sabato 6 maggio 2017

Vi ordino di andare in psicoterapia (M.Pingitore)

https://www.psicologiagiuridica.eu/vi-ordino-andare-psicoterapia/2017/04/24/

Vi Ordino di Andare in Psicoterapia


Troppo spesso i CTU – Consulenti Tecnici di Ufficio – “prescrivono”, nelle conclusioni peritali, percorsi di psicoterapia e/o sostegno psicologico alla coppia genitoriale conflittuale nell’ambito di una separazione giudiziale.
Il Giudice, recependo le conclusioni del suo Consulente, “ordina”, “prescrive”, “impone” una psicoterapia e/o un sostegno genitoriale ad entrambi i genitori con l’obiettivo di far cambiare idea ad uno o all’altro genitore o ad entrambi in nome della tutela del loro figlio minore. In pratica, “andate in psicoterapia, così cambiate, litigate meno e vostro figlio starà meglio”.
Solo cinque domande:
#1 si può essere obbligati ad intraprendere una psicoterapia se non si è motivati e senza consenso informato?
#2 si può imporre una psicoterapia con il fine di far cambiare idea ad una persona, dietro minaccia (se non cambi idea, potresti perdere l’affidamento del figlio)?
#3 il soggetto maggiorenne è libero di autodeterminarsi e di scegliere liberamente se fare una psicoterapia e, in caso, di scegliersi il professionista, se pubblico o privato, l’approccio ecc.?
#4 lo psicoterapeuta può scegliere liberamente di non accettare la coppia genitoriale o di sospendere la psicoterapia dopo qualche incontro? Può il professionista farsi un’idea diversa da quella del Tribunale, ad esempio ritenendo i genitori “non trattabili”?
#5 e se non sono trattabili, è “responsabilità” dello Psicoterapeuta, dell’approccio psicoterapico o della coppia scarsamente motivata? Il Giudice (o i Servizi Sociali) lo vuole sapere.
Ma si può imporre un trattamento sanitario ad un soggetto adulto?
Decisamente no. Lo spieghiamo in un articolo, accettato per la pubblicazione su ilFamiliarista.it di prossima pubblicazione, a cura di Camerini G. B., Pingitore M., Lopez G.: Si può prescrivere una psicoterapia alla coppia genitoriale?
In attesa dell’articolo, di seguito vengono riportati gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi che sostanzialmente impediscono l’obbligo di una psicoterapia/un sostegno psicologico nei confronti di soggetti adulti.
Ma iniziamo con la Costituzione, art. 32 co. 2:
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
Anche recentemente la Cassazione ha confermato tale diniego.
Maggiori informazioni tramite questo tag.
Ecco gli articoli del Codice Deontologico:
Articolo 4
Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e l’istituzione presso cui lo psicologo opera, quest’ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è professionalmente tenuto.In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell’intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell’intervento stesso.
Articolo 6
Lo psicologo accetta unicamente condizioni di lavoro che non compromettano la sua autonomia professionale ed il rispetto delle norme del presente codice, e, in assenza di tali condizioni, informa il proprio Ordine. Lo psicologo salvaguarda la propria autonomia nella scelta dei metodi, delle tecniche e degli strumenti psicologici, nonché della loro utilizzazione; è perciò responsabile della loro applicazione ed uso, dei risultati, delle valutazioni ed interpretazioni che ne ricava. Nella collaborazione con professionisti di altre discipline esercita la piena autonomia professionale nel rispetto delle altrui competenze.
Articolo 11
Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti.
Articolo 18
In ogni contesto professionale lo psicologo deve adoperarsi affinché sia il più possibile rispettata la libertà di scelta, da parte del cliente e/o del paziente, del professionista cui rivolgersi.
Articolo 24
Lo psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale, fornisce all’individuo, al gruppo, all’istituzione o alla comunità, siano essi utenti o committenti, informazioni adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni, le finalità e le modalità delle stesse, nonché circa il grado e i limiti giuridici della riservatezza. Pertanto, opera in modo che chi ne ha diritto possa esprimere un consenso informato. Se la prestazione professionale ha carattere di continuità nel tempo, dovrà esserne indicata, ove possibile, la prevedibile durata.
Articolo 27
Lo psicologo valuta ed eventualmente propone l’interruzione del rapporto terapeutico quando constata che il paziente non trae alcun beneficio dalla cura e non è ragionevolmente prevedibile che ne trarrà dal proseguimento della cura stessa. Se richiesto, fornisce al paziente le informazioni necessarie a ricercare altri e più adatti interventi.
Articolo 39
Lo psicologo presenta in modo corretto ed accurato la propria formazione, esperienza e competenza. Riconosce quale suo dovere quello di aiutare il pubblico e gli utenti a sviluppare in modo libero e consapevole giudizi, opinioni e scelte.

