venerdì 21 agosto 2015

Martina Levato, Don Mazzi e le troppe stranezze del caso







Fnte: http://www.adiantum.it/public/3659-martina-levato,-don-mazzi-e-le-troppe-stranezze-del-caso---di-fabio-nestola.asp





Martina Levato, Don Mazzi e le troppe stranezze del caso - di Fabio Nestola

19/08/2015 - 08:54

18 agosto 2015, la Redazione ANSA MILANO alle ore 20,20 batte la notizia: Martina ha visto suo figlio. La famiglia: 'Siamo felicissimi' - Martina Levato ha già potuto vedere suo figlio a seguito del provvedimento emesso dal Tribunale per i minorenni. Dopo il parto la giovane non aveva potuto stare con il piccolo per una decisione presa dalla Procura. Il tribunale le ha concesso di vedere una volta al giorno il figlio e ha anche aperto, come richiesto dal pm dei minori Annamaria Fiorillo, il procedimento di adottabilità del minore sul quale, però, dovrà esserci poi una decisione successiva nel merito.
 
 
Alla Levato, protagonista dell’aggressione con l’acido all’ex fidanzato, il bimbo è stato tolto immediatamente dopo il parto, il giorno di ferragosto. Però è una madre - anche  se condannata in primo grado a 14 anni di carcere - quindi sembra giusto che abbia potuto abbracciare il figlio ed ottenere il permesso di vederlo ogni giorno.
È un diritto del figlio, non della madre.
E il padre?
Alle 17,48 la stessa redazione scriveva: Alex: 'Fatemi riconoscere mio figlio'  - Il legale di Alexander Boettcher ha inviato una lettera al Garante dei detenuti e al sindaco di Milano Giuliano Pisapia, per avere chiarimenti sulle procedure di riconoscimento del figlio partorito da Martina Levato, condannata assieme all'amante a 14 anni per un'aggressione con l'acido. Allo stato, Alexander non ha ancora potuto riconoscere il bimbo."
 
 
Sul padre ancora tutto tace, per ora l’unico a sollevare il problema è il suo avvocato.
Tuttavia prima che Alex Boettcher possa riconoscere il figlio dovranno essere espletate diverse formalità burocratiche; poi, forse, potrà vederlo ed abbracciarlo.
Senza fretta, tanto in Italia - si sa - è importante che i figli abbiano una madre, il babbo è un optional.
Ma non sarebbe anche questo un diritto del figlio?  
Quindi arriva di corsa Don Mazzi, che ha perso un’ottima occasione per stare zitto: 'Martina deve avere suo figlio'  Il fondatore della Comunità Exodus, don Antonio Mazzi, chiede che Martina Levato, la donna che aveva sfregiato con l'acido l'ex fidanzato, possa riavere il figlio. "Credo che il giudice abbia preferito lavarsi le mani e applicare le normali procedure", scrive don Mazzi "Io sarò il solito fuori di testa, ma insisto nel chiedere che Martina tenga il frutto dei suoi nove mesi, pronto ad accettarla sempre in una delle mie comunità per mamme e bambini".
 
 
Don Exodus, disinteressato come sempre della fastidiosa ribalta mediatica, si dimostra prontissimo a solleticare l’emotività della gente sciorinando qualunquismo.
Martina deve tenere “il frutto dei suoi nove mesi”, che diamine. 
Magari - la butta li - ospitata proprio in una delle sedi Exodus. 
A titolo gratuito, ovviamente … nessuno pensi che le comunità di Don Mazzi ricevano rette dai fondi pubblici.
Che dire … banalità per banalità, non ci stava pure una dichiarazione sul diritto del piccolo di conoscere il padre? 
O forse no, questo aspetto non è degno di nota.
Sarà perché Don Mazzi non ha una cultura della bigenitorialità, o perché la rete Exodus  non ha comunità per padri e figli?
Un’altra frase stride nella dichiarazione del 17 agosto, quando il Don scrive “credo che il giudice abbia preferito lavarsi le mani e applicare le normali procedure”.
No, non è così.
Le normali procedure non tolgono automaticamente i figli alle madri che delinquono, la casistica degli ultimi 20 anni dice che secondo le normali procedure è più probabile per una neomamma scontare la pena agli arresti domiciliari (quindi insieme ai figli) oppure, sempre insieme ai figli, in una comunità laica o religiosa.
Tipo Exodus, tanto per fare un esempio.
Inoltre qualcuno spieghi a Don Mazzi che, per i casi più gravi, nel carcere femminile di Rebbibbia sono previsti il nido e l’area verde dove madri colpevoli e figli incolpevoli scontano la pena insieme.
Forse il sacerdote è in grado di fornire dati sconosciuti al resto d’Italia, vale a dire che solo lui conosce centinaia di bambini tolti alle madri che delinquono e dati in adozione.
Se così non è, mi spiace per Don Mazzi, in questo caso di tutto si può parlare tranne che di normali procedure.  
 
