Fabio Nestola |
di Fabio Nestola -
Stagione calcistica 2013, stadio di Busto Arsizio, amichevole di lusso
fra Milan e Pro Patria. L’evento in sé non sarebbe da prima pagina, ma
tutti i quotidiani riportano la notizia. La partita è stata interrotta:
il Milan - prima alcuni giocatori, poi l’intera squadra - ha abbandonato
il campo a causa dei cori razzisti provenienti dalle tribune.
Da notare il taglio che tutti i giornali, tutti i TG e tutti i
personaggi coinvolti danno all’episodio: “cori razzisti provenienti da
una ventina di imbecilli”, “un gruppo di delinquenti da isolare”, “una
minoranza incivile”, “un manipolo di provocatori”, “una fazione
isolata, fischiata dal resto degli spettatori” e infine “uno sparuto
gruppo di persone che sarebbe sbagliato chiamare tifosi, perché i tifosi
sono un’altra cosa”
Ecco i doverosi distinguo. Il gruppo razzista è stato immediatamente
isolato, tanto sugli spalti quanto nella percezione che ne viene data
alla collettività tramite stampa, radio, TV. Accuratamente da evitare
qualsiasi equivoco: i razzisti sono una minoranza e come tale devono
essere descritti, guai a lasciar intendere che possa essere razzista
l’intera Busto Arsizio, l’intera Lombardia, l’intero Nord, l’intera
Italia.
Nonostante gli episodi di intolleranza negli stadi si ripetano a decine
ogni anno, l’atteggiamento di tutti gli addetti ai lavori,
intervistatori ed intervistati (atleti, allenatori, dirigenti, questori,
politici) tende sempre a tracciare i reali contorni del fenomeno: si
tratta di minoranze che vanno isolate, la parte sana della società è in
larghissima maggioranza.
Qualche imbecille non può inquinare l’immagine dell’intera popolazione italiana, che dall’odio xenofobo prende le distanze.
Non solo per il calcio, si badi bene. Il Paperone con lo yacht denuncia
1000 Euro al mese? Non per questo tutti gli italiani sono evasori, ci
si preoccupa immediatamente di operare il distinguo con i milioni di
contribuenti a reddito fisso, che sono la grande maggioranza. Il
paziente muore in sala operatoria? Il giudice prende mazzette per
“aggiustare” i processi? Non per questo tutti i giudici italiani sono
corrotti, ci si preoccupa immediatamente di operare il distinguo con la
maggioranza di magistrati onesti, e si tirano in ballo Falcone e
Borsellino.
Potremmo fare altri mille esempi, tanto funziona sempre così: la
maggioranza sana prende le distanze dalla minoranza malata, che viene
circoscritta. È doveroso che accada, sarebbe preoccupante se non fosse
così.
È impossibile, però, non notare l’asimmetria mediatica rispetto ad un
solo argomento; gli stessi distinguo non emergono in occasione degli
episodi di violenza che registrano vittime femminili. Fatti di cronaca
gravissimi, sia chiaro, ma lontani dal costituire il “costume italiano”
che si vuole dipingere.
Ogni donna uccisa: in Italia gli uomini sono assassini.
Ogni donna violentata: in Italia gli uomini sono stupratori.
Tutti, non “una minoranza da isolare e condannare”, altrimenti
risulterebbe difficile costruire l’allarme artificiale che invece viene
costruito. Il mondo femminile è sotto attacco da parte del mondo
maschile, è questa la mistificazione che lentamente, ma con costanza ed
accanimento, viene inculcata nell’immaginario collettivo.
Il maschile è da condannare, non la minoranza deviata. Il maschile è da
“rieducare”, non la minoranza deviata. Nel biasimo per il maschile non
esistono distinguo, l’intera categoria è sotto accusa.
Cosa si nasconde dietro questa strategia? Perché la mistificazione
impera incontrastata? Perché non è sufficiente dire pura e semplice
verità - cioè che è gravissimo il dato di 100 donne l’anno uccise dal
partner - ma ci si affanna a gonfiare i dati spacciandoli per “prima
causa di morte per le donne”?
Perché viene coniato il termine femminicidio, con lo slogan donna uccisa in quanto donna?
Perché non viene coniato il termine operaicidio per definire i morti sul lavoro, che sono dieci volte superiori?
Perché costruire una emergenza femminicidio, infilando a forza nella
statistica vittime uccise per denaro o per vendetta, eventi che nulla
hanno a che vedere con l’essere donna?
Che strategia può esserci dietro questa mistificazione pianificata?
Solo la ricerca di fondi per i centri antiviolenza, o c’è anche altro?
Solo il varo di norme restrittive da far digerire alla collettività come
“indispensabili”, o c’è anche altro?
La Guerra Psicologica si fonda sull’ideologia. Manipola tutto: parole,
notizie, immagini, coscienze. Manipola le masse basandosi sulle
insinuazioni, propagandando come reale una mistificazione ideologica.
Propaganda pura: nessuno spazio al ragionamento, alla logica, alla verifica basata su dati oggettivi.
Slogan, slogan, slogan, e poi terrore, allarme, emergenza..
La Guerra Psicologica ha bisogno di raffigurare narrazioni tali da
generare odio, di indicare un pericolo, un nemico. Attraverso riti di
colpevolizzazione, liturgie, miti. Si costruisce un pericolo,
un’emergenza, quindi deve esserci una difesa collettiva.
Di Guerra Psicologica parla Solange Manfredi[1].
Ne ha studiato i protocolli, estratti da diversi manuali militari e dal
dossier Gladio. Lei trova riscontri nelle campagne elettorali,
nell’alta finanza, nelle religioni, nella geopolitica.
Chissà perché, a me sembra di vederci anche altro …
chi vuole approfondire cerchi il suo nome in rete, c’è tanto altro
Fonte: Redazione - Fabio Nestola
Non ci sono allegati per questa notizia
Nessun commento:
Posta un commento