mercoledì 25 settembre 2013

Brambilla e le "priorità" della famiglia Italiana


“Se la coppia scoppia, il giudice decida sull’affido dei cani e gatti”

 



È la proposta di due parlamentari: vengano assegnati  a chi assicura loro più benessere
Se la coppia scoppia, stop alle liti per decidere chi si terrà il gatto o il cane. Una proposta di legge presentata dalle deputate del Pdl Maria Vittoria Brambilla e Giuseppina Castiello ipotizza infatti un’integrazione al codice civile, perché in caso di separazione dei coniugi e in assenza di un’intesa sia il giudice a stabilire a chi affidare l’animale. In particolare si prevede che «il tribunale, in mancanza di un accordo tra le parti, a prescindere dal regime di separazione o di comunione dei beni e a quanto risultante dai documenti anagrafici dell’animale, sentiti i coniugi, la prole, se presente, e, se del caso, esperti del comportamento animale, attribuisce l’affido esclusivo o condiviso dell’animale alla parte in grado di garantirne il maggior benessere». «In caso di affido condiviso, salvo diversi accordi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei detentori provvede al mantenimento dell’animale da compagnia in misura proporzionale al proprio reddito. In caso di affido esclusivo il mantenimento è a carico del detentore affidatario».

«Quasi una famiglia su due in Italia -ricordano Brambilla e Castiello- vive con un animale di affezione: secondo gli ultimi dati diffusi dall’Eurispes addirittura il 55 per cento dei 24 milioni di famiglie italiane ha un cane o un gatto». «Conseguentemente -dicono ancora le due parlamentari- sempre più diffusi sono i casi nei quali cani, gatti e altri animali di affezione, considerati veri e propri membri della famiglia, diventano oggetto del contendere in procedimenti di separazione». Di qui l’esigenza di colmare quello che viene considerato un vuoto normativo per «tutelare gli animali e il loro benessere, in quanto anche loro, riconosciuti esseri senzienti dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue), possono risentire della separazione familiare e dell’eventuale allontanamento dalla casa adibita ad uso familiare»

Le due parlamentari citano anche una sentenza della Corte di Cassazione del 2007, che «riconoscendo il cambiamento della natura del rapporto tra proprietario e animale di affezione, non più riconducibile alla mera proprietà di un oggetto di cui il detentore avrebbe la completa disponibilità, ha equiparato la necessaria tutela di un animale a quella che si deve a un minore». Così, aggiungono Brambilla e Castiello, «alcuni tribunali, in sede di provvedimenti emanati proprio in cause di separazione di coniugi, hanno già applicato per analogia quanto previsto dal codice civile per i figli minori ponendo l’accento sull’interesse materiale e spirituale-affettivo dell’animale conteso da una coppia». Ad esempio «il tribunale di Foggia ha affidato un cane al coniuge ritenuto maggiormente idoneo ad assicurare il miglior sviluppo possibile dell’identità dell’animale e ha riconosciuto contestualmente in favore dell’altro coniuge il diritto di prenderlo e portarlo con sé per alcune ore nel corso di ogni giornata o per giornate concordate dalle parti». 

http://www.lastampa.it/2013/09/22/societa/lazampa/se-la-coppia-scoppia-il-giudice-decida-sullaffido-dei-cani-e-gatti-voNq9zK0CXuuHCFQgCPEIP/pagina.html

giovedì 5 settembre 2013

LA KYENGE FAVOREVOLE A "GENITORI 1 E 2".


  A quando il 3x2?



 
  
 
CAMILLA SEIBEZZI, delegata ai “Diritti Civili e alle Politiche contro le discriminazioni” del Comune di Venezia fatto parlare di sé per la proposta di togliere dai moduli d’iscrizione ad asili e scuole la denominazione “padre” e “madre” per lasciare invece spazio a “genitore 1” e “genitore 2”. Una benedizione però l’ha ricevuta: è quella del ministro dell’Integrazione Cecile Kyenge, due giorni fa proprio a Venezia per la presentazione al Festival del Cinema di un documentario dedicato all’integrazione e allo “ius soli”. 

“PADRE” E “MADRE” SONO OBSOLETI. «Mi sono sempre battuta per le pari opportunità, se questa è una proposta che le rafforza, mi trova d’accordo», è stata la risposta del ministro a chi le chiedeva un suo parere sull’idea della Seibezzi. È «obsoleto» (questo l’aggettivo usato dalla consigliera) continuare a rifarsi a quella denominazione così vetusta e stereotipata, giusto cambiare sulla scia di quanto accade in altri Paesi europei.(LINK ARTICOLO)
 
 
VOCABOLARIO DELLA CRUSCA
 
 
 
Generalmente OSOLETO, in un lingua corrente, lo diventa un termine in ragione dell'uso e della sua frequenza d’uso, non in ragione di una dichiarazione di un politico. E non mi pare che nell'attuale uso corrente delle parole, "papà" e "mamma" siano così obsoleti. 
 
Voleva forse intendere che non è il termine ad essere obsoleto, ma è il concetto stesso di "padre" ad esserlo? Sono forse i concetti di padre e madre a essere in Italia e nella sua tradizione, obsoleti?
 
Apparentemente ne avrebbe tutte le ragioni giuridiche, a considerare il modo in cui i padri italiani sono trattati dalle istituzioni a cui la Kyenge appartiene. Affido condiviso e bigenitoriailità rimangono sulla carta, a beneficio di avvocati e falsi sostenitori del diritto.
Apparentemente  ne avrebbe anche le ragioni filosofiche, visto il tenore di certi articoli pubblicati dai nostri quotidiani più diffusi. Era dopo le dimissioni del papa Ratzinger che il Corrierone sbatteva in tutta evidenza un lungo e densissimo articolone filosofico del prof. Emanuele Severino dal titolo “Nella nobile rinuncia di Benedetto il grande turbamento della Fede”. L’articolo si addentrava poi in profondi abissi filosofici, un po’ angoscianti (link all'articolo). Scrive Severino

«Prometeo è l’uomo. Soprattutto da due secoli [dalla rivoluzione francese?, N.d.r.] è l’avversario della trazione Mostra infatti che il divino merita di tramontare e che su questo meritarlo si fonda tutto ciò che più salta agli occhi, ossia l'allontanamento della modernità e soprattutto del nostro tempo dai valori della tradizione . [L’uomo] vive solo se si fa largo nella Barriera che gli impedisce di trasformare sé e il mondo. La Barriera è l'Ordine immutabile della natura. Solo se la penetra, la sfonda, la squarta, e comunque la fa arretrare, può liberarsi un poco alla volta dal suo peso e ottenere ciò che egli vuole»
(Severino)

Apparentemente la Kyenge ne avrebbe anche le ragioni politiche, visto il tenore di alcuni nuovi testi politico-filosofici. Alla Kyenge e ai suoi appelli al “nuovo” fa eco l’odierno ministro dell’Istruzione di Parigi, Vincent Peillon, le cui ardite dichiarazioni sono contenute in un video che da giorni circola su Internet, in cui Peillon presenta il nuovo libro “La Rivoluzione francese non è ancora terminata”.(link all'articolo)

“La rivoluzione implica l’oblio per tutto ciò che precede la rivoluzione. E quindi la scuola gioca un ruolo fondamentale, perché la scuola deve strappare il bambino da tutti i suoi legami pre repubblicani [il padre e la madre? N.d.r.] per insegnargli a diventare un cittadino. E’ come una nuova nascita, una transustanziazione che opera nella scuola e per la scuola, la nuova chiesa con i suoi nuovi ministri, la sua nuova liturgia e le sue nuove tavole della legge”.