Dalle pagine di Adiantum abbiamo ampiamente trattato un caso-fotocopia
 
 
Anche  Elena Perotti, esattamente come Martina, ha organizzato un agguato per sfregiare l'ex con l’acido,   
Anche  Elena Perotti, esattamente come Martina, si è fatta aiutare da un complice,
Anche  Elena Perotti, esattamente come Martina, era incinta al momento del reato,
Anche  Elena Perotti, esattamente come Martina, ha avuto una condanna pesante,
Anche  Elena Perotti, esattamente come Martina, ha partorito da detenuta,
Tuttavia Elena non ha trascorso in carcere nemmeno un giorno ed il neonato non le è stato tolto dopo il parto: sta scontando la pena in comunità, ovviamente insieme al figlio.    
Altra prospettiva, affatto trascurabile, potrebbe dare vita ad un pericoloso effetto collaterale rispetto al provvedimento emesso dal tribunale per i Minorenni di Milano.
Mamma Martina, in attesa dell’iter sullo stato di adottabilità, potrà vedere il figlio ogni giorno.
Bene, rispettato il diritto del minore. Ma cosa devono pensare i genitori che hanno gli incontri protetti e possono vedere i figli due ore ogni 15 giorni, o anche meno?
Si tratta in prevalenza padri separati, ma anche madri separate o famiglie unite. Sono migliaia, in tutta Italia. Per disposizione dei Tribunali hanno la responsabilità genitoriale limitata ed incontrano i figli nello spazio neutro allestito dai Servizi Sociali. Poi, in teoria, al termine del periodo di osservazione dovrebbe arrivare la relazione che “libera” gli incontri, ma i percorsi durano anni.
Non esiste un solo caso che stabilisca incontri quotidiani, sia che il bambino abbia sei mesi, sia che abbia 13 anni; il diritto del minore soccombe alle esigenze organizzative del Servizio Territoriale.
Ci sono molti casi presi in carico, c’è carenza d’organico, la mole di lavoro è incompatibile con incontri più frequenti.
Fare il genitore è cosa diversa dalla visitina una tantum, non vale neanche la pena sottolineare come sia impossibile costruire qualsiasi rapporto con due ore ogni 15 gg., o quanto ciò possa incidere sullo sviluppo di una sana familiarità tra i soggetti coinvolti.
È recentissimo il caso dell’ing. Alessandro Del Grande, un padre che ha eluso i controlli ed è fuggito col figlio. I media sono entrati in allarme rosso, forse pregustavano il criminal case dell’estate ed è partito l’elenco dei precedenti.
Caso sgonfiatosi in poche ore: Del Grande non ha strangolato il figlio come Veronica Panarello, non lo ha accoltellato come Debora Calamai, non gli ha fracassato la testa come Annamaria Franzoni … lo ha portato in piscina.
Però far divertire il bambino è un reato, se il Tribunale ha previsto misure che lo impediscono. Del Grande aveva gli incontri protetti, e li ha violati. Non poteva vedere il figlio tutti i giorni, ma non poteva nemmeno averlo per un weekend o una giornata intera.
Forse fra un paio d’anni, chissà, al termine del percorso. Quindi la fuga in piscina, sottraendo il figlio con l’aggravante del divertimento abusivo.
Perché un genitore per dimostrare di non essere pericoloso deve violare la legge?
Quanti Del Grande ci saranno ancora?
Le sentenze vanno rispettate, per assurde che possano essere. Quindi è sicuramente biasimevole ogni tentativo di giustizia fai-da-te, non può essere giustiicato ne' tantomeno incentivato..
Tuttavia chi lo spiega alle famiglie italiane che Martina può vedere il figlio ogni giorno e i mille Del Grande no, pur non avendo sfregiato nessuno e non essendo condannati a 14 anni di carcere?  

