento dai figli. I dati sono stati riportati in alcuni articoli di giornali che a loro volta riportano in particolare gli studi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)».
I giudici europei hanno più volte bacchettato l’Italia perché non garantisce il rispetto dei diritti di visita dei minori ai padri separati. «Il problema principale in Italia – continua il deputato – è la mancanza di norme che tutelino i diritti di visita, di educazione e di un normale rapporto dei genitori separati con i figli minori. L’unico rimedio concreto è quello di una denuncia per inottemperanza di ordine del giudice (art. 388 c.p.), ma nella realtà queste denunce quasi mai portano ad una soluzione concreta».
Qualcuno la chiama Pas, sindrome di alienazione parentale, ma sull’esistenza di una patologia clinicamente accertabile si discute ancora molto. I tribunali però si sono già accorti del grave fenomeno rispondendo con l’allontanamento dei minori dalla madre tiranna.

Fonte:
https://www.laleggepertutti.it/169198_separazioni-il-suicidio-silenzioso-dei-papa-che-non-vedono-i-figli

#dipartimentomamme



#DipartimentoMamme
Lesson N.1
Un figlio non è "tuo" perché esce dal tuo corpo.
Lesson N.2
I figli hanno due genitori:
padre e madre, anche dopo una separazione.
Lesson N.3
Siate Mamme non solo perché suona la sveglia biologica
Lesson N.4
Per essere mamma non basta trovare un uomo di passaggio.
Perché sarebbe solo una forma di egoismo.
Lesson N.5
Una brava mamma rispetta il padre e viceversa.
Lesson N.6
Una donna che vuole diventare mamma si accompagna a uomini di valore, solo così tutelerà i figli. E viceversa.
Lesson N.7
Una mamma che pretende di fare anche da padre ha alle spalle la propria responsabilità di aver fatto scelta inadeguate per il proprio figlio.
Lesson N.8
Una donna che diventa mamma non deve perdere la propria dignità ne abdicare ad altri il proprio futuro.
Lesson N.9
Una vera mamma non nega il padre ai propri figli nè ne ostacola la frequentazione.
Lesson N.10
.......

 Fonte: papà separati liguria - Roberto Castelli
https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=1450069658405152&id=117955388283259

lunedì 12 giugno 2017

Se anche ANSA falsa gli allarmi sul cosiddetto femminicidio....

Se anche ANSA falsa gli allarmi sul cosiddetto femminicidio.... - di Fabio Nestola



Se anche ANSA falsa gli allarmi sul cosiddetto femminicidio.... - di Fabio Nestola




Fonte: http://www.adiantum.it/public/3797-se-anche-ansa-falsa-gli-allarmi-sul-cosiddetto-femminicidio....---di-fabio-nestola.asp

 
La costruzione di un falso allarme femminicidio ora si avvale anche del prezioso contributo ANSA. 
La più autorevole agenzia di stampa, infatti, tuona “quattro femminicidi nei primi due giorni di maggio”.
(Roma, Cagliari, Genova, Salerno) includendo nell’elenco 3 episodi che nulla hanno a che vedere col femminicidio così come definito dalle associazioni promotrici del neologismo e della fattispecie autonoma di reato.
Il femminicidio infatti è stato sempre propagandato come l’uccisione di una donna in-quanto-donna, quindi a causa della prevaricazione maschilista che non accetta il no di una donna considerata possesso dell’uomo, la gelosia morbosa che fa dire all’assassino “o mia o di nessuno”.  
Lo slogan imperante è “il mostro ha le chiavi di casa”, a sottolineare che il femminicidio è sempre legato a rapporti interrotti o mai iniziati, infatti gli autori dovrebbero essere mariti o ex mariti, conviventi o ex, fidanzati o ex, spasimanti rifiutati.
Inoltre una pressione accessoria del movimento che ha voluto il reato di femminicidio è quella verso la stampa: nei titoli non più delitto del troppo amore, non più raptus, non più follia ma solo femminicidio come espressione di un problema culturale radicato nell’intera popolazione maschile, che esita nella discriminazione di genere, nel dominio sulla donna, nell’impossibilità di accettare un rifiuto e quindi nel femminicidio come eliminazione della persona che non si può possedere.
Ma allora che c’entrano i casi di Cagliari, Salerno, Genova citati dall’ANSA insieme a quello di Roma?
 
