http://www.uomini3000.it/399.htm
Il testo che qui di seguito riportiamo veniva
presentato, nel sito da cui è tratto, come una sintesi della
presentazione dell'allora Cardinale Joseph Ratzinger al volume di Michel Schooyans: "Nuovo disordine mondiale", (Collana Problemi e dibattiti 48), Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 2000.
In data attuale (10 Marzo 2006) sembrano scomparsi sul sito gli originali riferimenti a Joseph Ratzinger (nel frattempo diventato Papa Benedetto XVI)
come autore del documento in questione, nonché sono state tolte alcune
parti originariamente presenti nel testo (nella fattispecie tutta la
prima parte da "Globalizzazione e nuovo ordine mondiale" fino al paragrafo "In nome dell'interesse superiore" compreso - i motivi di tale rimozione ci sono del tutto ignoti).
Qui su U3000 viene riportato fedelmente l'intero, interessantissimo testo originale.
da:
http://www.internetsv.info/Global4.html
L'IDEOLOGIA FEMMINISTA
Globalizzazione e nuovo ordine mondiale
Un nuovo ordine mondiale?
Una vibrante denuncia quella del professor Michel Schooyans: il nuovo ordine mondiale è una grande trappola per ridurre il numero dei commensali alla tavola dell’umanità. Nel suo libro Nuovo disordine mondiale i nomi, i programmi, gli argomenti del mondo che verrà, senza piú poveri né malati: moriranno prima!
Fin
dagli inizi dell’illuminismo, la fede nel progresso ha sempre messo da
parte l’escatologia cristiana, finendo di fatto per sostituirla
completamente. La promessa di felicità non è piú legata all’aldilà, ma a
questo mondo. Nel XIX secolo, la fede nel progresso era ancora un
generico ottimismo che si aspettava dalla marcia trionfale delle scienze
un progressivo miglioramento della condizione del mondo e
l’approssimarsi, sempre piú incalzante, di una specie di paradiso; nel
XX secolo, questa stessa fede ha assunto una connotazione politica. Da
una parte, ci sono stati i sistemi di orientamento marxista che
promettevano all’uomo di raggiungere il regno desiderato tramite la
politica proposta dalla loro ideologia: un tentativo che è fallito in
maniera clamorosa.
Dall’altra,
ci sono i tentativi di costruire il futuro attingendo, in maniera piú o
meno profonda, alle fonti delle tradizioni liberali. Questi tentativi
stanno assumendo una configurazione sempre piú definita, che va sotto il
nome di "Nuovo ordine mondiale". Trovano espressione sempre piú
evidente nell’ONU e nelle sue conferenze internazionali, in particolare
quelle del Cairo e di Pechino, che, nelle loro
proposte di vie per arrivare a condizioni di vita diverse, lasciano
trasparire una vera e propria filosofia dell’uomo nuovo e del mondo
nuovo. Una filosofia di questo tipo non ha piú la carica utopica che
caratterizzava il sogno marxista; essa è al contrario molto realistica,
in quanto fissa i limiti del benessere, ricercato a partire dai limiti
dei mezzi disponibili per raggiungerlo e raccomanda, per esempio, senza
per questo cercare di giustificarsi, di non preoccuparsi della cura di
coloro che non sono piú produttivi o che non possono piú sperare in una
determinata qualità della vita.
Questa
filosofia, inoltre, non si aspetta piú che gli uomini, abituatisi
oramai alla ricchezza e al benessere, siano pronti a fare i sacrifici
necessari per raggiungere un benessere generale, bensí propone delle
strategie per ridurre il numero dei commensali alla tavola dell’umanità,
affinché non venga intaccata la pretesa felicità che taluni hanno
raggiunto. La peculiarità di questa nuova antropologia, che dovrebbe
costituire la base del Nuovo ordine mondiale, diventa palese soprattutto
nell’immagine della donna, nell’ideologia del «Women’s empowerment»,
nata dalla conferenza di Pechino. Scopo di questa ideologia è
l’autorealizzazione della donna: principali ostacoli che si frappongono
tra lei e la sua autorealizzazione sono però la famiglia e la maternità.
Per
questo, la donna deve essere liberata, in modo particolare, da ciò che
la caratterizza, vale a dire dalla sua specificità femminile.