Una laicità che deve emancipare l’individuo “da ogni determinismo”: famigliare, religioso, sociale, biologico e, per la Kyenge, anche terminologico, lessicale. E’ pura vocazione al pensiero unico, politicamente e ideologicamente corretto. Tutto è vetusto, antiquato, obsoleto. Aspettiamoci allora il ritorno della festa dell'essere supremo, della riforma del calendario: vendemmiaio, brumaio, frimaio...
 
A parte le battute, la dinamica che questi politici seguono è la seguente: sostituire l'uomo (i genitori, la tradizione, le radici)  con Stato. Lo Stato Repubblicano, «con le sue tavole della Legge e la sua liturgia» (Vincent Peillon).
 
I padri dell'Epica, Enea e Anchise

 
 
LA "DURA" REALTA’ PER KYENGE. Ma la Kyenge forse non è altrettanto ben informata sulla tradizione che ancora viene comunicata ai nostri figlie e figlie, nelle aule delle scuole. Si tratta di una tradizione millenaria , che affonda le sue radici millenarie nel mondo greco e latino, e nei miti che ci provengono da esso.
Facciamo un ripasso per la Kyenge su due “padri”, infischiandocene di verificare di quanti altri alleati politico-filosofici può avvalersi la sua campagna anti-tradizionalista. Anzi di due figli, che almeno la Kienge non potrà tacciare di obsolescenza: Telemaco e Iulo. 
 
Ricordiamo alla Kyenge che Telemaco, figlio di Ulisse e Penelope, secondo una versione della leggenda, nacque il giorno incui Ulisse partì per la guerra di Troia e per 20 anni lo cercò. Bramò a tal punto il suo rientro da confessare: “Se quello che i mortali desiderano, potesse avverarsi, per prima cosa vorrei il ritorno del padre”.
 
Ricordiamo che per un'altra figura epica di figlio, Iulo (o Ascanio, figlio di Enea che l'epica narra essere  fondatore della civiltà romana da cui promana la dichiarazione dell'attuale ministro), si legge l’intera genealogia, da Anchise a Enea, che, a meno di non cambiare i testi, sono tutti “pater”. E’ vero che Tito Livio, nel suo Ab Urbe Condita, non chiarisce la maternità di Ascanio. Se infatti all'inizio del suo racconto, l'attribuisce a Lavinia, più avanti riporta che potrebbe essere figlio di Creusa. Di certo, conclude Livio, Enea ne è il padre.
« Questo Ascanio, quali che fossero la madre e la patria d'origine, in ogni caso era figlio di Enea. »(Tito Livio, Ab Urbe Condita, 1, 3.)
 

 Tutto questo, per il ministro Kyenge, con delega alle pari opportunità (che è sempre più smaccartamente un ministero pro-femminismo) e delle politiche giovanili è davvero un dramma: scoprire che i figli della tradizione hanno o cercano i padri è, per gli ortodossi femministi, abominevole. Scoprire che i figli della tradizione hanno madri incerte è altrettanto abominevole
Abominevole per molti è leggere anche le encicliche, che parlano di matrimoni e figli Come ebbe a scrivere Leone XIII nell’Humanum genus :

“…esiste nel matrimonio, per unanime consenso dei popoli e dei secoli, un carattere sacro e religioso: oltreché per legge divina l'unione coniugale e indissolubile. Or se questa unione si dissacri, se permettasi giuridicamente il divorzio, la confusione e la discordia entreranno per conseguenza inevitabile nel santuario della famiglia”.

 Che se ne faccia una ragione, la Kyenge, e non pensi di offendere ancora i pater italici. 

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I bambini e le loro domande

IN REALTÀ, NELLA REALTÀ VISSUTA E CHE PIACE A MOLTI POLITICI E FIOLOSOFI NEGARE, LE COSE SONO DIVERSE

L'ho percepito ultimamente, durante la pausa estiva, quando ho accompagnato mia figlia alla piscina della scuola di nuoto. Una ragazzina, evidentemente sua amica, la avvicina, la saluta, e le chiede, riferendosi a me, che armeggiavo con zaini e zainetti,  "Ma lui è il tuo papà" ?. 
Alla risposta affermativa di  mia figlia, quell'altra, probabilmente sulla scorta dell'esperienza di altri coetanei, vittime dei diffusi divorzi, incalza "Ma è il tuo papà vero?", quasi distinguesse, nella sua terminologia, tra papà "veri" e papà "falsi", intendendo "veri" i biologi, e "falsi" gli altri.  Alla risposta affermativa di mia figlia, l'altra ragazzina mi guarda e  sentenzia "Sì, è vero: ti assomiglia".
Una bimba che ha avuto più sale in testa di Kienge, in quanto almeno non ha negato la realtà dei fatti innegabili, biologici, che sono alla base del concetto di padre e madre.
Ma anche un medico, come la Kienge, può tradire la realtà invocando l’ideologia. E allora via alla stura al vaso di Pandora, delle più fantastiche idiozie


martedì 3 settembre 2013

Minoricidi: non i soliti sospetti





Fonte: http://www.f4e.com.au/blog/2012/09/25/biological-mothers-responsible-for-the-majority-of-child-murders-child-abuse-new-study/

