La legge 54 sull’affidamento
condiviso dei figli nelle separazioni e nei divorzi ha da poco superato
il settimo anno ed è oggetto di profondo dibattito.
Fonte:http://www.famigliacristiana.it/articolo/fascione-l-afido-condiviso.aspx
E’ stata
quasi totalmente sdoganata dai tribunali italiani, che la applicano
massivamente. Ma secondo alcuni autorevoli critici è stata anche
purtroppo svuotata degli obiettivi per cui era nata: la legge 54
sull’affidamento condiviso dei figli nelle separazioni e nei divorzi ha
da poco superato il settimo anno ed è oggetto di profondo dibattito.
Sul tavolo c’è, prima di tutto, la domanda se sia veramente uscita dalla
carta. Insomma, l’affidamento condiviso ha davvero realizzato quel
principio di bigenitorialità secondo cui, pur nella separazione, padri e
madri devono mantenere pari diritti e pari doveri nella cura e
nell’educazione dei figli?
Secondo le ultime rilevazioni Istat (anno 2010) in Italia le separazioni
sono state 88.191 e i divorzi 54.160. Il fenomeno è in crescita
costante: se nel 1995 c’erano 158 separazioni e 80 divorzi ogni 1000
matrimoni, ora si registrano 307 separazioni e 182 divorzi. Quasi il 70%
delle separazioni e quasi il 60% dei divorzi coinvolge coppie con
figli.
E qui arriviamo all’applicazione, quasi a tappeto, dell’affidamento
condiviso: è stato previsto nell’89,8% delle separazioni e nel 73,8% dei
divorzi.
I figli coinvolti nel fenomeno non sono pochi: si tratta
complessivamente di 153.331 tra bambini, adolescenti e maggiorenni. Di
questi, 88.972 sono minorenni e sono dunque stati affidati secondo il
regime della legge 54 o, per casi ormai residuali, in affidamento
esclusivo.
Fino al 2005, l’affidamento esclusivo dei figli minori alla madre è
stata la situazione ampiamente prevalente. C’era una previsione di
“calendari di visita” riservati ai padri, che si trovavano però
estromessi dalla vita quotidiana dei piccoli nonché dalle decisioni che
li riguardavano, dal momento che la potestà genitoriale spettava in modo
esclusivo al genitore affidatario.
Con l’entrata in vigore della Legge 54/2006 l’ottica è stata ribaltata:
secondo la nuova legge entrambi i genitori ex-coniugi conservano la
potestà genitoriale e devono provvedere al sostentamento economico dei
figli in misura proporzionale al reddito. E’ previsto un assegno al
coniuge economicamente più debole (ma attualmente è concesso solo nel
20% dei casi), cumulabile a quello per i figli, che viene previsto nel
73% delle separazioni. Entrambi i tipi di contributo ammontano in media a
poco più di 400 euro, 480 per i figli.
Se questo è il quadro formale, gli aspetti sostanziali legati alla
corretta applicazione della legge 54 mostrano tutte le difficoltà
culturali, organizzative, sociali, che essa ha incontrato in questi
anni.
Una delle maggiori critiche alla legge riguarda la sostanziale “fatica”
del sistema, della magistratura in particolare, ad abbracciare
pienamente l’innovazione e a evitare di ripetere i vecchi schemi, come
l’indicazione della madre “collocataria principale” e la stesura di un
calendario minimo di visita che replica le vecchie dinamiche
dell’affidamento esclusivo.
Secondo altri – e opposti - punti di vista, l’affidamento condiviso
rischia invece di aumentare l’esasperazione dei rapporti e creerebbe un
corto circuito nella gestione delle rispettive spese sostenute per i
figli (il testo normativo infatti ha eliminato il riferimento a un
assegno di mantenimento fisso).
In questi ultimi due anni è stato
discusso al Senato un disegno di legge di riforma della legge 54, il ddl
957, ispirato al lavoro dell’associazione Crescere Insieme, presieduta
dal professor Marino Maglietta, che è stato l’ispiratore dell’affido
condiviso. Il testo era volto a dare maggior sostanza agli obiettivi
dell’attuale norma, favorendo ad esempio la situazione di un doppio
domicilio per i figli, per vivere la quotidianità con entrambi i
genitori. Finita la Legislatura, l’iter della proposta si è interrotto e
un nuovo testo dovrà essere ripresentato.