Quest’ultima viene chiamata ad annullarsi di fronte ad una «gender equity and equality»,
di fronte ad un essere umano indistinto ed uniforme, nella vita del
quale la sessualità non ha altro senso se non quello di una droga
voluttuosa, di cui si può far uso senza alcun criterio. Nella paura
della maternità che si è impadronita di una gran parte dei nostri
contemporanei entra sicuramente in gioco anche qualcosa di ancor piú
profondo: l’altro è sempre, in fin dei conti, un antagonista che ci
priva di una parte di vita, una minaccia per il nostro io e per il
nostro libero sviluppo. Al giorno d’oggi, non esiste piú una «filosofia dell’amore» bensí solamente una filosofia dell’egoismo.
Nuovo disordine mondiale
La legittimità della protesta antiglobalista
Il
fatto che ognuno di noi possa arricchirsi semplicemente nel dono di se
stesso, che possa ritrovarsi proprio a partire dall’altro e attraverso
l’essere-per-l’altro, tutto ciò viene rifiutato come un’illusione
idealista. È proprio in questo che l’uomo viene ingannato. In effetti,
nel momento in cui gli viene sconsigliato di amare, gli viene
sconsigliato, in ultima analisi, di essere uomo.
C’è
qualcuno che sta progettando un sistema rigido e inattaccabile per
governare lo sviluppo del mondo. Organismi internazionali
dall’indiscutibile autorità (Organizzazione Mondiale della Sanità, Banca
Mondiale, Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, UNICEF e altri)
hanno messo a punto un nuovo paradigma che misura il valore delle
persone in anni di aspettativa di vita, invalidità, morbilità al fine di
valutare le priorità e mettere in atto, oppure no, i piani di aiuto in
tutto il mondo. Applicando questi "nuovi criteri" si scopre che tutto
diventa uno questione di costo-rischio-beneficio. Perciò, chi è povero e
malato riceverà meno aiuti; chi è ricco e sano riceverà maggiori cure.
Per questo motivo, a questo punto dello sviluppo della nuova immagine di
un mondo nuovo, il cristiano - non solo lui, ma comunque lui prima di
altri - ha il dovere di protestare e di denunciare coraggiosamente la
“grande trappola” per i poveri del mondo e la nuova schiavitú al
servizio degli imperativi della mondializzazione e della
globalizzazione.
La
concezione dei diritti dell’uomo che caratterizza l’epoca moderna, e
che è cosí importante e cosí positiva sotto numerosi aspetti, risente
sin dalla sua nascita del fatto di essere fondata unicamente sull’uomo e
di conseguenza sulla sua capacità e volontà di far sí che questi
diritti vengano universalmente riconosciuti. All’inizio, il riflesso
della luminosa immagine cristiana dell’uomo ha protetto l’universalità
dei diritti; ora, man mano che questa immagine viene meno, nascono nuovi
interrogativi. Come possono essere rispettati e promossi i diritti dei
piú poveri quando il nostro concetto di uomo si fonda cosí spesso, come
dice l’autore, «sulla gelosia, l’angoscia, la paura e persino l’odio»?
Come può un’ideologia lugubre, che raccomanda la sterilizzazione,
l’aborto, la contraccezione sistematica e persino l’eutanasia come
prezzo di un pansessualismo sfrenato, restituire agli uomini la gioia di
vivere e la gioia di amare.
È
a questo punto che deve emergere chiaramente ciò che di positivo il
cristiano può offrire nella lotta per la storia futura. Non è infatti
sufficiente che egli opponga l’escatologia all’ideologia che è alla base
delle costruzioni «postmoderne» dell’avvenire. È ovvio che deve fare
anche questo, e deve farlo in maniera risoluta: a questo riguardo,
infatti, la voce dei cristiani si è fatta negli ultimi decenni
sicuramente troppo debole e troppo timida. L’uomo, nella sua vita
terrena, è «una canna al vento» che rimane priva di significato
se distoglie lo sguardo dalla vita eterna. Lo stesso vale per la storia
nel complesso. In questo senso, il richiamo alla vita eterna, se fatto
in maniera corretta, non si presenta mai come una fuga.