    
 
Uno in effetti è riconducibile alla mancata accettazione della fine di un rapporto, sembra che la vittima volesse lasciare il convivente e questi si è trasformato in assassino.
 
Gli altri tre sono invece guerre condominiali o rapine finite nel sangue.
 
la lite in un parcheggio finisce con una donna accoltellata. L’ex marito che voleva tornasse con lui? Uno spasimante rifiutato?
No, tra vittima ed assassino non c’era alcun legame sentimentale, è una discussione legata a problemi di vicinato.
Dov’è l’elemento o mia o di nessuno?  
 
la vittima ha 81 anni, il presunto assassino 34. Sono vicini di casa ed il 34enne - tossicodipendente - intendeva rapinare l’anziana con la complicità dello spacciatore dal quale si rifornisce.
Prima ha ammesso l’omicidio, ora accusa lo spacciatore, in ogni caso nessuno dei due complici ha legami affettivi presenti o passati con la vittima, volevano la pensione.
Dov’è l’elemento gelosia morbosa?
 
notizia stringata, si sa solo che la vittima ha 44 anni ed è italiana. I carabinieri stanno conducendo le indagini, ancora non c’è un colpevole ma l’ANSA già è certa che si tratti di femminicidio, deve essere stata uccisa dall’ex marito, dal fidanzato, dal convivente.
Invece è una tragica rapina ad una prostituta, ilmattino.it fornisce particolari che l’ANSA non ha.
Forse un altro tossicodipendente, forse un balordo in cerca di vittime facili, in ogni caso dov’è l’elemento discriminazione di genere?  
 
Faccia chiarezza l’ANSA, riconosca che qualsiasi vittima femminile per l’agenzia è femminicidio, pur di far lievitare artificialmente l’allarme.
Anche la sola vittima di Roma, l’unica realmente riconducibile ad un movente di genere, deve suscitare l’indignazione di cittadine e cittadini onesti che mai risolverebbero col sangue i fallimenti delle proprie relazioni.
Ma allora perché gonfiare i dati, inserendo in soli due giorni il 75% di falsità?
 
Una preghiera a tutti i drogati, rapinatori, automobilisti ubriachi e delinquenti di ogni ordine e grado: se proprio vi capita di ammazzare qualcuno per cortesia fate in modo che siano solo anziani, disabili, bambini ed adulti di genere maschile, altrimenti chissà l’ANSA cosa scrive.   
 
FN

sabato 6 maggio 2017

Vi ordino di andare in psicoterapia (M.Pingitore)