La psicoterapia (nella realtà). (M.Pingitore)

https://www.psicologiagiuridica.eu/consenso-informato-obbligato-alla-psicoterapia-le-coppie-genitoriali/2017/04/30/


Cassazione: stop ai "percorsi" psicoteraputici

Secondo la sentenza della Corte di Cassazione  n. 13506 del 2015  il Giudice non può imporre ai genitori immaturi percorsi psicoterapeutici individuali e di coppia. Infatti la Cassazione ha affermato che “la prescrizione ai genitori di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico individuale e a un percorso di sostegno alla genitorialità da seguire insieme è lesiva del diritto alla libertà personale costituzionalmente garantito e alla disposizione che vieta l’imposizione , se non nei casi previsti dalla legge, di trattamenti sanitari”.
Ed infatti , in base a tale sentenza,  tale  tipo di prescrizioni   viola sia il principio della libertà personale tutelato dalla Costituzione , sia   l’art. 32 secondo comma della stessa , atteso che  finisce per condizionare  comunque le parti ad effettuare  un trattamento sanitario.
Pertanto la Cassazione revoca  la disposizione impartita dalla Corte di Appello di Firenze  a una coppia di genitori di sottoporsi a un percorso psicoterapeutico onde realizzare la propria maturità personale, rilevando che  una simile decisione  non può che rientrare esclusivamente  nell’ambito del  loro diritto di autodeterminazione, che non può subire condizionamenti e  imposizioni di qualunque sorta.
Pertanto secondo la suprema Corte , sebbene una simile prescrizione  possa essere ritenuta dal Giudice  come extrema  ratio per aiutare la coppia a formarsi  quali idonei  genitori,  non  si può decidere  di impartirla loro , a titolo di invito, ma ,  di fatto,  a mò di  un trattamento sanitario obbligatorio in difformità a quanto sancito dall’art. 32 della nostra Costituzione.
E sostiene ancora la Corte che la finalità di un  simile percorso psicoterapeutico-  che  deve rimanere estraneo al giudizio-   è quella  di realizzare una crescita e maturazione personale genitoriale  ed attiene esclusivamente alla sfera del  diritto di autodeterminazione dei singoli genitori.
Successivamente a questa sentenza della Suprema Corte  abbiamo delle sentenze di merito, sia del Tribunale di Roma che di quello di Milano che se ne  discostano alquanto  , cercando di fornire una interpretazione delle prescrizioni psicoterapeutiche ai genitori , che si distacchi da una mera imposizione od obbligo che li possa tacciare di anticostituzionalità.
La prima sentenza è quella del Tribunale di Milano del  15 luglio 2015 ( Pres. Servetti , Est. Rosa Muscio).  Nel caso di specie una ctu aveva evidenziato che nella coppia genitoriale sussisteva una inadeguata capacità di “cogliere nel profondo le emozioni della figlia e di rispondere ad esse in maniera appropriata”, paventando che la minore si stesse evolvendo verso una struttura di personalità problematica. Per superare le criticità genitoriali e la loro situazione personologica,  il Tribunale indicava al padre e alla madre della minore  un percorso di supporto  genitoriale .
A tal uopo il Tribunale di Milano, citando preliminarmente la sopracitata sentenza della Corte di Cassazione , onde giustificare la propria decisione difforme, sosteneva che non intendeva  imporre ai genitori tale supporto, ma semplicemente li onerava di ciò, argomentando che il Collegio, nell’interesse preminente della prole, segnalava alle parti la necessità di intraprendere determinati percorsi di supporto personale anche di tipo terapeutico .
E il Tribunale ancora  afferma che la libertà personale di autodeterminazione e di scelta sulla propria salute di chi è genitore incontra pur sempre un limite nel diritto del figlio minore ad una sana e consapevole crescita, diritto di rango anche questo costituzionale , garantito, altresì, da convenzioni comunitarie ed internazionali e che  , quindi , il Tribunale deve tutelare.
Pertanto  il Collegio sostiene che si tratta di un “invito rivolto ai genitori, che, per quanto rimesso alla libertà di scelta dell’adulto genitore, è pur sempre in funzione della tutela dell’interesse e dell’equilibrio psicofisico  del figlio minore e potrà avere delle conseguenze per il genitore non responsabile tutte le volte in cui le sue libere legittime scelte si traducano in comportamenti pregiudizievoli per il figlio”  E qui il tribunale di Milano cita gli articoli 337 ter c.c. e 333 c.c. per evidenziare in maniera esplicita i provvedimenti che nel caso di specie potranno essere adottati nei confronti de genitori che non ottemperino all’invito effettuato dal Collegio giudicante.
