Il Padre e la regola
di Livio Podrecca
Chi, nei momenti di stanchezza e di
difficoltà, non è stato tentato di mollare tutto, di lasciarsi andare,
magari di annegare i dispiaceri nell’alcol, o di dimenticarli nel sesso,
di fuggire, insomma, dalle difficoltà del presente, cercando sollievo
con la fuga dalla realtà, in un proprio personale nirvana?
Questa reazione, ci insegna Jacques
Lacan, non è nient’altro che la tentazione della regressione, del
ritorno all’universo indistinto della fase pregenitale, la ricerca del
calore del seno materno, un mondo dove tutto era indistinto e ci si
poteva abbandonare nell’alveo morbido ed ovattato delle cure materne.
Un mondo nel quale, d’istinto, ed inconsapevolmente, spesso cerchiamo idealmente di tornare,
e dal quale abbiamo cominciato, poco a poco, a liberarci, nel processo non mai realmente finito di conquista di noi stessi, nella costruzione della nostra personalità, per una serie di fattori esterni di ‘disturbo’. Tra questi, prima di tutti, l’azione paterna.
e dal quale abbiamo cominciato, poco a poco, a liberarci, nel processo non mai realmente finito di conquista di noi stessi, nella costruzione della nostra personalità, per una serie di fattori esterni di ‘disturbo’. Tra questi, prima di tutti, l’azione paterna.
La prima norma universale, presente in
tutte le epoche ed in tutte le culture, ci insegna il grande antropologo
Levi-Strauss, è il divieto dell’incesto. Il padre, come ha evidenziato
la psicoanalisi, da Freud e, in particolare, da Jung in poi, portando la
regola, la norma, rompe il rapporto simbiotico tra il bambino e la
madre, ed introietta nel bambino il principio di realtà.
Con l’intervento del padre, nelle
dinamiche virtuose del complesso di Edipo da esso innestate, viene
spezzato nel bambino il senso di onnipotenza, di essere il centro di un
mondo nel quale tutto è universale ed indistinto, e scatta il primo
meccanismo che è alla base delle relazioni sociali (e, quindi, del
diritto): il riconoscimento. Il riconoscimento dell’altro, di un terzo,
rappresentato in primo luogo dal padre.
Ponendo la norma, il padre rende quindi
al figlio un servizio, frustrandone gli istinti narcisistici e portando,
mediante l’identificazione con la figura paterna e la sua
idealizzazione, al riconoscimento progressivo della realtà, alla
conquista del proprio io, alla formazione della propria personalità.
Questa funzione del padre nello sviluppo
del bambino aiuta anche a comprendere che l’autorità è un servizio, non
una affermazione di potere, ma un aiuto a crescere, a prendere atto
della realtà, ad essere educato alla azione ed alla rinuncia,
abbandonando la prospettiva edonistica della ricerca della soddisfazione
dei bisogni e dell’appagamento del piacere, in che sostanzialmente, in
natura, consiste il mondo materno, i suoi simboli, gli archetipi nei
quali si presenta.
Questo quadro, che ho voluto pur così
grossolanamente rappresentare, ha delle singolari affinità con ciò che
sta ora accadendo nella sfera sociale e pubblica delle relazioni umane.
In essa, notiamo innanzitutto un pesante appannamento del principio di realtà.
Lo profetizzava il grande scrittore
inglese J. G. Chesterton, secondo il quale sarebbero venuti tempi nei
quali fuochi sarebbero stati accesi e spade sguainate per dimostrare che
una pietra è una pietra e che le foglie sono verdi d’estate.
Se si può normare per legge il matrimonio omosessuale, e presentare la diversità gender come
normale e semplicemente alternativa alla eterosessualità, ciò è
esattamente la prova che la profezia chestertoniana si è avverata: la
società naviga ormai in un mondo irreale, preda di visioni e deliri che
ben si possono sovrapporre a quelli infantili.
A ben vedere, questa sembra una
conseguenza piuttosto naturale della rimozione, dagli schemi sociali,
della figura del padre e del principio di autorità che esso
rappresentava.
Fatto che, secondo Jacques Lacan, è la base della grande nevrosi dei nostri tempi.
Non solo degli umani padri di famiglia,
assenti, come ci insegna lo psicologo Claudio Risé, spesso ridotti a
stucchevoli manichini, narcisisti più o meno manierosi, misurati in base
alla loro capacità di produrre reddito. Ma anche del Padre Celeste,
Dio, così presentato nella Sacra Scrittura, nel cristianesimo.
In assenza di un Padre che dà la norma,
la regola, la realtà ed il suo significato sono destinate a sfuggirci, a
rimanere fenomeni vuoti ed incomprensibili. Così da giustificare ogni
relativismo, anche sul piano etico.
Avviene così che la legge dello Stato,
anziché aiutarci ad introiettare la realtà, si piega invece a soddisfare
ogni istanza e finanche ogni capriccio individuale, rinunciando alla
propria missione ed alla propria funzione, con svuotamento di ciò che il
diritto è chiamato costitutivamente ad essere, in sé.
E così, a livello sociale, si osserva
una regressione collettiva verso un mondo indistinto dove, come nel
bambino, può essere messo in discussione e sfuggire persino un dato
solido ed evidente, e non solo sul piano biologico, come la differenza
sessuale, il cui riconoscimento e la cui mancata radicazione nel sé
comporta, per lo psichiatra cattolico Tony Anatrella, la mancanza del
presupposto indispensabile per poter capire la realtà.
Se non è orientata dal principio di
realtà, dal carattere oggettivo delle sue istanze, e dal suo
riconoscimento, la ragione diviene, come è, collettivamente, divenuta,
irragionevole.
Questi sono i tempi paurosi che stiamo
vivendo, nei quali si tenta, con l’impiego di enormi risorse, di
inculcare visioni antropologiche assurde e fuorvianti, quali sono quelle
dei genders, tali da destabilizzare (o, come anche si è detto,
da decostruire) l’ordine sociale ed il suo più solido e certo
fondamento: la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo ed una donna.
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