https://www.psicologiagiuridica.eu/vi-ordino-andare-psicoterapia/2017/04/24/

Vi Ordino di Andare in Psicoterapia


Troppo spesso i CTU – Consulenti Tecnici di Ufficio – “prescrivono”, nelle conclusioni peritali, percorsi di psicoterapia e/o sostegno psicologico alla coppia genitoriale conflittuale nell’ambito di una separazione giudiziale.
Il Giudice, recependo le conclusioni del suo Consulente, “ordina”, “prescrive”, “impone” una psicoterapia e/o un sostegno genitoriale ad entrambi i genitori con l’obiettivo di far cambiare idea ad uno o all’altro genitore o ad entrambi in nome della tutela del loro figlio minore. In pratica, “andate in psicoterapia, così cambiate, litigate meno e vostro figlio starà meglio”.
Solo cinque domande:
#1 si può essere obbligati ad intraprendere una psicoterapia se non si è motivati e senza consenso informato?
#2 si può imporre una psicoterapia con il fine di far cambiare idea ad una persona, dietro minaccia (se non cambi idea, potresti perdere l’affidamento del figlio)?
#3 il soggetto maggiorenne è libero di autodeterminarsi e di scegliere liberamente se fare una psicoterapia e, in caso, di scegliersi il professionista, se pubblico o privato, l’approccio ecc.?
#4 lo psicoterapeuta può scegliere liberamente di non accettare la coppia genitoriale o di sospendere la psicoterapia dopo qualche incontro? Può il professionista farsi un’idea diversa da quella del Tribunale, ad esempio ritenendo i genitori “non trattabili”?
#5 e se non sono trattabili, è “responsabilità” dello Psicoterapeuta, dell’approccio psicoterapico o della coppia scarsamente motivata? Il Giudice (o i Servizi Sociali) lo vuole sapere.
Ma si può imporre un trattamento sanitario ad un soggetto adulto?
Decisamente no. Lo spieghiamo in un articolo, accettato per la pubblicazione su ilFamiliarista.it di prossima pubblicazione, a cura di Camerini G. B., Pingitore M., Lopez G.: Si può prescrivere una psicoterapia alla coppia genitoriale?
In attesa dell’articolo, di seguito vengono riportati gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi che sostanzialmente impediscono l’obbligo di una psicoterapia/un sostegno psicologico nei confronti di soggetti adulti.
Ma iniziamo con la Costituzione, art. 32 co. 2:
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
Anche recentemente la Cassazione ha confermato tale diniego.
Maggiori informazioni tramite questo tag.
Ecco gli articoli del Codice Deontologico:
Articolo 4
Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e l’istituzione presso cui lo psicologo opera, quest’ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è professionalmente tenuto.In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell’intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell’intervento stesso.
Articolo 6
Lo psicologo accetta unicamente condizioni di lavoro che non compromettano la sua autonomia professionale ed il rispetto delle norme del presente codice, e, in assenza di tali condizioni, informa il proprio Ordine. Lo psicologo salvaguarda la propria autonomia nella scelta dei metodi, delle tecniche e degli strumenti psicologici, nonché della loro utilizzazione; è perciò responsabile della loro applicazione ed uso, dei risultati, delle valutazioni ed interpretazioni che ne ricava. Nella collaborazione con professionisti di altre discipline esercita la piena autonomia professionale nel rispetto delle altrui competenze.
Articolo 11
Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti.
Articolo 18
In ogni contesto professionale lo psicologo deve adoperarsi affinché sia il più possibile rispettata la libertà di scelta, da parte del cliente e/o del paziente, del professionista cui rivolgersi.
Articolo 24
Lo psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale, fornisce all’individuo, al gruppo, all’istituzione o alla comunità, siano essi utenti o committenti, informazioni adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni, le finalità e le modalità delle stesse, nonché circa il grado e i limiti giuridici della riservatezza. Pertanto, opera in modo che chi ne ha diritto possa esprimere un consenso informato. Se la prestazione professionale ha carattere di continuità nel tempo, dovrà esserne indicata, ove possibile, la prevedibile durata.
Articolo 27
Lo psicologo valuta ed eventualmente propone l’interruzione del rapporto terapeutico quando constata che il paziente non trae alcun beneficio dalla cura e non è ragionevolmente prevedibile che ne trarrà dal proseguimento della cura stessa. Se richiesto, fornisce al paziente le informazioni necessarie a ricercare altri e più adatti interventi.
Articolo 39
Lo psicologo presenta in modo corretto ed accurato la propria formazione, esperienza e competenza. Riconosce quale suo dovere quello di aiutare il pubblico e gli utenti a sviluppare in modo libero e consapevole giudizi, opinioni e scelte.

La psicoterapia (nella realtà). (M.Pingitore)

https://www.psicologiagiuridica.eu/consenso-informato-obbligato-alla-psicoterapia-le-coppie-genitoriali/2017/04/30/