Un nuovo rapporto della polizia Neozelandese recentemente pubblicato rivela che le madri sono responsabili di quasi la metà di tutti gli omicidi infantili.I casi di  33 di morti di bambini che sono stati oggetto di una analisi  della polizia ha trovato che le madri erano da accusare per 15 dei decessi.Trai casi analizzati,  sei bambini che erano stati uccisi dalle loro madri,  prima che esse si suicidassero, cinque neonati e due bambini che erano morti da abuso fisico .Queste cifre rispecchiano una sui casi di omicidio 2006/2007 pubblicata dall'Istituto Australiano di Criminologia che ha trovato che la metà di tutti gli omicidi infantili  in Australia durante quel periodo erano a mani della madre biologica .Inoltre , secondo la ricerca rilasciato dalla Australian Institute of Family Studies nel 2003 , le madri erano responsabili per la maggior parte di una maltrattamenti fisici e abusi emotivi dei bambini in quel momento , mentre precedenti ricerche hanno trovato che le madri biologiche erano nella stragrande maggioranza come colpevoli di abuso emotivo e di abbandono dei bambini ( Tomison 1996) .Più di recente, profili di pedofilia ottenuti sotto la legge Freedom of Information ( FOI )  e compilati dalla Australia Occidentale Dipartimento di Protezione dell'Infanzia ha scoperto che dei 1.505 casi di abusi su bambini in WA nel 2007-08 , 427 di loro sono stati eseguiti da madri e 155  dai padri .Nonostante i numerosi studi che trovano incidenze simili genere di abusi sui minori e omicidi di minori  in accordo con gli studi di cui sopra , il dogma prevalente all'interno del settore pedofilia in Australia , come rappresentato da NAPCAN , è che la pedofilia è il dominio esclusivo dei maschi , e nessuna discussione su ricerche credibili, che mostrino il contrario, sarà tollerata.Nel frattempo , il rapporto della polizia della Nuova Zelanda ha anche esaminato 101 altre morti violente,  che sono stati oggetto di analisi tra il 2004 e il 2011 . Non include tutte le morti per violenza in famiglia in quel periodo , solo le 95 occasioni in cui la polizia si è interessata del caso.Si è riscontrato che, mentre 37 donne sono morte a causa della violenza in famiglia , anche 31 uomini sono morti a causa della violenza familiare , in circostanze molto simili alle donne .Nel 64 per cento dei decessi le autorità avevano avuto prima qualche coinvolgimento con la famiglia , mentre più del 58 per cento dei sospetti non avevano precedenti penali per reati violenti.
Il direttore Soprintendente
Nazionale del crimine Rod Drew ha detto che la polizia ha compiuto dei passi avanti  nel modo in cui affrontare la violenza in famiglia , tra cui gli ordini di pubblica sicurezza , uno strumento di fattore di rischio minore e le informazioni di condivisione con altre agenzie ."La polizia e le nostre agenzie partner si sforzano continuamente di migliorare il nostro modo di rispondere alla violenza in famiglia , " ha detto.Supt Drew ha detto che ci sono stati errori nel passato, ma ma le ultime recensioni aiuterano a trovare il modo di fare le cose meglio .

Il nuovo nemico del popolo è il padre di famiglia


 FEMMINICIDIO, INVENZIONE DI REGIME: GLI UOMINI UCCISI SONO IL QUADRUPLO
Ormai il nemico del popolo additato da tv e giornali è il padre di famiglia
di Roberto Marchesini
In Polonia c'è un piccolo paese sconosciuto al mondo, ma che i polacchi conoscono molto bene. Si chiama Manieczki, e tutti i polacchi, almeno quelli sopra una certa età, lo conoscono bene per averlo visto in televisione migliaia di volte durante il regime comunista. Ogni volta che la televisione di stato parlava degli splendidi successi ottenuti dal piano agricolo quinquennale, ogni volta che cantava le lodi del sistema dei kołchoz (cooperative agricole collettivistiche), le immagini trasmesse erano quelle di Manieczki.
Sarebbe bastato girare le riprese in uno qualsiasi dei tantissimi kołchoz polacchi per vedere una realtà diversa: miseria, degrado, fame. Ma la televisione proponeva solo e soltanto le immagini di Manieczki, delle sue meravigliose feste del raccolto, danze, canti, abbondanza. I contadini di Manieczki erano più bravi degli altri? No. Era semplicemente una messinscena ideologica per nascondere la triste realtà del tragico fallimento del comunismo.
Ogni regime si inventa una realtà, le sue lotte, i suoi successi. È la lezione del romanzo orwelliano 1984 nel quale i cittadini si radunavano "spontaneamente" davanti a enormi schermi sui quali passavano le immagini dei successi militari ottenuti dalla patria; dopo di che cominciavano i "due minuti d'odio", durante i quali i cittadini – sempre in modo spontaneo – mostravano tutto il loro odio contro il nemico pubblico numero uno, Emmanuel Goldstein. Anche in questo caso: trionfi fasulli e nemici fasulli per nascondere la triste realtà di un intero continente trasformato in lager.

Questo è quanto mi è venuto in mente quando, dopo una rapida scorsa ai quotidiani on line, ho seguito la conferenza stampa del consiglio dei ministri che presentavano il Decreto Legge "contro il femminicidio", l'emergenza che da qualche anno sta affliggendo l'Italia. Come è cominciato l'allarme "femminicidio"?
Nel marzo del 2012 ha fatto molto scalpore un dato rivelato da Ritanna Armeni, secondo la quale la violenza sulle donne "è la prima causa di morte in tutta Europa per le donne tra i 16 e i 44 anni". Un paio di mesi dopo Barbara Spinelli, sul Corriere della Sera, aveva fatto una rivelazione simile: "La prima causa di uccisione [morte] nel mondo delle donne tra i 16 e i 44 anni è l'omicidio (da parte di persone conosciute)". Nel giugno dello stesso anno è intervenuta sul tema Rashida Manjoo, special rapporteur dell'ONU sulla violenza contro le donne, secondo la quale "[...] in Italia la violenza domestica è la prima causa di morte per le donne fra i 16 e i 44 anni di età".
Peccato che tutte queste dichiarazioni (ovviamente riprese con grande enfasi da tutti i media) siano false. È falsa la dichiarazione riguardante l'Europa (pp.168ss.); è falsa la dichiarazione sulla popolazione femminile mondiale; è falsa la dichiarazione sull'Italia.
Il Rapporto Criminalità Italia del Ministero dell'Interno recita a pagina 125: "È condivisa l'idea che determinate condizioni di "debolezza", dovute al sesso femminile o all'età avanzata, aumentino la vulnerabilità e quindi la probabilità di essere vittima di un reato violento come l'omicidio. Al contrario, dai dati emerge che più frequentemente le vittime di omicidio sono maschi, fino ad un massimo di 8 soggetti su 10 tra il 1992 e il 1997"; e a pagina 128: "Le donne commettono omicidio soprattutto verso maschi e la quota percentuale rimane abbastanza costante per tutto il periodo considerato. Non bisogna, tuttavia, dimenticare che gli omicidi da parte di autore di sesso femminile sono una minima parte di quelli commessi e solitamente avvengono nei confronti del proprio partner, in ambienti quindi familiari".
Dunque al massimo si profila un "maschicidio", sia da parte di altri maschi, che da parte di femmine (soprattutto in ambienti familiari). Esattamente il contrario rispetto alla tesi del "femminicidio". Ma al di là di tutto questo: l'omicidio (al di là del sesso della vittima) non è già punito, e con severità, in Italia? Che bisogno c'è di parlare di "femminicidio" o "maschicidio"?
Secondo il ministro dell'interno Angelino Alfano: "Le norme hanno tre obiettivi: prevenire violenza di genere, punirla in modo certo e proteggere le vittime". Il linguaggio è significativo, e rimanda ad un mondo ideologico, non necessariamente corrispondente con il mondo reale.
Ricordiamoci del kołchoz di Manieczki: questa è una grande vittoria del governo contro un nemico di paglia, il "femminicida"; al quale sono stati rivolti i "due minuti d'odio" al pari dell'evasore e dell'omofobo.
Il solito "nemico del popolo" da stanare ed eliminare. Il cui identikit (maschio, eterosessuale, marito e padre) si delinea con una chiarezza sempre maggiore: il padre di famiglia.
RISPOSTA ALLE CRITICHE SUL MIO ARTICOLO
Il mio articolo intitolato "Femminicidio, invenzione di regime" ha suscitato diverse reazioni; alcune positive, altre negative. Cercherò di rispondere alle seconde.
C'è chi ha ironicamente commentato: "E chi glielo dice adesso che, mentre lui pubblicava, altri parlavano di 99 donne uccise dall'inizio dell'anno? E che a darne la notizia non era un quotidiano di regime bolscevico, ma niente meno che «L'Avvenire»? Si tratta del vecchio trucco detto "dell'uomo di paglia": si crea una caricatura dell'avversario facendogli dire cose che in realtà non ha mai detto, in modo da segnare un punto facile che con l'avversario vero non si sarebbe riusciti a segnare. Io non ho mai scritto che in Italia non viene uccisa nessuna donna; né ho mai negato che in Italia, ogni anno, vengano uccise molte donne. Ho negato l'emergenza femminicidio. Fino al 31 luglio 2013 sono state uccise 99 donne: malissimo! È una tragedia. E quanti uomini sono stati uccisi nello stesso periodo? Avvenire non lo dice, né altri media riportano la cifra. Perché? Perché ci si prende la briga di contare le donne uccise mentre gli uomini uccisi non li conta nessuno? Sappiamo che il rapporto tra gli uomini e le donne uccisi in un anno è circa 4/1: perché 99 donne uccise fanno notizia e 400 uomini uccisi no? Perché le 99 donne uccise vengono contate e i 400 uomini uccisi no? Valgono forse meno?