Una successiva pronuncia della prima sezione civile del Tribunale di Roma del 13 novembre 2015 ( Pres. Mangano, rel. Galterio) prescrivendo un percorso terapeutico ad una coppia genitoriale problematica, dichiara che la prescrizione terapeutica si traduce nel caso di specie nell’unico strumento disponibile da parte del giudice per il superamento della conflittualità genitoriale , affinché sia garantita l’equilibrata crescita del minore, nel rispetto del suo diritto alla bigenitorialità. Sostiene il Tribunale che, benché sia consapevole del diverso orientamento della Cassazione , non crede che tale disposizione sia in contrasto con i dettami costituzionali , atteso che si tratta di un “onere” e che pertanto , essendo prevista nell’interesse dello stesso onerato, non è obbligatoria ed è  priva di conseguenze sanzionatorie personali , nel caso in cui rimanga inattuata, “ricadendone semmai gli effetti sul regime di affido..”nell’interesse preminente di una sana crescita del minore.
Recentissimo è poi il decreto del Tribunale di Milano sez. IX  dell’11 marzo 2017 ( Pres. Amato , est. G. Buffone). Con tale provvedimento viene prescritto alla coppia genitoriale un percorso di sostegno e di cura nell’esclusivo interesse della figlia minore. Nel caso che ci occupa la bambina aveva assunto come proprio il pensiero materno dicotomico, dove sul padre veniva riversata ogni colpa, mentre la madre era esente da ogni responsabilità.
Assume il Collegio “la situazione attuale di figlia  può ricondursi anche alla attuale situazione della madre, la quale all’esito degli accertamenti , è emerso accusare  un deficit di mentalizzazione e una distorta lettura della realtà. Causa centrale del rifiuto della bambina  e dell’immagine rigidamente negativa che figlia ha del padre è la madre che , consciamente o inconsciamente, ha inevitabilmente e costantemente trasmesso alla figlia i propri distorti convincimenti negativi, paurosi e pericolosi sulla figura paterna..”  E allora il Tribunale afferma che è necessario procedere a prescrizioni psicoterapeutiche e di sostegno per i due genitori. A tal uopo , citando la sentenza della Corte di Cassazione del 2015 che ha sostenuto essere inammissibili le prescrizioni rivolte ai genitori, nonché le sopracitate sentenze di merito del Tribunale di Milano e di quello di Roma, alle quali ultime aderisce il Collegio giudicante, afferma che la libertà di autodeterminazione e di scelta sulla salute del genitore, sebbene afferenti a diritti di rango costituzionale, trovano però il limite nel diritto del minore ad un percorso di  sana e matura crescita, anche questo diritto di rango costituzionale , altresì tutelato da convenzioni comunitarie ed internazionali e che è “compito del tribunale in ogni caso assicurare attraverso provvedimenti incidenti sull’esercizio e/o sulla titolarità della responsabilità genitoriale. Ciò nella misura  in cui interventi di supporto  anche di tipo terapeutico potrebbero consentire, se seguiti , ad uno o ad entrambi i genitori di superare le proprie fragilità e criticità personali e di conservare integra la propria responsabilità genitoriale”.
Anche tale decreto, come i due precedenti provvedimenti di merito citati, fa rilevare che si tratta comunque di un invito e non di un obbligo imposto alla coppia genitoriale, però si sottolinea che , sebbene sia un invito giudiziale rimesso alla libertà di scelta del genitore, è pur sempre finalizzato all’equilibrio psicofisico e all’interesse preminente del figlio minore e, pertanto, può avere serie conseguenze per il genitore che non accoglie tale invito tutte le volte in cui le sue “libere legittime scelte si traducano in comportamenti pregiudizievoli per il figlio “ , con tutte le conseguenze ex artt, 337 ter c.c. e 333 c.c..
In  particolare la madre alienante veniva invitata ad effettuare interventi di supporto psicologico –psichiatrico ,oltre che di supporto alle genitorialità insieme con l’altro genitore, al fine di eliminare la dispercezione delle realtà che aveva  e prendere così coscienza delle proprie difficoltà personali e dei  distorti convincimenti sull’ex coniuge, dando così una realistica lettura alla minore della figura paterna . In difetto, la figlia minore, già affidata al comune di residenza, sarebbe stata collocata dall’ente affidatario in ambiente protetto e tolta alla madre.
Orbene una riflessione sorge spontanea: certamente è lodevole il fine ultimo dell’interesse preminente dei minori quale principio motore che conduce a  disporre per i genitori un percorso psicoterapeutico, ma ci si domanda se poi tale obiettivo in verità si raggiunga sul serio,  atteso che  i genitori intraprendono tale iter spesso, senza esserne motivati ,ma solo perché  sollecitati dal Tribunale, temendo di perdere l’affidamento, il collocamento della prole se non addirittura l’esercizio della responsabilità genitoriale.