Cassazione: stop ai "percorsi" psicoteraputici

Secondo la sentenza della Corte di Cassazione  n. 13506 del 2015  il Giudice non può imporre ai genitori immaturi percorsi psicoterapeutici individuali e di coppia. Infatti la Cassazione ha affermato che “la prescrizione ai genitori di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico individuale e a un percorso di sostegno alla genitorialità da seguire insieme è lesiva del diritto alla libertà personale costituzionalmente garantito e alla disposizione che vieta l’imposizione , se non nei casi previsti dalla legge, di trattamenti sanitari”.
Ed infatti , in base a tale sentenza,  tale  tipo di prescrizioni   viola sia il principio della libertà personale tutelato dalla Costituzione , sia   l’art. 32 secondo comma della stessa , atteso che  finisce per condizionare  comunque le parti ad effettuare  un trattamento sanitario.
Pertanto la Cassazione revoca  la disposizione impartita dalla Corte di Appello di Firenze  a una coppia di genitori di sottoporsi a un percorso psicoterapeutico onde realizzare la propria maturità personale, rilevando che  una simile decisione  non può che rientrare esclusivamente  nell’ambito del  loro diritto di autodeterminazione, che non può subire condizionamenti e  imposizioni di qualunque sorta.
Pertanto secondo la suprema Corte , sebbene una simile prescrizione  possa essere ritenuta dal Giudice  come extrema  ratio per aiutare la coppia a formarsi  quali idonei  genitori,  non  si può decidere  di impartirla loro , a titolo di invito, ma ,  di fatto,  a mò di  un trattamento sanitario obbligatorio in difformità a quanto sancito dall’art. 32 della nostra Costituzione.
E sostiene ancora la Corte che la finalità di un  simile percorso psicoterapeutico-  che  deve rimanere estraneo al giudizio-   è quella  di realizzare una crescita e maturazione personale genitoriale  ed attiene esclusivamente alla sfera del  diritto di autodeterminazione dei singoli genitori.
Successivamente a questa sentenza della Suprema Corte  abbiamo delle sentenze di merito, sia del Tribunale di Roma che di quello di Milano che se ne  discostano alquanto  , cercando di fornire una interpretazione delle prescrizioni psicoterapeutiche ai genitori , che si distacchi da una mera imposizione od obbligo che li possa tacciare di anticostituzionalità.
La prima sentenza è quella del Tribunale di Milano del  15 luglio 2015 ( Pres. Servetti , Est. Rosa Muscio).  Nel caso di specie una ctu aveva evidenziato che nella coppia genitoriale sussisteva una inadeguata capacità di “cogliere nel profondo le emozioni della figlia e di rispondere ad esse in maniera appropriata”, paventando che la minore si stesse evolvendo verso una struttura di personalità problematica. Per superare le criticità genitoriali e la loro situazione personologica,  il Tribunale indicava al padre e alla madre della minore  un percorso di supporto  genitoriale .
A tal uopo il Tribunale di Milano, citando preliminarmente la sopracitata sentenza della Corte di Cassazione , onde giustificare la propria decisione difforme, sosteneva che non intendeva  imporre ai genitori tale supporto, ma semplicemente li onerava di ciò, argomentando che il Collegio, nell’interesse preminente della prole, segnalava alle parti la necessità di intraprendere determinati percorsi di supporto personale anche di tipo terapeutico .
E il Tribunale ancora  afferma che la libertà personale di autodeterminazione e di scelta sulla propria salute di chi è genitore incontra pur sempre un limite nel diritto del figlio minore ad una sana e consapevole crescita, diritto di rango anche questo costituzionale , garantito, altresì, da convenzioni comunitarie ed internazionali e che  , quindi , il Tribunale deve tutelare.
Pertanto  il Collegio sostiene che si tratta di un “invito rivolto ai genitori, che, per quanto rimesso alla libertà di scelta dell’adulto genitore, è pur sempre in funzione della tutela dell’interesse e dell’equilibrio psicofisico  del figlio minore e potrà avere delle conseguenze per il genitore non responsabile tutte le volte in cui le sue libere legittime scelte si traducano in comportamenti pregiudizievoli per il figlio”  E qui il tribunale di Milano cita gli articoli 337 ter c.c. e 333 c.c. per evidenziare in maniera esplicita i provvedimenti che nel caso di specie potranno essere adottati nei confronti de genitori che non ottemperino all’invito effettuato dal Collegio giudicante.