Tra questi molteplici
chiaroscuri, l’affidamento condiviso resta oggi una grande opportunità,
per i genitori, di dimostrare ai figli l’amore e il senso di
responsabilità che li tiene legati, a prescindere dalla vicenda della
separazione.
Benedetta Verrini
L’affido condiviso? E’ rimasto sulla carta.
Quella grande rivoluzione, rappresentata dall’affermazione del
principio di bigenitorialità come valore da difendere in tutti i casi di
separazione, non è ancora riuscita a realizzare il cambiamento sperato.
La prassi giurisprudenziale ha trovato gli escamotage per mantenere
gran parte delle separazioni in una condizione da pre-riforma. Marino Maglietta, presidente dell’associazione Crescere Insieme,
docente universitario e ispiratore della legge 54 del 2006, stila un
severo bilancio dei primi anni di applicazione dell’affidamento
condiviso.
«E’ stata adottata una - neanche troppo sottile - modifica lessicale», spiega. «Non si parla più di genitore affidatario ma di genitore collocatario.
Si tratta ancora, in prevalenza, della madre, che trascorre con i figli
la gran parte del tempo, resta nella casa familiare e si fa carico di
tutte le decisioni e i compiti di cura. Con questa impostazione, va da
sé che la stragrande maggioranza delle sentenze ripescano il vecchio
diritto di visita del padre e dispongano un assegno di mantenimento per i
figli, che nella ratio della legge doveva restare residuale ed
esclusivamente perequativo».
Cosa è successo? «E’ successo che la magistratura si è opposta all’applicazione della legge»,
sottolinea Maglietta. «Un po’ per fattori culturali, un po’ per
difficoltà a ribaltare prassi ormai consolidate, il sistema ha respinto
la portata innovativa dell’affido condiviso. Certamente, per applicarlo
nel modo giusto, garantendo il pieno coinvolgimento dei padri e delle
madri nella vita dei figli, è necessario entrare in ciascun caso,
approfondirlo, sforzarsi di sollevare gli occhi dai moduli pre-stampati
che azzerano la specificità di ogni storia familiare».
Non a caso, osserva Maglietta, gli unici veri affidamenti condivisi i genitori sono costretti a pretenderli e a farseli da soli,
con l’assistenza di mediatori. Ma quanta buona volontà, quanta fiducia
reciproca, quanta consapevolezza e corretta informazione servono per
arrivare a questo traguardo? In questo senso, il promotore
dell’affidamento condiviso non è tenero nemmeno con la categoria degli
avvocati che, a suo avviso, «non ha apprezzato il fatto che la legge 54
andasse a ridurre i contenziosi, disinnescando lo scenario
vincitori-vinti».
«Per questo motivo, dopo aver a lungo monitorato la situazione, abbiamo
ispirato la proposta di legge 957 in discussione in Senato, il cui iter è
stato interrotto dalla fine della Legislatura. Continueremo a lavorare
perché possa essere riproposta, e nel frattempo anche aggiornata», dice.
«L’ipotesi legata alla riforma della legge 54 è quella di “riscriverne”
alcuni passaggi in modo che la sua applicazione diventi assolutamente
ineludibile».
L’idea di fondo è quella di ribadire la pariteticità delle
responsabilità e dei doveri di cura dei genitori, «pariteticità che non
significa una divisione al 50 per cento dei tempi», sottolinea
Maglietta, chiarendo una volta per tutte un aspetto particolarmente
dibattuto della proposta. E di fronte allo scalpore che ha suscitato
l’idea del “doppio domicilio”, il professore ricorda che la bigenitorialità si sostanzia nella quotidianità con i figli, nella possibilità che “casa” sia l’appartamento del papà così come quello della mamma.