C'è stato chi ha obiettato che l'emergenza femminicidio c'è, perché la percentuale di donne uccise sale di anno in anno. Invece l'emergenza femminicidio non c'è, perché il numero di donne uccise scende di anno in anno. Erano 192 nel 2003; 172 nel 2009; 156 nel 2010; 137 nel 2011, 124 nel 2012. E come mai, se il numero assoluto di donne uccise diminuisce di anno in anno, la percentuale sale? Perché il numero assoluto di omicidi compiuti nel nostro paese scende di anno in anno, ma scende più velocemente per gli uomini che per le donne (anche a causa della maggior diffusione degli omicidi con vittime maschili).
Infine c'è chi ha commentato: "I numeri dei delitti passionali parlano chiaro: il 60% delle vittime sono donne". È vero, ma riflettiamo. Più dell'80% degli omicidi ha come autore un uomo. In ambito familiare o affettivo abbiamo un uomo ed una donna, quindi in tale ambito dovremmo avere una percentuale di vittime femminili dell'80%. Invece la percentuale è più bassa. Come dice il Rapporto sulla Criminalità in Italia del Ministero dell'Interno, mentre gli uomini uccidono più uomini, e più fuori casa, le donne uccidono più uomini e più in casa. Ossia: sicuramente gli uomini hanno una tendenza omicida più marcata (come la spiegano, gli ideologi di genere?), ma sono più pericolosi fuori casa che in casa; mentre le donne sono più pericolose in casa che fuori. Esattamente il contrario di quanto afferma la vulgata del femminicidio.
Concludo constatando che, nell'anno del trionfo dell'ideologia di genere, vorrei che fossero rispettate le quote rosa anche per quanto riguarda la criminalità in Italia, cioè che il numero di uomini uccisi ogni anno nel nostro paese possa scendere fino a raggiungere il livello delle donne uccise. E mi piacerebbe molto vedere i fautori della parità indignarsi per il silenzio con il quale vengono dimenticate molte vittime di crimini violenti soltanto a causa del loro sesso (maschile).
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 09/08/2013 (e 12/08/2013) (link)

http://bit.ly/IJ3GSB

mercoledì 14 agosto 2013

Introvigne

"La nostra battaglia... è contro i dominatori
di questo mondo tenebroso"
Sintesi della relazione di approfondimento
“Se pensi che per sfuggire a satana sia sufficiente credere nell'esistenza di Dio, ti sbagli. Anche satana crede che Dio esiste”. Con questa sfida lo scrittore Saverio Gaeta ha introdotto la relazione mattutina sul tema “La nostra battaglia... è contro i dominatori di questo mondo tenebroso” (Ef 6,12).
Clicca per ingrandire...Le insidie e le sfide di oggi rendono la nostra una fede sempre combattuta. «Da decenni – ha commentato Gaeta – anche il Rinnovamento ha mostrato una forte sensibilità su che cosa voglia dire il combattimento spirituale, talvolta subendo persino – all'interno e all'esterno della comunità ecclesiale – giudizi sgradevoli e certamente poco aderenti ai fatti».
Come ha ripetuto più volte il Papa Benedetto XVI c'è oggi una “dittatura del relativismo” che ci impone di credere e di affermare che non esiste la verità: non c'è dunque un vero criterio per distinguere bene e male. «Nella storia dell'Europa – ha denunciato nella sua riflessione il sociologo Massimo Introvigne – il peccato originale si è manifestato nelle ideologie che hanno progressivamente scristianizzato quello che era un mondo cristiano fatto di legami religiosi, politici, economici e morali». La sequenza dell'allontanamento dell'Occidente dalla verità cattolica è descritta in un celebre discorso di Pio XII nel 1952. Tre tappe corrispondono alla negazione della Chiesa: «Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. Finalmente il grido empio: Dio è morto; anzi: Dio non è mai stato» (Pio XII – 1952). Viene negata la continuità della missione di Gesù Cristo nell'unica Chiesa cattolica e anche se Dio c'è ne sappiamo pochissimo e certamente non si è incarnato in Gesù Cristo. Da qui nascono gli orrori della modernità che vorrebbero sostituire il cristianesimo incidendo sulla società, la politica e le ideologie. Questo processo porta a una cultura e perfino Clicca per ingrandire...a religioni o spiritualità senza Dio come la New age e il comunismo. «E non mancano neppure cristiani, perfino teologi cattolici, sedotti dalle ideologie. L'umanità – ha rilevato Introvigne nella sua lucida analisi – pretende di essere l'unica produttrice di se stessa. Ma l'uomo e la società non si sono fatti da soli. Sono stati creati da Dio. Questo genera grande sofferenza.
La tentazione anticristiana dell'autodeterminazione non sorge spontanea nel cuore dell'uomo ma è prodotto dall'ideologia peggiore di tutte: la tecnocrazia che vede la tecnica come potere ideologico. Pretende di dirigere i processi sociali in nome di una modernità svincolata dai limiti che la religione e la morale vorrebbero opporre alla scienza. La vera minaccia è il campo privilegiato della bioetica in cui emerge la questione fondamentale: se l'uomo si sia prodotto da se stesso o se egli dipenda da Dio».
In questo itinerario non manca il ritorno alla magia, vecchio nemico della religione che progetta una volontà deviata che snatura l'esperienza religiosa cristiana: la Chiesa, Gesù Cristo, Dio e la morale.
Un richiamo ai “peccati personali” è stato fatto da fra Benigno, francescano ed esorcista, nel suo intervento più orientato allo sfondo ecclesiale e pastorale. «Sommandosi nella singola persona e nella società – ha spiegato fra Benigno– questi peccati danno luogo alle 'strutture di peccato', le quali, pur create dall'uomo, si rivoltano contro di lui, coinvolgendolo in ulteriori peccati personali». Ma le scelte peccaminose dei singoli sono frutto soltanto ed esclusivamente dell'uomo? «Molto dipende – ha proseguito fra Benigno - dalla concupiscenza presente in noi, ma la Parola di Dio ci fa sapere che all'origine c'è il peccato di satana che ha portato all'umanità male, mali e malattie che manifestano il mysterium iniquitatis. Spesso dietro le stesse strutture di peccato ci sono i dominatori del mondo che sono il diavolo e i demoni i quali attraverso la tentazione fanno da amplificatori nel provocare tra gli uomini il peccato e le sue strutture. Il diavolo, perfido e astuto incantatore, ha agito, agisce e agirà sempre così”.
Clicca per ingrandire...Questo non significa, però, che ogni peccato sia direttamente dovuto ad azione diabolica, ma è anche vero che chi non vigila con rigore morale si espone all'influsso del male che rende problematica l'alternativa della nostra salvezza. Questa azione straordinaria del diavolo e dei demoni procura, in particolare, dei mali all'uomo sia a livello personale con l'infestazione diabolica, la vessazione e la possessione, sia a livello ecclesiale con particolari forme di avversione e persecuzione nei confronti della Chiesa. L'azione ordinaria del diavolo è invece costituita dalla tentazione con la quale induce l'uomo, con atto libero e personale, al peccato per staccarlo da Dio e portarlo alla dannazione eterna. «Questo peccato – ha affermato il Frate – si oppone al progetto salvifico di Dio offrendo una prospettiva di sofferenza eterna, distruggendo la vita divina donataci da Dio nel Battesimo che ci rende figli di Dio e fratelli di Gesù».
Da questa analisi emerge l'importanza del combattimento. Una lotta cui fa seguito una vittoria, in una strategia di difesa e di attacco. La difesa decisiva dell'invisibile nemico è la grazia. «Vivere in grazia – ha concluso fra Benigno – comporta una vita vissuta in profonda amicizia e obbedienza amorosa con Dio. Questa è l'armatura di Dio. A questo si aggiunge una strategia di attacco che ci permette di collaborare con Gesù per distruggere le opere del diavolo, primo fra tutte il peccato che è in noi. È Cristo Gesù che da povero stende la mano su di te per dirti che ha bisogno della tua lotta contro il maligno. Non deludiamo le Sue aspettative e diciamo sì al Padre celeste».
Laura Gigliarelli