Una successiva pronuncia della prima sezione civile del Tribunale di Roma del 13 novembre 2015 ( Pres. Mangano, rel. Galterio) prescrivendo un percorso terapeutico ad una coppia genitoriale problematica, dichiara che la prescrizione terapeutica si traduce nel caso di specie nell’unico strumento disponibile da parte del giudice per il superamento della conflittualità genitoriale , affinché sia garantita l’equilibrata crescita del minore, nel rispetto del suo diritto alla bigenitorialità. Sostiene il Tribunale che, benché sia consapevole del diverso orientamento della Cassazione , non crede che tale disposizione sia in contrasto con i dettami costituzionali , atteso che si tratta di un “onere” e che pertanto , essendo prevista nell’interesse dello stesso onerato, non è obbligatoria ed è  priva di conseguenze sanzionatorie personali , nel caso in cui rimanga inattuata, “ricadendone semmai gli effetti sul regime di affido..”nell’interesse preminente di una sana crescita del minore.
Recentissimo è poi il decreto del Tribunale di Milano sez. IX  dell’11 marzo 2017 ( Pres. Amato , est. G. Buffone). Con tale provvedimento viene prescritto alla coppia genitoriale un percorso di sostegno e di cura nell’esclusivo interesse della figlia minore. Nel caso che ci occupa la bambina aveva assunto come proprio il pensiero materno dicotomico, dove sul padre veniva riversata ogni colpa, mentre la madre era esente da ogni responsabilità.
Assume il Collegio “la situazione attuale di figlia  può ricondursi anche alla attuale situazione della madre, la quale all’esito degli accertamenti , è emerso accusare  un deficit di mentalizzazione e una distorta lettura della realtà. Causa centrale del rifiuto della bambina  e dell’immagine rigidamente negativa che figlia ha del padre è la madre che , consciamente o inconsciamente, ha inevitabilmente e costantemente trasmesso alla figlia i propri distorti convincimenti negativi, paurosi e pericolosi sulla figura paterna..”  E allora il Tribunale afferma che è necessario procedere a prescrizioni psicoterapeutiche e di sostegno per i due genitori. A tal uopo , citando la sentenza della Corte di Cassazione del 2015 che ha sostenuto essere inammissibili le prescrizioni rivolte ai genitori, nonché le sopracitate sentenze di merito del Tribunale di Milano e di quello di Roma, alle quali ultime aderisce il Collegio giudicante, afferma che la libertà di autodeterminazione e di scelta sulla salute del genitore, sebbene afferenti a diritti di rango costituzionale, trovano però il limite nel diritto del minore ad un percorso di  sana e matura crescita, anche questo diritto di rango costituzionale , altresì tutelato da convenzioni comunitarie ed internazionali e che è “compito del tribunale in ogni caso assicurare attraverso provvedimenti incidenti sull’esercizio e/o sulla titolarità della responsabilità genitoriale. Ciò nella misura  in cui interventi di supporto  anche di tipo terapeutico potrebbero consentire, se seguiti , ad uno o ad entrambi i genitori di superare le proprie fragilità e criticità personali e di conservare integra la propria responsabilità genitoriale”.
Anche tale decreto, come i due precedenti provvedimenti di merito citati, fa rilevare che si tratta comunque di un invito e non di un obbligo imposto alla coppia genitoriale, però si sottolinea che , sebbene sia un invito giudiziale rimesso alla libertà di scelta del genitore, è pur sempre finalizzato all’equilibrio psicofisico e all’interesse preminente del figlio minore e, pertanto, può avere serie conseguenze per il genitore che non accoglie tale invito tutte le volte in cui le sue “libere legittime scelte si traducano in comportamenti pregiudizievoli per il figlio “ , con tutte le conseguenze ex artt, 337 ter c.c. e 333 c.c..
In  particolare la madre alienante veniva invitata ad effettuare interventi di supporto psicologico –psichiatrico ,oltre che di supporto alle genitorialità insieme con l’altro genitore, al fine di eliminare la dispercezione delle realtà che aveva  e prendere così coscienza delle proprie difficoltà personali e dei  distorti convincimenti sull’ex coniuge, dando così una realistica lettura alla minore della figura paterna . In difetto, la figlia minore, già affidata al comune di residenza, sarebbe stata collocata dall’ente affidatario in ambiente protetto e tolta alla madre.
Orbene una riflessione sorge spontanea: certamente è lodevole il fine ultimo dell’interesse preminente dei minori quale principio motore che conduce a  disporre per i genitori un percorso psicoterapeutico, ma ci si domanda se poi tale obiettivo in verità si raggiunga sul serio,  atteso che  i genitori intraprendono tale iter spesso, senza esserne motivati ,ma solo perché  sollecitati dal Tribunale, temendo di perdere l’affidamento, il collocamento della prole se non addirittura l’esercizio della responsabilità genitoriale.