Il corollario di questa impostazione è il superamento di tutte le
rigidità legate ai tempi di visita e all’assegno di mantenimento. «Se
anche il padre è presente nella vita quotidiana dei ragazzi, non ha
senso impostare un rigido calendario di visita e non ha senso dibattere
sull’ammontare di un contributo fisso. Con il “vecchio” assegno,
infatti, i padri liquidavano anche tutti gli obblighi di cura che
finivano sulle spalle delle ex mogli. Ora la gran parte delle mamme
sarebbe davvero sollevata di fronte alla possibilità di contare
soprattutto sul tempo dei padri, più che sul loro denaro».
Benedetta Verrini
«Una nuova e doppia realtà è inevitabile per il figlio di una coppia che
si separa, così come all’inizio sono da mettere in conto i capricci e i
piccoli opportunismi di ogni giorno. Ciò che va invece curato da subito
è la qualità della relazione, la sintonia tra ex coniugi su ruoli e
compiti educativi». Lo sostiene con chiarezza
Fulvio Scaparro,
psicoterapeuta e fondatore dell’associazione milanese GeA, Genitori
ancora, che da oltre 25 anni promuove la cultura della genitorialità
oltre la separazione e il divorzio.
«E’ importante che questa dimensione continui attraverso la relazione
tra madre e padre e non a livello individuale. Per un figlio di separati
infatti il dolore più grande non è spostarsi da una casa all’altra ma
passare attraverso messaggi contrastanti, spesso bellicosi senza contare
che a volte il bambino stesso diventa messaggero di rabbie e ostilità».
Difficile però dialogare con equilibrio e coerenza sul terreno quasi
sempre aspro di una separazione. «Ma passato il periodo della tempesta
deve sopraggiungere la capacità di distinguere il fallimento
matrimoniale dal progetto genitoriale. Anzi, lo stesso matrimonio non
sarà stato vissuto invano se i figli potranno continuare a contare su
mamme e papà capaci di crescerli in armonia.
Proprio nelle difficoltà i “buoni” genitori si dimostrano tali».
Per questo Scaparro invita i genitori che affrontano una separazione a
farsi aiutare, avvalendosi dei servizi di mediazione familiare e ancora
prima a formarsi. «Esistono corsi di preparazione sulla genitorialità,
responsabilità comune e irreversibile, così irreversibile che andrebbe
trasmessa chiaramente anche nei corsi pre-matrimoniali per ricordare
sempre che si può smettere di essere coppia nella passione e negli
affetti ma non si finisce mai di essere genitori».
Paola Molteni
Nel dibattito su una possibile riforma della legge 54/2006 l’Aiaf - Associazione Italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori ha preso una posizione netta, già nel 2011, per ribadire che non vi sono reali necessità di modifica.
Quello che serve, piuttosto, per far decollare il principio di
bigenitorialità, sarebbe «un’equa ripartizione dei compiti domestici e
di cura dei figli, nel momento della convivenza come nella fase di
separazione della coppia genitoriale; un più efficace intervento
culturale sulle responsabilità familiari e genitoriali e un concreto
sostegno alle famiglie; servono interventi di tipo psicologico e
relazionale a sostegno della genitorialità, soprattutto nei casi di
conflittualità tra i genitori, e una fattiva politica di ampliamento dei
servizi sul territorio». Così aveva scritto, in un intervento lucido e
appassionato, la compianta Milena Pini, che ha guidato per anni l’Aiaf e che è recentemente scomparsa.
In sintonia con il suo pensiero, gli avvocati aderenti all’associazione
guardano con preoccupazione a interventi che possano irrigidire, o
dettagliare all’estremo, i principi fissati dalla legge sull’affidamento
condiviso.
«Il concetto della condivisione non può essere ridotto a una quasi
“scientifica” separazione al 50% del tempo trascorso con padre e madre.
E’ necessario elevarlo a un altro piano, quello educativo, rassicurando i
bambini che la mamma e il papà sono coinvolti nella loro vita e sono
d’accordo sulle scelte che li riguardano, dalla scuola agli sport,
passando per l’educazione e gli orari», spiega Luisella Fanni, vicepresidente Aiaf.