Massimo Introvigne, Le sètte cristiane.
Dai Testimoni di Geova al reverendo Moon
,
Mondadori, Milano 1990, pp. 192, L. 8.000

Idem, I nuovi culti Dagli Hare Krishna alla Scientologia,
Mondadori, Milano 1990, pp. 224, L. 10.000

Idem, I Testimoni di Geova,
Mondadori, Milano 1991, pp. 128, L. 10.000

Massimo Introvigne è nato a Roma nel 1955. Dirigente di Alleanza Cattolica, in cui milita fin dagli anni del liceo, ha coltivato nell’ambito dell’associazione l’attenzione alla "nuova religiosità" contemporanea, di cui è oggi uno degli specialisti più noti a livello internazionale. È stato relatore ai due simposi organizzati dalla FIUC, la Federazione Internazionale delle Università Cattoliche, su mandato dei quattro dicasteri vaticani interessati all’argomento, tenuti a Omaha, nel Nebraska, nel maggio del 1991, e a Vienna nell’ottobre del 1991. È autore — oltre a scritti di carattere filosofico-giuridico e morale, e a numerosi opuscoli e articoli, di cui molti pubblicati in Cristianità — dei volumi Il reverendo Moon e la Chiesa dell’Unificazione (Elle Di Ci, Leumann [TO] 1987), Le nuove Religioni (SugarCo, Milano 1989), Il cappello del mago. I nuovi movimenti magici dallo spiritismo al satanismo (SugarCo, Milano 1990), I nuovi movimenti religiosi. Sètte cristiane e nuovi culti, con Jean-François Mayer e don Ernesto Zucchini (Elle Di Ci, Leumann [TO] 1990), nonché collaboratore e curatore delle opere collettive Lo spiritismo (Elle Di Ci, Leumann [TO] 1989) e Le nuove rivelazioni (Elle Di Ci, Leumann [TO] 1991). Dal 1988 è direttore del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni — da lui fondato con mons. Giuseppe Casale, arcivescovo di Foggia-Bovino, che ne è presidente —, attualmente uno dei maggiori centri di ricerca e di formazione su questo tema in Europa e nel mondo; fra l’altro, è stato giudicato "degno di nota" nella relazione generale del card. Francis Arinze al Concistoro straordinario tenuto in Vaticano dal 4 al 7 aprile 1991.

Proprio in occasione di tale Concistoro — che ha segnalato il problema delle nuove religioni, insieme a quello dell’aborto, come una fra le grandi priorità per la Chiesa negli anni Novanta — diversi porporati hanno lamentato, nonostante i progressi degli studi specialistici, la mancanza di una letteratura agile che permetta al clero e ai laici cattolici — che pure, come nella stessa sede si è sottolineato, non possono più ignorare il problema — di acquisirne gli elementi essenziali in un tempo ragionevolmente breve. L’arcidiocesi di Torino aveva da tempo avvertito questa esigenza, chiedendo a Massimo Introvigne una serie di 64 articoli, ciascuno dedicato a un movimento o problema della nuova religiosità contemporanea, pubblicati sul settimanale di cultura cattolica il nostro tempo, e un’ulteriore serie di articoli sui testimoni di Geova apparsi sul settimanale diocesano La Voce del Popolo.