E poi , anche motivato dall’interesse preminente dei minori, sia che sia invito, onere, o altro, in ultima analisi, nella sostanza, tale prescrizione  dai genitori viene vissuta e sentita sempre come un obbligo sotto minaccia della sanzione di perdere il collocamento o l’affidamento della prole e, pertanto, in concreto , diventa l’impartizione di una sorta di trattamento sanitario obbligatorio in difformità dell’art. 32 secondo comma della nostra Costituzione.

Come sostiene la Cassazione  il percorso di maturazione  personale dei genitori e la loro assunzione di responsabilità consapevole in tanto potrà aversi in quanto liberamente avviata , affidata al loro diritto imprescindibile di autodeterminazione; se non sarà intrapreso liberamente, raramente potrà condurre a risultati positivi ed efficaci nel tempo.
Avv. Margherita Corriere
Presidente Sez. Distrettuale AMI di Catanzaro

Fonte: http://www.ami-avvocati.it/prescrizioni-ai-genitori-di-percorsi-terapeutici-individuali-e-di-coppia-dopo-la-sentenza-della-corte-di-cassazione-n-135062015/

mercoledì 3 maggio 2017

Il business di chi "aiuta": il caso a Napoli.

Napoli, bambini in cambio di fondi. Inchiesta sulle case famiglia. di Fabio Nestola


Napoli, bambini in cambio di fondi. Inchiesta sulle case famiglia. di Fabio Nestola







Brutta fama, quella dei Servizi Sociali. Ladri di bambini,  il braccio armato del sequestrificio, sequestri di stato, bambini venduti, bambini come merce di scambio …, queste sono alcune delle definizioni  che la stampa riporta in occasione di inchieste che talvolta sollevano quel coperchio che non deve essere sollevato.
A Napoli, in azione gli agenti della polizia municipale del comandante Sementa: sequestrati atti negli uffici comunali. L'assegnazione dei minori veniva pilotata dai funzionari pubblici a favore di alcune strutture che lucravano sui finanziamenti Bambini usati come merce di scambio per lucrare sui fondi del Comune di Napoli destinati all'accoglienza residenziale dei minori.
Questo il sistema criminale che emerge dalle indagini della polizia municipale, coinvolti funzionari del Comune, impiegati delle Politiche Sociali, titolari di case famiglia della città.

Sono anche le teorie che serpeggiano in rete su centinaia di siti, bolg e pagine FB, vengono ripetute nei convegni e nelle manifestazioni, ricorrono nei libri e negli articoli sull’argomento.
Forse non è sempre così,  forse gli interessi economici non sempre prevalgono sugli interessi delle famiglie e dei minori, forse esistono anche buone prassi, forse esistono casi risolti positivamente, forse quella dei Servizi è una fama immeritata.
Forse.