«L’ipotesi di imporre un doppio domicilio, contenuta nell’ultima
proposta di riforma della legge 54, mi pare davvero di difficile
realizzazione, perché dipende dal livello di conflittualità della coppia
ma anche dall’età e dalle abitudini dei figli. Non mi pare giusto che,
soprattutto quando sono piccoli, abbiano confusione su dove devono stare
e su quale sia la loro casa. Gradualmente potranno capire che dove c’è
un genitore che li ama e si prende cura di loro, lì c’è una loro casa».
L’avvocato Fanni cita casi in cui gli ex coniugi sono riusciti a collaborare e a trovare soluzioni molto equilibrate, «ma serve un grande lavoro da parte degli avvocati
per far capire, ad esempio, a certi padri che fanno mancare il loro
sostegno economico, che i figli devono essere mantenuti; e a certe madri
che i bambini non sono una proprietà e non esiste una competenza
esclusiva nell’accudimento, in cui bisogna coinvolgere anche i padri,
quelli che già lo facevano e quelli che devono imparare a farlo».
Nelle separazioni è passato il mito della vittoria a tutti i costi? «Per
gli avvocati Aiaf sicuramente sì. Siamo consapevoli che la miglior vittoria, il più delle volte, è quella in cui si trova un punto di mediazione,
in cui si fa capire - anche alla coppia più conflittuale - che i figli
hanno il diritto di mantenere le relazioni con entrambi e con i loro
familiari. Qui non ci sono vittorie o sconfitte, c’è solo l’importanza
di rispettare i propri doveri, oltre a reclamare diritti».
La grande spinta culturale che serve alla legge 54 per poter decollare
coinvolge l’intero sistema, avverte l’avvocatessa. Giudici, avvocati, ma
anche mediatori e psicologi e tutte le competenze coinvolte nella
separazione sono chiamati a consapevolizzare la coppia sui doveri nei
confronti dei figli e sul senso profondo del continuare a essere
genitori. «Dobbiamo chiederci cosa perdono quei bambini» dice, «e cosa
possiamo fare per continuare a garantirglielo. E’ necessario
altresì valutare quali erano le abitudini precedenti di quella famiglia e
modellare il futuro dei bambini su di esse, chiamando i genitori a fare la loro parte perché, anche se non si è più mariti o mogli, si resta madri e padri per sempre».
Benedetta Verrini
Il diritto di un bambino di avere
sempre accanto entrambi i genitori, anche dopo la loro separazione,
resta sulla carta. Sì perché nonostante la Corte di Cassazione abbia
stabilito che l’affido condiviso dei figli debba essere seguito di
regola nei casi di separazione, l’istituto non viene effettivamente
applicato.
Dati e considerazioni emergono da un recente convegno organizzato a Roma dal Centro studi sul diritto della famiglia e dei minori.
In Italia il 49% delle coppie che si separano e il 33% di quelle che
divorziano hanno almeno un figlio minore e le separazioni per cui è
stato stabilito l’affidamento congiunto toccano l’89,8%. Disposizioni
ben lontane della realtà però, come informa una ricerca del centro,
secondo la quale per l’88% dei padri separati l’affido condiviso è
inefficace (nel 92% dei casi il figlio viene affidato di fatto alla
madre).
«E così il minore continua a trovarsi in mezzo a un genitore
“collocatario” (di solito la madre) e a uno “marginalizzato” - commenta
l’avvocato Matteo Santini, direttore del centro -
squilibrio che secondo un nuovo disegno di legge si risolverebbe
garantendo ai figli dei separati una doppia casa e un doppio domicilio».
Ma non sempre duplicare case e organizzazione quotidiana significa garantire una reale condivisione.
Lo conferma Anna, 40 anni, mamma di due bambini di 13 e 9
anni, separata da più di un anno. «I nostri figli hanno la fortuna di
poter contare su due case vicine, dividono la loro settimana tra me e il
papà e stiamo attenti a non far mancare loro niente. Non riusciamo però a comunicare sulle loro emozioni e sui bisogni educativi
e abbiamo mantenuto le abitudini di prima: io sono quella severa, con
lui si divertono però non fanno mai i compiti! Con il risultato che,
così “sdoppiati”, anche se mi sembrano sereni diventano sempre più
insofferenti alle regole e opportunisti».