Esso
dà semplicemente all’esistenza terrena la sua responsabilità, la sua
grandezza e la sua dignità. Tuttavia, queste ripercussioni sul «significato della vita terrena»
devono essere articolate. È chiaro che la storia non deve mai essere
semplicemente ridotta al silenzio: non è possibile, non è permesso
ridurre al silenzio la libertà, è l’illusione delle utopie. Non si
possono imporre al domani modelli di oggi, che domani saranno i modelli
di ieri. È tuttavia necessario gettare le basi di un cammino verso il
futuro, di un superamento comune delle nuove sfide lanciate dalla
storia, sulla base di un contenuto concreto, politicamente realistico e
realizzabile, all’idea, cosí spesso espressa dal Papa, di una «civiltà dell’amore».
Non dimenticare il passato
È triste constatare che il disprezzo della vita umana è una costante nella storia dell’umanità, anche recente.
La storia
La
storia ci insegna che i casi di sterminio, di genocidio,
d’infanticidio, di abbandono di bambini, ecc. sono per cosí dire
ricorrenti nei secoli. Lo stesso Antico Testamento comprende racconti di
massacri che ci lasciano sconcertati. L’origine di questi comportamenti
è indubbiamente da ricercarsi nell’aggressività che cova nel cuore
dell’uomo, cui va però aggiunta anche la tendenza a trovare un «capro
espiatorio», vale a dire a scaricare sugli altri la responsabilità delle
nostre disgrazie. Con l’avvento dell’industria sono nate nuove forme di
sprezzo della vita umana. Leone XIII ha denunciato la mancanza
di rispetto dei datori di lavoro nei confronti della vita degli operai,
le condizioni di lavoro non sicure, le condizioni di vita insalubri e,
soprattutto, la violenza delle strutture della società industriale.
Questa violenza, ricorda Leone XIII, trova spiegazione nel fascino esercitato dal guadagno, che spinge a sfruttare al massimo i lavoratori.
Facendo eco alla Rerum novarum, numerosi testi pontifici successivi, in modo particolare Sollicitudo rei socialis e Centesimus annus,
hanno dimostrato che queste critiche sono sempre attuali. Nel corso del
XX secolo, il disprezzo della vita umana si è tradotto in regimi
politici particolarmente efferati. Basti pensare al comunismo sovietico!
Come dimenticare che proprio questo regime, prima nell’Unione Sovietica
e poi in Cina, ha legalizzato l’aborto, presentando il controllo della
popolazione come un’esigenza della pianificazione imperativa della
produzione? E inoltre, come dimenticare che in nome della medesima
ideologia popolazioni intere, in particolare contadine, sono state
massacrate? E cosa dire del fascismo, che ha ridotto l’uomo ad un
semplice «membro» anonimo nel «corpo» dello Stato? Come cancellare il
ricordo del nazismo che, non contento di aver diffuso la sterilizzazione
e l’eutanasia e dopo aver incoraggiato esperimenti medici crudeli, ha
sterminato milioni di innocenti per motivazioni razziali, filosofiche o
religiose? Il quasi totale black-out che ha avvolto il cinquantesimo anniversario del processo di Norimberga
(1946) mette in evidenza l’imbarazzo nel quale la commemorazione di
questo evento avrebbe gettato gli ambienti contrari alla vita.
Il passato recente
I bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki
del 1945 e le «giustificazioni» addotte in seguito per tentare di
scusarli, hanno contribuito a insinuare nell’opinione pubblica e in
quella di taluni dirigenti l’idea che, nella guerra moderna, la
distruzione in massa di popolazioni innocenti non debba porre
particolari problemi morali. Il piú forte, per il solo fatto di disporre
di mezzi di distruzione decisamente superiori a quelli degli altri, si
sente giustificato ad utilizzarli in maniera smisurata e impudente. La
guerra del Golfo (1991) ha confermato questo indurimento di posizioni.
Il fatto che si siano registrate perdite umane relativamente basse sul
fronte dei vincitori e invece abbastanza elevate sul fronte dei vinti,
sia tra i militari sia tra i civili, è stato considerato non solo
«normale», ma addirittura motivo di vanto. L’industria di morte non è
mai stata cosí prospera come in questi tempi. Si rivaleggia in
ingegnosità quando si tratta di preparare l’eliminazione di massa o
addirittura lo sterminio del genere umano. Questa macabra ingegnosità
riserva tuttavia delle sorprese: il costo della rimozione delle mine
antiuomo sarebbe dieci volte superiore al costo della loro posa. La
società moderna crede di aver chiuso i conti con il comunismo, il
fascismo, il nazismo, ma non ha estirpato dalla nostra mentalità
l’aspetto piú perverso di queste ideologie: l’ossessione della morte.
