Nelle scuole, progetti mirati educano ragazze e ragazzi a“rompere gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini”. Il 12 giugno. sul sito www.ilfattoquotidiano.it, appariva l’articolo Educazione al genere, la mappa delle “buone pratiche” nelle scuole italiane (di Stefania Prati).
l’incipit suscita alcune riflessioni: "Nelle scuole italiane ci
sono buone pratiche per educare gli studenti e le studentesse
al“genere”. Con questo termine si intendono tutte le lezioni e gli
incontri che cercano di rompere gli stereotipi che riguardano il ruolo
sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e
uomini. Questi stereotipi – secondo i quali, ad esempio, le donne
sarebbero destinate a svolgere certe mansioni, come essere dedite
alla cura dei figli, degli anziani e della casa, e gli uomini invece
fatti per il lavoro che produce reddito e la carriera - sono contenuti
anche nei libri di testo. Lo dimostrata Irene Biemmi, ricercatrice
universitaria, che ha analizzato dieci manuali per le scuole primarie e
ha condensato il suo lavoro nel libro “Educazione sessista, stereotipi
di genere nei libri delle elementari”.
Davvero ottime iniziative. L’innalzamento del muro divisorio tra ruoli
maschili e femminili rappresenta un passo indietro di secoli nella
storia della civiltà.
Eppure accade ogni giorno, in ogni città, in ogni tribunale, e nessuno
grida allo scandalo. All’uomo sposato viene benevolmente concesso di
occuparsi dei figli, ma il messaggio subliminale contenuto in decenni di
sentenze è “sia chiaro: in caso di separazione il tuo ruolo torna
quello atavico del reperimento di risorse, educare i figli non è compito
maschile”.
Allo stesso modo, alla donna sposata viene benevolmente concesso di
cercare una realizzazione nel mondo del lavoro, ma il messaggio
subliminale di centomila sentenze è “sia chiaro: in caso di separazione
il tuo ruolo torna quello atavico di gestione della prole, l’autonomia
non è privilegio femminile”.
La costrizione giudiziaria nel ruolo di fattrice e balia, un vincolo
dal quale la donna ha impiegato secoli ad emanciparsi, eppure sembra che
ancora oggi in Tribunale non se ne siano accorti.
È deciso che dei figli se ne debbano occupare le donne, punto. Al
massimo lasciando qualche briciola agli uomini, ma decreti e sentenze
non lasciano spazio ad interpretazioni: una larga prevalenza femminile
nei compiti di cura della prole è inderogabile. Allo stesso modo è
deciso che le risorse le procurino gli uomini, punto. Al massimo
lasciando qualche contentino alle donne, ma la casistica consolidata
negli anni dice che è inderogabile una larga prevalenza maschile nel
reperimento di risorse.
Ovviamente vi sono delle eccezioni: donne che si disinteressano
dell’autonomia lavorativa e uomini che si disinteressano dei figli; ma
gli ostacoli vengono innalzati per tutte e tutti, anche per le madri che
vorrebbero non dipendere dall’ex marito ed i padri che vorrebbero
continuare ad occuparsi dei figli.
Il ruolo maschile stereotipato è quello di garantire il sostentamento
della collettività, come quando usciva con la clava ad ammazzare la
preda mentre la donna rimaneva nella grotta a cullare il pupo e
controllare che il fuoco non si spegnesse. Come quando la donna andava
al fiume a prendere l’acqua - ma sempre col pupo in braccio - e l’uomo
difendeva i confini del clan dagli assalti di altri clan. Sembra una
becera restaurazione dei confini di Genere: il tribunale stabilisce
compiti femminili e compiti maschili, nessuno si azzardi a sconfinare.
Chi prova a chiedere altro è conflittuale, non si piega alle regole del
Sistema.
È lecito chiedersi come mai le numerose associazioni impegnate nella
lunga serie di progetti in tutta Italia, abbiano dimenticato di
riportare a scuola i magistrati. O perlomeno alcuni magistrati. Quelli
cioè che si accaniscono nel prendere provvedimenti arcaici, dai quali
trasuda quanto di più discriminatorio ed antifemminista possa esistere
oggi in Italia.
Il riferimento è ad una larga parte di quei giudici che si occupano di
separazioni e divorzi, terreno fertile per una discriminazione di Genere
in atto da decenni ma che, curiosamente, nessuno nota. La casistica
delle separazioni infatti, nonostante la riforma del 2006, continua a
testimoniare un quadro deprimente per l’ottica femminile.
La prassi giurisprudenziale costruisce una discriminazione basata sul
Genere e la cementa ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, perpetuando un
percorso culturale diametralmente opposto a ciò che viene proposto nelle
scuole come percorso di rieducazione: “stereotipi secondo i quali, ad
esempio, le donne sarebbero destinate a svolgere certe mansioni, come
essere dedite alla cura dei figli, degli anziani e della casa, e gli
uomini invece fatti per il lavoro che produce reddito”.
Gli stessi stereotipi che devono essere distrutti nelle scuole poi
tornano prepotentemente ad inquinare ogni minimo anfratto della Culla
del Diritto.
Non si pronuncia l’UDI contro la genuflessione giudiziaria al paradigma
di Genere? La divisione in compiti di Genere o è una discriminazione
sempre o non lo è mai.
O è, o non è.
http://www.adiantum.it/public/3112-fas-e-la-convergenza-con-il-pensiero-femminista--possibile-un-percorso-comune--.asp
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