Paola Molteni
L’affido condiviso? Il suo riconoscimento legislativo e la sua
diffusione nella prassi delle separazioni italiane sono un fatto molto
positivo, che ha consentito di riportare i padri sulla scena educativa e
affettiva nella relazione con i figli. «Ma un coinvolgimento
significativo non significa, necessariamente, una suddivisione al 50% di
tutte le responsabilità organizzative e genitoriali. Ogni separazione è
una storia a sé. Se l’affido condiviso deve trasformarsi in una lotta
per avere tutto doppio, diventa una follia». Costanza Marzotto è psicologa, mediatrice familiare, direttore del Master biennale in Mediazione familiare e comunitaria
all’Università Cattolica e membro dell’équipe del Servizio di
Psicologia Clinica per la coppia e la famiglia che da anni ha istituito
anche i Gruppi di parola per i figli dei genitori separati (www.unicatt.it/serviziocoppiafamiglia).
Rispetto alle dinamiche e alla riuscita dell’affido condiviso in Italia
ha una visione estremamente lucida, che tiene conto anche del panorama
internazionale in cui questa esperienza ha già una lunga e importante
storia da raccontare.
Nell’ultima legislatura si è discusso di una proposta per incentivare
ulteriormente l’affido condiviso, facendo sì che i figli dei separati
abbiano davvero due domicili, due abitazioni, doppi luoghi degli interessi e degli affetti. Cosa ne pensa?
«Da un lato, penso che ci troviamo in una fase in cui l’esperienza
dell’affido condiviso è ancora fortemente rivendicata, soprattutto dai
padri, dunque si pretende il 50% di tutto per essere certi di essere
coinvolti nella vita dei figli. Ed è vero che attualmente il genitore
“collocatario” ha una posizione “dominante”, mentre l’altro, in una
posizione più accessoria, finisce per diventare maggiormente
rivendicativo soprattutto sul fronte economico, disposto per esempio a
pagare solo per le spese sostenute quando il figlio è con lui. Ma questo
non è il cuore del problema. E qual è, allora? Il problema è che i
genitori devono essere aiutati a chiedersi quale fosse, durante il
matrimonio, la loro delega di responsabilità genitoriale. Se un
padre, per esempio, aveva già un ruolo periferico nella vita dei figli –
e ciò avviene spesso, perché in Italia la struttura familiare vede
ancora un genitore principale e uno accessorio – sarà molto difficile
costruire “in laboratorio” un affido condiviso in cui all’improvviso
diventa presente e condivide esattamente a metà ogni responsabilità
educativa e familiare. Sappiamo che non è nemmeno questo che serve ai
figli».
In che senso?
«Una recentissima ricerca anglosassone, condotta su un campione di 400
giovani adulti che hanno ripercorso la separazione dei genitori, ha
fatto emergere il bisogno di un progetto il più possibile
personalizzato, che tenga conto dell’età e dei bisogni del singolo
bambino, basato più sulla qualità della relazione che sulla quantità.
Facciamo un esempio: per la qualità della relazione, forse è più
importante che un padre porti ogni settimana il proprio figlio a calcio o
a nuoto, piuttosto che gli imponga di condividere, magari fin dalle
prime settimane della separazione, una nuova casa in cui vive anche un
nuovo partner magari con altri figli».
Dunque è meglio non imporre una divisione della vita familiare “con il bilancino”...
«Esattamente, soprattutto, lo ripeto, se prima della separazione il
ruolo del padre era in qualche modo accessorio rispetto a quello della
madre. Questo non significa escludere un genitore, ma incoraggiarlo e
coinvolgerlo in una relazione davvero significativa. E’ quello che ci
chiedono anche i ragazzi: vorrebbero percepire che il genitore
collocatario incoraggia e sponsorizza il rapporto con l’altro genitore,
invece accade spesso che gli incontri sono vissuti con estrema tensione e
ansia di controllo».
Per questo si cercano strumenti giuridici per dare maggiore concretezza all’affido condiviso…
«Certo, abbiamo molte esperienze all’estero in questo senso: in
Canada, per esempio, l’alternanza tra una casa e l’altra è una realtà. L’affido
condiviso alternato, che impone al bambino di vivere a settimane
alterne in due case diverse, è però al centro di un fortissimo
ripensamento in Francia: sono stati i padri stessi a capire che il
cambiamento continuo del setting alimentare, educativo, organizzativo
era fonte di grande stress per i bambini e i ragazzi».