Resta il fatto che decine di migliaia di bambini ogni anno finiscono nel tritacarne, strappati ad uno o entrambi i genitori per alimentare il mercato delle strutture di accoglienza. Perché di mercato si tratta:  sia chiaro che un bambino non entra in casa famiglia a titolo gratuito.
Di contro c’è la difesa dei Servizi stessi, secondo la quale il Sistema lavora sempre al meglio, le operatrici sono sottopagate ed oberate di lavoro a causa della carenza di organico, l’unico focus è l’interesse dei minori, togliere i bambini alle famiglie è solo l’estrema ratio quando null’altro è possibile.
Ok, ma questa estrema ratio riguarda decine di migliaia di famiglie ogni anno, centinaia di migliaia negli ultimi anni. Il tipico genitore italiano è maltrattante per DNA e non ce ne siamo accorti?
In altra data abbiamo affrontato, sempre sulle pagine di Adiantum, il tema della trasparenza sui criteri di collocazione dei minori in istituto, il peso determinante dei Servizi per togliere i bambini alle famiglie,   l’opposizione dei servizi alle videoregistrazioni degli incontri con adulti e minori presi in carico.
Ora vediamo come un caso concreto, uno dei tanti, solleva legittimi dubbi sulle dinamiche che trascinano i bambini fuori dalla famiglia.
Agosto 2013, litorale tirrenico. Un bambino che chiameremo Mario viene accompagnato al Pronto Soccorso di un piccolo centro poiché ha incautamente stuzzicato un alveare ed è pieno di punture.
Il PS non è attrezzato al meglio e suggerisce il trasferimento ad altro ospedale. Il bambino viene accompagnato dal 118 in una cittadina più grande, con un ospedale migliore, ove viene confermata la diagnosi (dermatosi infiammatoria), trattata con Bentelan. 
Il mese successivo Mario è stato tolto alla madre, che chiameremo Anna, con la motivazione di percosse da persona nota. Collocato in una struttura protetta, potestà sospesa alla madre, vietato qualsiasi tipo di incontro anche in modalità protetta.
Come si è potuti arrivare a tanto?
Semplice, basta costruire una versione distorta dei fatti. Il provvedimento del  TdM motiva la misura protettiva col fatto che si sarebbe presentata spontaneamente l’assistente sociale di un Comune nel quale la famiglia non vive più, sostenendo di “aver saputo” che:
  • il bimbo era andato in ospedale per curare i sintomi di percosse (falso 1)
  • il convivente della madre, che chiameremo Giovanni, non aveva accettato la diagnosi (falso 2)
  • Giovanni aveva portato via il bimbo per condurlo in un altro ospedale ( falso 3) e farlo refertare diversamente.
Falso 1 - il referto del PS smentisce la versione dell’assistente sociale, sia la prima che la seconda struttura sanitaria hanno riscontrato sul bambino esiti di punture d’insetto e non di schiaffi, calci, cinghiate etc.
Falso 2 – Giovanni non si è opposto a nulla ne’ avrebbe potuto farlo, semplicemente perché era altrove. Aveva accompagnato la madre di Mario - guardacaso -  proprio nello stesso ospedale ove il bambino è stato trasferito in ambulanza. Infatti, non essendoci ne’ la madre ne’ il convivente, Mario dopo l’assalto delle api è stato accompagnato al PS da un’amica di famiglia.
Falso 3 - per lo stesso motivo  (non era fisicamente presente) Giovanni non ha condotto Mario nel secondo ospedale, ove il bimbo è giunto tramite 118 come da referto.
Come mai tali e tante falsità? Basta leggere i referti che smentiscono clamorosamente l’assistente sociale, non li ha visti prima di partire a testa bassa col suo maldestro “ho saputo che”?
E soprattutto, non li ha letti nemmeno il giudice che ha accettato acriticamente la versione della testimone spontanea?
Inoltre l’assistente sociale dichiara che il bambino ha un aspetto trascurato, va a scuola con le scarpe rotte e generalmente malvestito, sporco, malnutrito.
Curioso però che la solerte assistente sociale si preoccupi di denunciare l’incuria quando ormai il bambino e la sua famiglia non vivono più da 10 mesi nel Comune ove ella esercita. Presso quale scuola avrebbe riscontrato le scarpe rotte e tutto il resto, visto che Mario da mesi è altrove?
Torniamo ai referti di PS.
L’avvocato della famiglia voleva vedere come ci si fosse arrampicati sugli specchi pur di togliere il bimbo alla madre, ma non ha avuto accesso immediato agli atti.  Passano i giorni, passano le settimane, il fascicolo “è su dal PM”, poi “è sceso ma non si trova”,  poi “provi a telefonare la prossima settimana” … intanto Mario langue in casa famiglia.