Fonte: Redazione

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lunedì 10 agosto 2015

Avvenire: Figli rapiti da padri emarginati





 Fonte: http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/Figli-rapiti-da-padri-emarginati.aspx?utm_source=twitterfeed&utm_medium=twitter


Inutile indignarsi con Andrea Del Grande, il padre separato di Livorno che l’altro ieri si è allontanato con il figlio di cinque anni, facendo perdere le tracce per qualche ora.

 Inutile indignarsi con gli altri padri separati e divorziati a cui la rabbia, l’esasperazione, il senso di impotenza, la sensazione di essere inermi di fronte alle decisioni della legge e alla malaburocrazia giudiziaria, suggeriscono gesti razionalmente senza sbocchi, spesso inutili, talvolta pericolosi. In ogni caso esecrabili.

Solo la sofferenza sorda e profonda di un padre che per mesi, spesso per anni, non riesce più a vedere i propri figli dopo la separazione, può contribuire ad alterare a tal punto i contorni della realtà da consigliare scelte così insensate.

Eppure succede. E succederà ancora se non sarà spezzato il pesante cerchio di discriminazione e di solitudine che contribuisce all’isolamento dei padri separati. La discriminazione è una conseguenza diretta della fallimentare legge sull’affido condiviso e di una mentalità giudiziaria che continua a considerare la madre – "categoria" contro cui, beninteso, non abbiamo alcuna riserva – come preferibile nel ruolo del cosiddetto "genitore collocatario".

E questo genitore, che in otto casi su dieci è appunto la madre, ha di fatto le più ampie possibilità per escludere l’ex coniuge dalla vita del figlio. Per dilazionare o addirittura per cancellare gli incontri, inventando tutta una serie di impedimenti fittizi.

 Ogni vicenda, naturalmente, è una storia a sé, con le sue incomprensioni, le sue delusioni, le sue angosce, e non è questa la sede per presentare una casistica. Ma quando si innalzano sbarramenti di questo tipo, quando la guerra tra ex arriva a servirsi di questi mezzi di ricatto e di vendetta, la maggior parte dei padri separati alza bandiera bianca. Perché è consapevole che in uno scontro giudiziario a colpi di ingiunzioni e di diffide, sarebbero i figli, già vittime per le incomprensioni degli adulti, a subire conseguenze psicologiche ancora più spiacevoli.

 Ma dopo mesi, talvolta dopo anni – da due il padre di Livorno non riusciva a vedere il proprio bambino – la scelta, da coraggiosa e responsabile diventa faticosa, spesso insopportabile. Scatta la voglia di spezzare l’accerchiamento, cresce la paura di risultare sempre meno significativo agli occhi di figli lontani o comunque inavvicinabili. I padri che non hanno la fortuna di imbattersi in un’associazione specifica che offra loro sostegno e conforto, vivono queste situazioni nell’angoscia della solitudine. Sempre più spesso poi, il quadro è complicato da problemi economici che contribuiscono ad annebbiare le prospettive.

No, non sono eroi negativi, presenze distruttive o pericolosi invasati i padri che non riescono più a sopportare la separazione anche dai figli. Spesso sono solo vittime di situazioni che, se in parte hanno contribuito a determinare, finiscono poi spesso per stringerli in spirali soffocanti di ingiustizia e di solitudine, dove l’assenza di strutture sociali di supporto si somma all’indifferenza del legislatore.
Ci siamo preoccupati di rendere velocissimi i tempi del divorzio, fingendo di ignorare che dietro ogni addio, soprattutto in presenza di figli, c’è sempre un lungo, inestricabile intreccio di sofferenza. E che, quando ci si accosta ai drammi delle disgregazioni familiari, più che la fretta dell’ideologia, serve la pacatezza e la misura del buon senso.