Di
fatto, le ideologie di morte sono tornate ad essere attuali; non solo,
tendono a diventare sempre piú sofisticate. Dopo la caduta del fascismo e
del nazismo nel 1945 e nonostante l’implosione del comunismo sovietico,
lo spettro della guerra totale incombe ancora sul mondo. Alla base
delle relazioni internazionali c’è sempre l’idea che la guerra non è
solo una questione militare; essa si combatte ovunque, con tutti i mezzi
e in tutti i campi. Per questo motivo, pur continuando a produrre
armamenti classici, la società contemporanea vede nascere nuove «indicazioni» ideologiche «che legittimano»
i comportamenti che vanno contro la vita. Nel suo seno si moltiplicano i
mezzi per sopprimere la vita o per impedirne il concepimento. I nuovi
mezzi vengono messi a punto per la maggior parte in laboratori, per poi
essere utilizzati in ambulatori, cliniche ed ospedali. I regimi
totalitari contemporanei hanno fatto ricorso a validi metodi di
condizionamento mentale degli individui e dei gruppi. Essi si sono
frequentemente serviti della menzogna per ottimizzare gli effetti della
violenza. Queste tecniche di lavaggio del cervello sono diventate sempre
piú efficaci grazie, in modo particolare, alla complicità di taluni
psichiatri. L’adozione di questi metodi ha spesso portato
all’indebolimento o addirittura all’inibizione, sia nei singoli che
nelle società, della capacità di giudicare in maniera personale e di
decidere liberamente.
L’efficacia
di questi metodi risulta evidente anche nel ruolo che assumono i media.
Questi non hanno soltanto la facoltà di selezionare o di «giocare»
con l’informazione; essi dispongono anche dei mezzi necessari per
condizionare l’opinione pubblica inculcando nella testa di lettori ed
ascoltatori menzogne che vengono recepite senza discernimento. È
risaputo che i media, servendosi di questi metodi di condizionamento,
hanno contribuito a far accettare a un’opinione pubblica troppo
facilmente manipolabile pratiche che vanno contro la vita. Nei mass
media, e persino nelle pubblicazioni scientifiche, vengono utilizzate
tattiche per trarre in inganno l’opinione pubblica, condizionare i
governanti, manipolare gli animi. La menzogna fa oramai parte degli
“aiuti per decidere”.
All’origine
di questo disprezzo per la vita troviamo infine, e lo diciamo con
rammarico, il silenzio, la rinuncia a lottare, addirittura la connivenza
di alcuni teologi e pastori. In occasione di campagne ostili alla vita,
taluni sono cosí spaventati da reagire come se ciò che è in gioco li
interessasse a mala pena. Altri si rifugiano in acrobazie casistiche o
semantiche: le loro sottili ambiguità, però, oltre ad avallare pratiche
immorali, creano confusione ed errore. Capita persino che certi gruppi
confessionali rinuncino a insegnare parti intere della morale. Per
questo, di fronte al disprezzo di cui la vita è attualmente oggetto, i leaders spirituali hanno una forte responsabilità, o per il loro silenzio, o per la loro complicità.
In nome dell’«interesse superiore»
Étienne De Greef (1898-1961), che fu professore di psichiatria all’università di Lovanio, scriveva:
«L’interesse
superiore è sufficiente per bloccare qualsiasi reazione di simpatia nei
confronti delle vittime piú innocenti e degne di pietà... La nozione di
interesse superiore rende immediatamente insensibili le nostre
coscienze, che presentano una resistenza minima a questa anestesia. È in
nome della libertà, della giustizia e della morale e persino dell’amore
del prossimo che viene commessa la maggior parte dei crimini. Sappiamo
oggi che un popolo civilizzato può, senza per questo temere la benché
minima rimostranza seria da parte di un’altra nazione civilizzata,
terrorizzare, derubare e distruggere una minoranza etnica purché gli
riesca non tanto di nascondere il fatto quanto di impedire che si
sentano le grida o che si percepisca la disperazione delle vittime».