E poi , anche motivato dall’interesse preminente dei minori, sia che sia invito, onere, o altro, in ultima analisi, nella sostanza, tale prescrizione  dai genitori viene vissuta e sentita sempre come un obbligo sotto minaccia della sanzione di perdere il collocamento o l’affidamento della prole e, pertanto, in concreto , diventa l’impartizione di una sorta di trattamento sanitario obbligatorio in difformità dell’art. 32 secondo comma della nostra Costituzione.

Come sostiene la Cassazione  il percorso di maturazione  personale dei genitori e la loro assunzione di responsabilità consapevole in tanto potrà aversi in quanto liberamente avviata , affidata al loro diritto imprescindibile di autodeterminazione; se non sarà intrapreso liberamente, raramente potrà condurre a risultati positivi ed efficaci nel tempo.
Avv. Margherita Corriere
Presidente Sez. Distrettuale AMI di Catanzaro

Fonte: http://www.ami-avvocati.it/prescrizioni-ai-genitori-di-percorsi-terapeutici-individuali-e-di-coppia-dopo-la-sentenza-della-corte-di-cassazione-n-135062015/

mercoledì 3 maggio 2017

Il business di chi "aiuta": il caso a Napoli.

Napoli, bambini in cambio di fondi. Inchiesta sulle case famiglia. di Fabio Nestola


Napoli, bambini in cambio di fondi. Inchiesta sulle case famiglia. di Fabio Nestola







Brutta fama, quella dei Servizi Sociali. Ladri di bambini,  il braccio armato del sequestrificio, sequestri di stato, bambini venduti, bambini come merce di scambio …, queste sono alcune delle definizioni  che la stampa riporta in occasione di inchieste che talvolta sollevano quel coperchio che non deve essere sollevato.
A Napoli, in azione gli agenti della polizia municipale del comandante Sementa: sequestrati atti negli uffici comunali. L'assegnazione dei minori veniva pilotata dai funzionari pubblici a favore di alcune strutture che lucravano sui finanziamenti Bambini usati come merce di scambio per lucrare sui fondi del Comune di Napoli destinati all'accoglienza residenziale dei minori.
Questo il sistema criminale che emerge dalle indagini della polizia municipale, coinvolti funzionari del Comune, impiegati delle Politiche Sociali, titolari di case famiglia della città.

Sono anche le teorie che serpeggiano in rete su centinaia di siti, bolg e pagine FB, vengono ripetute nei convegni e nelle manifestazioni, ricorrono nei libri e negli articoli sull’argomento.
Forse non è sempre così,  forse gli interessi economici non sempre prevalgono sugli interessi delle famiglie e dei minori, forse esistono anche buone prassi, forse esistono casi risolti positivamente, forse quella dei Servizi è una fama immeritata.
Forse.