Allora, che fare?
«Accedere a una mediazione familiare precoce, avere un
orientamento informativo preventivo per stabilire accordi significativi
da proporre direttamente al giudice della separazione. In questi ultimi
tempi ho visto funzionare molto bene una soluzione che prevede
l’alternanza dei genitori nella casa familiare. E’ un’esperienza che
prevede che entrambi abbiano una casa “di riserva”, magari quella
dei nonni o di un nuovo partner, ma permette di lasciare invariate le
abitudini dei bambini, di evitare la famosa “valigia in mano” e di
introdurre i cambiamenti della separazione con estrema gradualità,
condividendo davvero ogni situazione, spesa, difficoltà nella gestione
domestica ed educativa».
Benedetta Verrini
Prendersi
cura dei figli, seguire la loro crescita, decidere dove frequenteranno
il liceo o da quale dentista possono andare. I papà di oggi vogliono
essere presenti nelle vite dei loro bambini anche dopo un’eventuale
separazione. La soluzione potrebbe essere l’affido congiunto. Che, però,
nella pratica a volte funziona, altre no.
«Quando io ed Elena ci siamo lasciati, era terrorizzato al pensiero di
non poter più a stare accanto a nostro figlio Marco», racconta Tiziano Buselli,
48 anni e un bambino di 8. «Ho ottenuto l’affido condiviso e ne sono
entusiasta, perché passo parecchio tempo con Marco e mi sento un papà
presente, attento». Secondo Tiziano, le piccole difficoltà pratiche si
risolvono con il buon senso. «Per un bimbo può essere faticoso avere due
case, dovere fare e disfare la valigia continuamente. Per questo io e
la mia ex abbiamo diviso il guardaroba del piccolo tra i due
appartamenti e abbiamo arredato le camerette con mobili simili, in modo
che nostro figlio non si senta mai ospite in casa sua». Queste strategie
hanno funzionato: il piccolo Marco è sereno. «Impegnarmi con la mia ex
moglie per rendere più agile la vita del bambino ha migliorato anche il
nostro rapporto, adesso siamo meno rancorosi e più complici
nell’educazione del piccolo».
Non per tutti l’affido condiviso rappresenta la scelta migliore. «Sono
felice di potermi ancora occupare di mia figlia», racconta Antonio Pesce,
42 anni e una bimba di 10. «Però ho l’impressione che l’affido
congiunto stressi un po’ troppo la mia piccola, che si ritrova ad avere
due vite autonome e separate, una con me e una con la mamma. Purtroppo
spesso i ragazzi subiscono l’affido condiviso, che rischia di privarli
delle sicurezze di cui hanno bisogno. Sono arrivato al punto di pensare
che, forse, in caso di separazione, affidare il bambino a un solo
genitore, senza naturalmente escludere l’altro dalla vita del piccolo, è
il male minore».
«L’affido condiviso potrebbe essere una grande opportunità per le coppie con figli che si separano» sostiene Paolo Cavallaro,
50 anni e due figli adolescenti. «Purtroppo, però, sono pochi i
genitori separati che riescono a crescere insieme i bambini senza
scontrarsi di continuo». Le amare parole di Paolo sono il frutto della
sua esperienza. «Io e la mia ex moglie credevamo che l’affido condiviso
sarebbe stato perfetto per noi, invece ci ha creato molti problemi. Per
esempio, io credo che la mia ex mi estrometta da parecchie scelte
familiari, mentre lei mi accusa di screditarla davanti ai nostri figli,
minando la sua autorità. Ed entrambi ci rendiamo conto che, purtroppo,
nonostante i nostri sforzi i ragazzi si sentono spaesati e soffrono».
Erika Di Francesco
Separarsi è doloroso per tutti. E,
se ci sono anche dei figli, diventa faticoso e difficile continuare a
fare i genitori, senza escludere la mamma o il papà dell'educazione dei
bambini. Molte madri ritengono che la soluzione sia l'affido condiviso.