E aggiungeva:
«Hitler
non ha fatto altro che estremizzare le teorie della lotta per la vita,
la negazione del bene e del male, il ripudio di ogni legge morale.
Perché e con quale diritto scandalizzarsi di questi concetti che
venivano insegnati nella maggior parte delle università occidentali»?
La coalizione ideologica del «genere»
Le ragioni abitualmente invocate per «giustificare»
le pratiche che mirano al controllo della vita umana sono da
ricollegare alle due ideologie che piú hanno segnato il mondo
contemporaneo, quella socialista e quella liberale. Oggigiorno, però,
queste due ideologie sono oggetto di una duplice reinterpretazione, che
si articola attorno a due temi: il «genere» e il «nuovo paradigma». [...].
La rivisitazione del socialismo e del liberalismo
Parecchi
temi fondamentali delle correnti ostili alla vita sono presi a prestito
dall’ideologia socialista. Tra questi troviamo l’idea di «umanità generica», mutuata da Feuerbach (1804-1872). Solo il «genere umano» ha veramente importanza; il singolo non è altro che una manifestazione momentanea del genere umano, destinata alla morte.
La
vita degli uomini, ivi compreso l’aspetto corporeo, dovrà pertanto
essere utile all’umanità generica ed essere organizzata in funzione
delle necessità della collettività: solo in essa, infatti, l’uomo «sopravvive»
dopo la morte. La società felice sarà caratterizzata da una
pianificazione basata sulla conoscenza scientifica dei principi che
governano la materia. Gli individui saranno gli ingranaggi, ora utili,
ora nocivi, della macchina sociale; dovranno essere trattati di
conseguenza. Questa ideologia comporta anche un sensualismo moderato
solamente dagli imperativi derivanti dalla trascendenza dell’umanità
generica. Gli uomini avranno diritto al massimo piacere individuale,
purché questo sia compatibile con le esigenze della specie.
Anche Marx
(1818-1883) ha influenzato le correnti ostili alla vita con la sua
teoria della lotta di classe. Tra i proletari e i capitalisti, i deboli e
i forti, i poveri e i ricchi, la lotta, anche violenta, è inevitabile.
Alla tradizione marxista si ricollega anche la reinterpretazione
dell’internazionalismo. Le identità nazionali, le peculiarità regionali
devono scomparire affinché possa nascere il nuovo ordine mondiale.
L’influenza di Marx è evidente anche nella reinterpretazione
del messianismo, in virtú del quale spetta a una minoranza cosiddetta
illuminata spiegare ai comuni mortali quello che devono pensare, volere e
fare. Questa minoranza illuminata è l’erede del dispotismo illuminato
del XVIII secolo; ed è oramai presente nelle tecnocrazie internazionali
che definiscono i programmi di cui si è parlato. Si rifà invece a Lenin
(1870-1924) l’idea di una burocrazia che, debitamente inquadrata da
tecnocrati illuminati, crea una rete di organizzazioni internazionali a
servizio della pianificazione della vita umana.
Una vibrante denuncia quella del professor Michel Schooyans: il nuovo ordine mondiale è una grande trappola per ridurre il numero dei commensali alla tavola dell’umanità. Nel suo libro Nuovo disordine mondiale i nomi, i programmi, gli argomenti del mondo che verrà, senza piú poveri né malati: moriranno prima!
«L’interesse superiore è sufficiente per bloccare qualsiasi reazione di simpatia nei confronti delle vittime piú innocenti e degne di pietà... La nozione di interesse superiore rende immediatamente insensibili le nostre coscienze, che presentano una resistenza minima a questa anestesia. È in nome della libertà, della giustizia e della morale e persino dell’amore del prossimo che viene commessa la maggior parte dei crimini. Sappiamo oggi che un popolo civilizzato può, senza per questo temere la benché minima rimostranza seria da parte di un’altra nazione civilizzata, terrorizzare, derubare e distruggere una minoranza etnica purché gli riesca non tanto di nascondere il fatto quanto di impedire che si sentano le grida o che si percepisca la disperazione delle vittime».
«Hitler non ha fatto altro che estremizzare le teorie della lotta per la vita, la negazione del bene e del male, il ripudio di ogni legge morale. Perché e con quale diritto scandalizzarsi di questi concetti che venivano insegnati nella maggior parte delle università occidentali»?
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