Si può sapere da dove salta fuori il referto di percosse citato nel provvedimento del TdM?
Alla fine il fascicolo si trova ed ecco la sorpresa degna di Carramba! Il referto di percosse esiste davvero! Peccato che la madre non ne sappia nulla, Mario è stato portato al PS a sua insaputa.
Da chi?
Ma è ovvio, dai Servizi Sociali del nuovo comune di residenza della famiglia, che hanno organizzato un centro estivo ed ogni mattino prima delle 8 prelevano Mario da casa e lo portano al mare con altri bambini.
Quindi esce dal cilindro un referto del mese di luglio, quando il bambino alle 9,45 viene accompagnato al PS del solito piccolo centro. La diagnosi è percosse, ma il piccolo PS invia il bambino presso una struttura pediatrica.
Curioso, ma nel fascicolo non c’è traccia del referto di questa fantomatica struttura pediatrica.
Conferma le percosse?
Ha diagnosticato qualcosa di diverso dalle percosse?
Che terapia ha somministrato? È compatibile con le percosse o serve a curare altro?
Oppure Mario non vi è mai stato accompagnato perché il primo referto era sufficiente?
Ancora: per quale motivo nessuno ha riscontrato segni di percosse alle 8, al momento di prelevare Mario da casa, mentre i segni sono comparsi un’ora e mezza dopo?
Cosa è accaduto fra le 8 e le 9,45?
È stato picchiato da un adulto? Se si, da chi, visto che la madre ed il convivente erano altrove?
Una semplice zuffa tra bambini, con deficit di sorveglianza da parte di chi avrebbe dovuto farlo?
Per quale motivo il bambino è stato immediatamente dimesso e non è stato detto nulla alla madre?
Per quale motivo al rientro a casa i segni di percosse non c’erano più?
Oppure le percosse non ci sono mai state, Mario aveva i soliti gonfiori da punture d’insetto che spariscono in due ore?
Poi si verifica una coincidenza che le AASS non potevano prevedere: 4 giorni dopo la corsa in ospedale per percosse , è il compleanno di Mario.
C’è la festicciola, con tanto di torta e foto. È luglio, Mario nelle foto appare senza maglietta e non c’è traccia (ne’ sul viso, ne’ sulle braccia o sul corpo) degli evidenti segni di percosse che hanno costretto le operatrici a precipitarsi in ospedale.
I lividi impiegano 8/10 gg a sparire, seguono un riassorbimento naturale che fa cambiare colore all’edema (dal nero, al blu/verde, al giallo), ma sicuramente dopo 4 gg nessun bambino può avere la pelle rosea che Mario mostra in foto. Cosa significa?
La zelante assistente sociale, sempre colei che senza essere convocata da nessuno si è spontaneamente presentata al TdM per far nascere l’allarme, dichiara inoltre di “avere saputo” che sono intervenuti anche i Carabinieri. Ulteriore dato: il verbale dei CC nel fascicolo non esiste.  
L’assistente sociale del vecchio Comune di residenza dice che Mario sta malissimo con la madre, viene picchiato, va a scuola in condizioni pessime senza peraltro vederlo a scuola da 10 mesi.
L’assistente sociale dell’attuale Comune di residenza  porta il bambino al PS senza dire nulla alla madre, ne’ prima ne’ dopo. Anche al centro estivo dicono che Mario è picchiato, malnutrito, trascurato.
Che ci sia un disegno comune che collega le due iniziative?
Ma nooooo, non bisogna pensare male, i Servizi Sociali non avrebbero alcun interesse a pilotare le decisioni del TdM verso la cancellazione della figura materna a favore di un istituto prima e di una famiglia affidataria poi.
Nemmeno se il provvedimento del TdM viene notificato, oltre che alla madre di Mario, anche a due signori che si propongono come affidatari. Non è che per caso, e dico per caso, questa vicenda finirà per alimentare la teoria del “sequestro di stato”? Oppure Mario veniva realmente pestato e - unica misura possibile - doveva essere sradicato dalla famiglia?
Se ne stanno occupando medici legali ed avvocati, qualcuno dovrà dare parecchie spiegazioni. Per ora la vicenda è in itinere, aggiorneremo i lettori sugli sviluppi.

Fonte: http://www.adiantum.it/public/3451-napoli,-bambini-in-cambio-di-fondi.-inchiesta-sulle-case-famiglia.-di-fabio-nestola.asp