Il volume Le sètte cristiane. Dai Testimoni di Geova al reverendo Moon raccoglie la prima serie di articoli apparsi su il nostro tempo, integrati da una breve conclusione di carattere pastorale (pp. 172-177) e da una essenziale ma preziosa bibliografia (pp. 179-187). Dopo aver fatto il punto sulla controversa nozione di "setta" e sui rapporti fra la nuova religiosità e lo gnosticismo antico — fenomeni fra i quali non mancano analogie — (pp. 7-24), l’autore offre anzitutto un’esposizione monografica dei tratti salienti dei tre gruppi di origine cristiana tipologicamente e sociologicamente più importanti: i mormoni (pp. 25-41), la Scienza Cristiana (pp. 42-51) e i testimoni di Geova (pp. 52-66). Segue una tipologia delle sette di origine cristiana (pp. 67-70), di cui vengono distinti sette gruppi, cinque derivati dalla "Riforma radicale" — di cui l’autore non manca di mettere in luce le differenze con la Riforma protestante delle denominazioni maggioritarie —, e gli ultimi due nati rispettivamente da scismi dalla Chiesa cattolica o dall’Ortodossia orientale ovvero dai sincretismi sorti nel Terzo Mondo fra il cristianesimo delle missioni e culti locali più antichi. Per ognuna delle sette "famiglie" Massimo Introvigne presenta — nei successivi venti capitoli monografici (pp. 71-171) — gli esempi più significativi. Se per ogni movimento, in una rapida sintesi, viene presentato l’essenziale, non mancano capitoli in cui l’autore dà conto di sue ricerche originali — come nel caso del settarismo russo (pp. 142-146) e delle nuove religioni della Nigeria, uno dei fenomeni in maggiore crescita nel mondo (pp. 167-171) — offrendo informazioni che risulteranno nuove anche per chi conosce le sue opere più ampie.

Il secondo volume, I nuovi culti. Dagli Hare Krishna alla Scientologia, raccoglie la seconda serie degli articoli de il nostro tempo, dedicati alle nuove religioni di origine non cristiana. Oltre a una bibliografia (pp. 211-219), agli articoli il volume aggiunge un’importante Introduzione (pp. 5-18), dove l’autore propone una tipologia dei nuovi movimenti religiosi di carattere dottrinale, che è stata menzionata — fra le varie tipologie correnti, ma come particolarmente importante — anche nella già citata relazione generale del card. Francis Arinze al Concistoro Straordinario del 1991. Si tratta di una tipologia che vede nella nuova religiosità un rifiuto progressivo degli elementi essenziali della visione cattolica del mondo: prima la Chiesa — "Cristo sì, Chiesa no" — nel mondo delle sette di origine cristiana; quindi il ruolo unico di Cristo — "Dio sì, Cristo no" — nei nuovi culti che preferiscono rivolgersi piuttosto all’Oriente o al paganesimo antico; poi Dio stesso — "Religione sì, Dio no" — nelle "religioni" che propongono la realizzazione del potenziale umano; e infine la stessa religione — "Sacro sì, religione no" — nei gruppi che promuovono con il sacro piuttosto un rapporto di tipo magico.
Alle ultime tre categorie è appunto dedicato il volume. I primi quindici capitoli monografici (pp. 21-107) illustrano altrettanti nuovi culti — o gruppi di nuovi culti — di origine orientale, distinti a seconda del loro retroterra storico di volta in volta islamico, zoroastriano, indù, giainista, buddhista e scintoista; non manca un’importante messa a punto sulla pertinenza dell’espressione "sette" applicata a correnti dell’ebraismo (pp. 21-26). Una seconda parte — che si apre con un capitolo sulla lotta anticristiana nella Rivoluzione francese (pp. 108-113), illustra la ricerca di religioni alternative al cristianesimo in Occidente, in direzione del paganesimo antico o della magia (pp. 114-143). La terza parte — a proposito della corrente del potenziale umano — propone una distinzione fra "religioni dell’uomo", che propongono, trascurando Dio, uno sviluppo delle potenzialità nascoste dell’individuo — l’esempio più evidente è la Scientologia, ma caratteristiche analoghe si ritrovano in alcuni culti dei dischi volanti (pp. 144-160) — e "religioni dell’umanità", che nascono come versioni ritualizzate delle ideologie, con esiti talora tragici come nel caso del Tempio del Popolo, il movimento protagonista del suicidio di massa della Guyana nel novembre del 1978, la cui dottrina costituiva in realtà un adattamento "religioso" del comunismo marxista (pp. 161-166). La quarta parte fa cenno ai principali nuovi movimenti magici, dallo spiritismo al satanismo (pp. 167-190), precisando anche che cosa si intenda esattamente per New Age (pp. 173-178). Di particolare interesse sono i tre capitoli conclusivi, dove l’autore analizza le origini e le caratteristiche del cosiddetto movimento anti-culti, mostrandone gli aspetti ambigui e inaccettabili (pp. 191-196), e si chiede infine quale debba essere l’atteggiamento del cattolico di fronte alle nuove religioni: un atteggiamento di vigilanza e insieme — almeno su alcuni terreni e con alcuni gruppi — di cauto dialogo (pp. 197-209). Le ultime pagine riguardano il ruolo nella Chiesa dello specialista che studia i nuovi culti, che ha anche bisogno del "sostegno, l’aiuto, il confronto di una comunità cristiana amica e viva", rinnovando così in termini moderni la "richiesta antica": "Pregate per me" (pp. 208-209).

Dagli articoli su La Voce del Popolo — rivisti e ampliati — era nata nel 1990 un’opera in francese: Les Témoins de Jéhovah (Cerf, Parigi-Fides, Montréal 1990), che appare ora — integrata da osservazioni specifiche su Il caso Italia (pp. 57-61), e aggiornata nelle statistiche e nella bibliografia (pp. 111-112) — in versione italiana con il titolo I Testimoni di Geova. Lo sforzo dell’autore — come egli stesso precisa nell’Introduzione (pp. 5-10) — è stato quello di offrire una sintesi di un centinaio di pagine, che chiunque può leggere in poche ore, in uno stile facilmente comprensibile anche per il non specialista, che tuttavia non trascura nessuno degli interrogativi che si può porre chi viene in contatto con il geovismo, e insieme permette al lettore almeno uno sguardo sulle ricerche più recenti di carattere storico e sociologico sui testimoni di Geova, di cui viene dato conto in una letteratura quasi mai tradotta in lingua italiana. L’autore esamina così la storia (pp. 13-61), la dottrina (pp. 63-95) e la "vita quotidiana" — cioè gli aspetti sociologici (pp. 97-109) — dei testimoni di Geova. Fra i temi su cui vengono forniti chiarimenti particolarmente utili segnaliamo la questione delle trasfusioni di sangue (pp. 80-82), le ragioni del particolare successo dei testimoni di Geova in Italia — secondo una certa lettura delle statistiche, ormai il primo paese del mondo per numero di testimoni di Geova sul totale degli abitanti — (pp. 57-61), le origini del movimento (pp. 13-23), troppo spesso considerato un unicum che sorge improvvisamente nella mente dei suoi fondatori, mentre si tratta di un fenomeno con una precisa preistoria nel protestantesimo radicale anglo-americano e nelle correnti millenaristiche.