«Io e Patrizio siamo stati amici per parecchi anni prima di innamorarci, sposarci e diventare i genitori di Viola», racconta Chiara Autelli,
39 anni e una figlia di 12. «Ed è stato proprio l'affetto che ci ha
sempre uniti a permetterci, una volta finito l'amore, di restare due
genitori presenti e uniti». L'esperienza di Chiara è positiva: Viola
vive un po' dalla mamma e un po' dal papà ed è una ragazzina sorridente,
sicura di sé. «Con il mio ex ci siamo spartiti i compiti», continua
Chiara, «per esempio, io ho scelto la scuola per la piccola, mentre lui
l'ha portata dal suo dentista di fiducia per l'apparecchio. Siamo in
armonia».
Anche Serena Di Fazio, 47 anni e un bambino di 12, è
entusiasta dell'affido condiviso: «All'inizio non è stato facile, perché
il nostro Mattia era disorientato dalla nuova vita divisa tra me e il
mio ex. Ma sono bastati pochi mesi per ritrovare un po' di equilibrio.
Ed è capitato che fosse proprio il nostro bambino a proporci semplici
soluzioni ai problemi pratici. Per esempio, qualche mese fa ci ha
chiesto di comprargli due copie dei libri scolastici, perché gli
capitava spesso di dimenticarli a casa di uno o dell'altra».
Per Elena Masini, 50 e una figlia di dieci, invece,
l'affido condiviso è molto, troppo stressante: «Purtroppo io e il mio ex
abbiamo pessimi rapporti e non è facile educare la nostra Elisa
insieme». Elena si sforza di essere una madre serena, ma quando la
bambina è con il papà è sempre tesa, preoccupata. «Vorrei davvero che la
piccola avesse un bel rapporto con suo padre e mi rendo conto che
dovrei essere io per prima a parlare bene di lui con Elisa. Purtroppo,
non sempre ci riesco». Secondo Elena, vivere in due case è troppo
faticoso per la sua bimba. «Credo che sarebbe molto meglio se Elisa
vivesse nella casa in cui abitavamo tutti insieme e fossimo io e il mio
ex ad alternarci accanto a lei».
Erika Di Francesco
Uno studio pubblicato su
Children & Society, su 184.496 bambini in 36 Paesi occidentali (Italia inclusa) ha dimostrato che
i bambini che vivono con entrambi i genitori biologici riportano i più alti livelli di soddisfazione di vita rispetto ai bambini che vivono con un genitore single o con un genitore biologico e uno acquisito
In Italia, purtroppo, l'81,9 % dei figli, dopo il divorzio, hanno un
solo genitore con cui trascorrono la loro quotidianità e (di solito si
tratta della madre) e solo il 18,9% ha la fortuna di continuare a vedere
regolarmente entrambi i genitori. Questo succede anche quando è stato
deciso l’"affidamento condiviso”
In tal modo si disconosce l'importante principio di bigenitorialità cioè il fatto che un bambino
ha un legittimo diritto a mantenere un
rapporto stabile con entrambi i genitori,
qualunque sia la loro situazione di coppia.
Il pediatra
Vittorio Vezzetti, autore del libro sulla giustizia minorile
Nel nome dei figli,
ha esaminato, raccolto, riassunto e integrato le più importanti
ricerche scientifiche internazionali con validazione statistica relative
all’importanza dell’affidamento condiviso.
Le conclusioni, pubblicate in un articolo pubblicato sulla
Rivista Scientifica della Società di Pediatria Preventiva e Sociale,
considerano gli effetti benefici della bigenitorialità «anche se questo
comporta la soluzione del doppio domicilio per i figli di coppie
separate».
Mentre
Piercarlo Salari, anch'esso pediatra prtesso il
consultorio Familiare Milano e Componente SIPPS haor sottolineato che
«La custodia condivisa migliora lo status psichico e fisico dei figli
come dimostrano i risultati congiunti di numerose e affidabili ricerche
scientifiche, il coinvolgimento di entrambi i genitori nella crescita
del figlio migliora lo sviluppo cognitivo, riduce i problemi di
carattere psicologico, riduce l’insorgenza di problemi comportamentali
nell’età adolescenziale».
Orsola Vetri