Benché i tre volumi non si presentino con una intentio specificamente pastorale, né si propongano di offrire una confutazione degli errori delle nuove religioni alla luce della dottrina cattolica, la loro funzione pastorale potrà essere di notevole rilevanza. Una bibliografia in corso di pubblicazione in Inghilterra, curata dall’Università di Londra, rileva per la lingua italiana una trentina di volumi di studi sulle nuove religioni — esclusi i testi pubblicati dalle nuove religioni medesime —, contro oltre trentamila in lingua inglese e diverse migliaia in lingua tedesca, mentre per quanto riguarda il francese la situazione è poco migliore dell’italiano, e per quanto riguarda lo spagnolo è peggiore. I titoli in italiano si riferiscono per una buona metà a studi specialistici, per l’altra a opere di taglio polemico che intendono soprattutto mettere in luce gli errori — e la pericolosità sociale — delle nuove religioni, senza preoccuparsi troppo di una descrizione storica, dottrinale o sociologica articolata. Mentre altre opere contengono giudizi discutibili o errori anche gravi, alcuni autori cattolici — segnaliamo, soprattutto, monsignor Giovanni Marinelli, don Ernesto Zucchini, padre Giuseppe Crocetti S.S.S., monsignor Lorenzo Minuti, don Tommaso Conticchio — hanno offerto confutazioni efficaci e puntuali degli errori dei testimoni di Geova. I loro scritti presuppongono però lettori disponibili alla lettura di opere di taglio prevalentemente — quando non esclusivamente — dottrinale, e in ogni caso potranno essere meglio compresi da chi abbia già qualche informazione sui testimoni di Geova. Quanto ai movimenti diversi dai testimoni di Geova, una letteratura di buona divulgazione in lingua italiana è pressoché inesistente. Ci si deve pertanto augurare che un numero cospicuo di cattolici acquisiscano — tramite questi strumenti — almeno le informazioni essenziali sulle sette di origine cristiana, sui nuovi culti e sui testimoni di Geova. Una delle ragioni — anche se non l’unica — per cui l’Italia costituisce il primo paese del mondo per i successi proselitistici dei testimoni di Geova — nonché un terreno fecondo per altre idee e gruppi della nuova religiosità — è certamente costituita dal fatto che gran parte del laicato cattolico — e purtroppo anche del clero — si è finora accontentato sul fenomeno di qualche informazione giornalistica o di seconda mano, pensando forse — erroneamente — che riguardi soprattutto altri paesi

giovedì 1 agosto 2013

Donne cristiane su donne "Putifarre"

http://www.donnecristianenelweb.it/Moglie%20di%20Potifar.htm





Lettura: Genesi 39:1-20


1Un giorno egli entrò in casa per fare il suo lavoro, mentre non c'era alcuno dei domestici. 12Ella lo afferrò per la veste, dicendo: «Còricati con me!». Ma egli le lasciò tra le mani la veste, fuggì e se ne andò fuori. 13Allora lei, vedendo che egli le aveva lasciato tra le mani la veste ed era fuggito fuori, 14chiamò i suoi domestici e disse loro: «Guardate, ci ha condotto in casa un Ebreo per divertirsi con noi! Mi si è accostato per coricarsi con me, ma io ho gridato a gran voce. 15Egli, appena ha sentito che alzavo la voce e chiamavo, ha lasciato la veste accanto a me, è fuggito e se ne è andato fuori».
16Ed ella pose accanto a sé la veste di lui finché il padrone venne a casa. 17Allora gli disse le stesse cose: «Quel servo ebreo, che tu ci hai condotto in casa, mi si è accostato per divertirsi con me. 18Ma appena io ho gridato e ho chiamato, ha abbandonato la veste presso di me ed è fuggito fuori». 19Il padrone, all'udire le parole che sua moglie gli ripeteva: «Proprio così mi ha fatto il tuo servo!», si accese d'ira. 20Il padrone prese Giuseppe e lo mise nella prigione, dove erano detenuti i carcerati del re.
Così egli rimase là in prigione.

La moglie di Potifar aveva tutto ciò che una donna sposata può desiderare: un marito che occupava una posizione elevata come ufficiale del Faraone, viveva in una casa spaziosa e lussuosa, nuotava nell’abbondanza, aveva cibo e vestiti, c’erano schiavi al suo sevizio che facevano il necessario per esaudire i suoi desideri.
Era una donna viziata.
Come egiziana godeva di molta libertà più di ogni altra donna del tempo, con tutti questi elementi si potrebbe dedurre che fosse molto felice.
Ma questa conclusione si dimostra infondata perché la situazione reale era diversa.
E’ stato detto che le circostanze non fanno una persona, ma rivelano quale essa sia”, questa massima calza a pennello per la moglie di Potifar.            
Nelle Scritture incontriamo la figura di questa donna in Genesi in rapporto alla storia di Giuseppe, il capo degli schiavi di quella casa.
Giuseppe, figlio di Giacobbe e Rachele, era un uomo di una bellezza sorprendente, arrivò nella casa di Potifarre dopo essere stato venduto ai mercanti di schiavi dai suoi fratelli.
Ma la vita interiore di Giuseppe era ancora più singolare del suo bell’aspetto, egli camminava vicino a Dio.
Molte volte Dio gli aveva rivelato il futuro per mezzo di sogni ed era una delle ragioni per cui i suoi fratelli erano gelosi di lui e, quando poi si erano accorti che il loro padre lo amava più di tutti, presero ad odiarlo tanto da desiderarne la morte.
Essi si sbarazzarono di lui vendendolo a dei mercanti che passavano di lì, tuttavia fu molto chiaro che Dio era con Giuseppe, perché dovunque egli andasse la benedizione di Dio era con lui.
Perciò la casa di Potifar fu benedetta a causa sua, una relazione di reciproco rispetto nacque fra Giuseppe e Potifar .
In conseguenza di ciò le responsabilità di Giuseppe aumentarono notevolmente e fu nominato sovrintendente dell’intera casa.
La moglie di Potifar che a prima vista sembrava possedere tutto ciò che una donna potrebbe desiderare, era vuota interiormente, non aveva uno scopo per vivere.
Aveva del tempo libero e non sapeva come occuparlo, era sposata ad un uomo che si dedicava completamente al lavoro.
La Bibbia non parla di bambini, ma se ce ne fossero stati, probabilmente sarebbero stati affidati alle cure di una governante.
Forse era offesa per il fatto che il marito non le dava le attenzioni che avrebbe desiderato, una vita vuota cerca uno scopo, un cuore vuoto cerca soddisfazione.
La moglie di Potifar alla fine mostrò i desideri che erano nel suo cuore.
Non era riuscita a capire il carattere interiore di Giuseppe, la sua giustizia e la sua serenità erano per lei, unitamente alla bellezza fisica, motivo di attrazione.
Non poteva capire che ciò che aveva di speciale quest’uomo era il suo cammino con Dio.
Infatti, dal suo comportamento è evidente che non aveva inteso il legame fra Giuseppe e il suo Dio, perché umiliò sé stessa e  Giuseppe non una volta sola, ma ripetutamente.
Lei cercò di imporre sé stessa e il suo corpo, pensava di trovare soddisfazione nel sesso.

(...)
La rapida fuga di Giuseppe era la prova della sua purezza di carattere, indusse la donna a compiere un altro peccato: mentire.
Essendo suo superiore aveva deciso, senza nessuno scrupolo, di rovinargli la carriera e di macchiare il suo buon nome.
Questo causò a Giuseppe molti anni di prigionia. Egli indubbiamente fu molto ferito dalle accuse disoneste, probabilmente si sentì abbandonato, anche perché in apparenza Potifar non investigò sulla situazione, forse nutrì dei dubbi sul racconto della moglie, altrimenti avrebbe messo a morte Giuseppe.
Giuseppe non si lamentò, con gioia scoprì che le mura della prigione non potevano escludere Dio, che era con lui, come era stato nella casa di Potifar.
Giuseppe fu una benedizione per tutti quelli che poi incontrò: carcerieri, prigionieri sino ad arrivare al Faraone.
Fu ricompensato per la sua lealtà a Dio e al suo padrone, gli fu dato il governo di tutto l’Egitto, egli era al secondo posto nella gerarchia di comando dopo il Faraone.
Poi sposò la figlia di Faraone e divenne suo genero, cambiò nome e divenne Zaphenath-paaneath, il protettore del popolo.
In seguito poté salvare i suoi fratelli, che l’avevano tradito, quando si trovarono nella carestia.
Giuseppe non era stato il perdente, lo era stata la moglie di Potifar.
Di lei non sappiamo nient’altro, nonostante la grandezza del peccato essa non mostrò pentimento, né chiese perdono.


 
Scritto da un anonimo nel 1949

La simulazione di stalking nelle vicende di separazione

La simulazione di stalking nelle vicende di separazione 




La simulazione di stalking nelle vicende di separazione - di Maria Bernabeo
Maria Bernabeo







Con la nascita di normative specifiche sul fenomeno stalking si inizia a registrare una preoccupante casistica di false accuse rispetto a tale reato, agite con finalità strumentali e inserite all’interno delle “guerre” che sovente si sviluppano attorno alle separazioni conflittuali, ma a volte anche nell’ambito di controversie lavorative.
L’ambito della conflittualità di coppia sembra essere comunque quello maggiormente a rischio per eventuali situazioni di falso stalking. I ricercatori del resto hanno ampiamente descritto una serie di alterazioni della relazione e di disturbi psicopatologici che insorgono nelle famiglie al momento della separazione e che proseguono anche dopo il divorzio.
La separazione si configura come un evento stressante che trasfigura lo stile relazionale delle persone coinvolte e che può arrivare a mettere in evidenza aspetti psicopatologici in soggetti ritenuti in precedenza normali, che erano tenuti in fase di compenso dalla relazione coniugale e dal rapporto genitore-figlio.
Nell'ultimo decennio il disagio in separazione è stato ampiamente descritto dalla letteratura scientifica che ha mostrato come a volte tale disagio possa giungere fino a una vera e propria sintomatologia psicopatologica, espressa attraverso la PAS, il MOBBING e attualmente lo STALKING.
Il rapporto Istat 2007 sullo stalking fornisce un quadro abbastanza significativo, anche in Italia vi sarebbero 2 milioni 77 mila donne che hanno subito comportamenti persecutori di stalking dai partner al momento della separazione. Sul coinvolgimento degli uomini in tale contesto in qualità di vittima i dati appaiono meno verosimili a causa della riluttanza maschile a sporgere denuncia.
Ma come si può giungere all’utilzzo strumentale della normativa sullo stalking? Non di rado accade che il genitore affidatario, ma “non collocatario”, non riuscendo a frequentare i figli a causa dell’ostruzionismo dell’altro, cominci ad effettuare numerosi tentativi di contatto telefonico e fisico, magari passando più volte sotto l’abitazione della prole, nella speranza di poterla incontrare e “rubare” un saluto, un abbraccio. Questo comportamento può essere agevolmente fatto passare “ad arte” per stalking.
Secondo i dati ufficiali, relativi alle false denunce, ciò accade molto più spesso di quanto si possa pensare. Nel 2009 sono state 7000 le denunce per stalking in tutta l’Italia, 3500 sono risultate prive di requisiti e archiviate. Le false accuse che vengono prodotte verso l’ex partner sono a volte in qualche modo facilitate dalle associazioni che fanno discriminazione di Genere (tutelano solo donne o solo uomini) nell’offrire i loro servizi.
Le Associazioni spesso non effettuano un’attenta operazione di filtro: suggeriscono sovente agli/alle assistiti/e a denunciare subito, non verificando prima e con attenzione la veridicità dei fatti.
Al contrario dei casi di maltrattamento, dove la richiesta di aiuto spesso è supportata da riscontri medico-legali, la maggior parte dei casi di stalking comprende comportamenti intrusivi “raccontati” dalla vittima che necessitano però di prove concrete, anche per poter poi reggere ad un eventuale giudizio. Anche gli avvocati molte volte non operano i corretti filtri, pertanto l’assenza di questi ha fatto sì che la pratica delle false accuse divenisse un fatto di mal costume.
Per essere sicuri dell’attendibilità dell’accusa si dovrebbero effettuare più controlli incrociati. Se la denuncia è prodotto da un ex si dovrebbe infatti sempre esaminare attentamente la loro storia di coppia per capire se si sta realizzando un processo di vittimizzazione che, al momento della rottura del matrimonio, ha raggiunto il proprio apice nell’accusa di stalking prodotta nei confronti dell’altro coniuge. In tal senso la collaborazione strettissima del Legale con lo Psicologo, appare necessaria per una corretta lettura delle vicende presentate.
Ma quali sono le cause più frequenti che spingono un genitore ad accusare falsamente il partner di stalking?
L’accusa falsa di stalking è uno dei modi più semplici per estromettere per lungo tempo l’altro genitore dalla vita del/dei figli. Si raggiunge un doppio effetto: si tenta di liberarsi del partner come coniuge, ma anche come care giver, facendolo uscire definitivamente dalla propria vita e da quella dei figli. Ma casi di false accuse di stalking si sono registrate anche nel mondo degli affari. Nell’ambiente di lavoro capita che nascano relazioni sentimentali tra colleghi o tra dipendenti e superiori. Le relazioni a volte finiscono ma i rapporti d’affari possono continuare.
La falsa denuncia di stalking e la diffida a cercare incontri sgraditi con un ex partner può quindi celare l’intento di estromettere il soggetto che riceve la diffida a frequentare luoghi connessi al contesto lavorativo così che la finta vittima possa ottenere dei vantaggi. L’accusato, pur percependo la falsità delle accuse può decidere di buon grado di ritirarsi per evitare “fastidi” legali. La falsa accusa di stalking diviene allora uno strumento per combattere in maniera sleale una guerra di business.
Il protocollo di intervento dell’ICAA che già dalla fase di presa in carico del caso prevede una stretta collaborazione tra Legale e professionisti di area psicologica, induce ad una attenta valutazione dei contesti e dei comportamenti riferiti dalla vittima e riduce di fatto la possibilità di strumentalizzazione dell’azione legale.
 
Dr.ssa Maria Bernabeo
Centro Tutela Famiglia

Fonte: http://www.centrotutelafamiglia.com/2013/07/la-simulazione-di-stalking-nelle-cause.html?spref=fb