Resta il fatto che decine di migliaia di bambini ogni anno finiscono nel tritacarne, strappati ad uno o entrambi i genitori per alimentare il mercato delle strutture di accoglienza. Perché di mercato si tratta:  sia chiaro che un bambino non entra in casa famiglia a titolo gratuito.
Di contro c’è la difesa dei Servizi stessi, secondo la quale il Sistema lavora sempre al meglio, le operatrici sono sottopagate ed oberate di lavoro a causa della carenza di organico, l’unico focus è l’interesse dei minori, togliere i bambini alle famiglie è solo l’estrema ratio quando null’altro è possibile.
Ok, ma questa estrema ratio riguarda decine di migliaia di famiglie ogni anno, centinaia di migliaia negli ultimi anni. Il tipico genitore italiano è maltrattante per DNA e non ce ne siamo accorti?
In altra data abbiamo affrontato, sempre sulle pagine di Adiantum, il tema della trasparenza sui criteri di collocazione dei minori in istituto, il peso determinante dei Servizi per togliere i bambini alle famiglie,   l’opposizione dei servizi alle videoregistrazioni degli incontri con adulti e minori presi in carico.
Ora vediamo come un caso concreto, uno dei tanti, solleva legittimi dubbi sulle dinamiche che trascinano i bambini fuori dalla famiglia.
Agosto 2013, litorale tirrenico. Un bambino che chiameremo Mario viene accompagnato al Pronto Soccorso di un piccolo centro poiché ha incautamente stuzzicato un alveare ed è pieno di punture.
Il PS non è attrezzato al meglio e suggerisce il trasferimento ad altro ospedale. Il bambino viene accompagnato dal 118 in una cittadina più grande, con un ospedale migliore, ove viene confermata la diagnosi (dermatosi infiammatoria), trattata con Bentelan. 
Il mese successivo Mario è stato tolto alla madre, che chiameremo Anna, con la motivazione di percosse da persona nota. Collocato in una struttura protetta, potestà sospesa alla madre, vietato qualsiasi tipo di incontro anche in modalità protetta.
Come si è potuti arrivare a tanto?
Semplice, basta costruire una versione distorta dei fatti. Il provvedimento del  TdM motiva la misura protettiva col fatto che si sarebbe presentata spontaneamente l’assistente sociale di un Comune nel quale la famiglia non vive più, sostenendo di “aver saputo” che:
  • il bimbo era andato in ospedale per curare i sintomi di percosse (falso 1)
  • il convivente della madre, che chiameremo Giovanni, non aveva accettato la diagnosi (falso 2)
  • Giovanni aveva portato via il bimbo per condurlo in un altro ospedale ( falso 3) e farlo refertare diversamente.
Falso 1 - il referto del PS smentisce la versione dell’assistente sociale, sia la prima che la seconda struttura sanitaria hanno riscontrato sul bambino esiti di punture d’insetto e non di schiaffi, calci, cinghiate etc.
Falso 2 – Giovanni non si è opposto a nulla ne’ avrebbe potuto farlo, semplicemente perché era altrove. Aveva accompagnato la madre di Mario - guardacaso -  proprio nello stesso ospedale ove il bambino è stato trasferito in ambulanza. Infatti, non essendoci ne’ la madre ne’ il convivente, Mario dopo l’assalto delle api è stato accompagnato al PS da un’amica di famiglia.
Falso 3 - per lo stesso motivo  (non era fisicamente presente) Giovanni non ha condotto Mario nel secondo ospedale, ove il bimbo è giunto tramite 118 come da referto.
Come mai tali e tante falsità? Basta leggere i referti che smentiscono clamorosamente l’assistente sociale, non li ha visti prima di partire a testa bassa col suo maldestro “ho saputo che”?
E soprattutto, non li ha letti nemmeno il giudice che ha accettato acriticamente la versione della testimone spontanea?
Inoltre l’assistente sociale dichiara che il bambino ha un aspetto trascurato, va a scuola con le scarpe rotte e generalmente malvestito, sporco, malnutrito.
Curioso però che la solerte assistente sociale si preoccupi di denunciare l’incuria quando ormai il bambino e la sua famiglia non vivono più da 10 mesi nel Comune ove ella esercita. Presso quale scuola avrebbe riscontrato le scarpe rotte e tutto il resto, visto che Mario da mesi è altrove?
Torniamo ai referti di PS.
L’avvocato della famiglia voleva vedere come ci si fosse arrampicati sugli specchi pur di togliere il bimbo alla madre, ma non ha avuto accesso immediato agli atti.  Passano i giorni, passano le settimane, il fascicolo “è su dal PM”, poi “è sceso ma non si trova”,  poi “provi a telefonare la prossima settimana” … intanto Mario langue in casa famiglia.

Si può sapere da dove salta fuori il referto di percosse citato nel provvedimento del TdM?
Alla fine il fascicolo si trova ed ecco la sorpresa degna di Carramba! Il referto di percosse esiste davvero! Peccato che la madre non ne sappia nulla, Mario è stato portato al PS a sua insaputa.
Da chi?
Ma è ovvio, dai Servizi Sociali del nuovo comune di residenza della famiglia, che hanno organizzato un centro estivo ed ogni mattino prima delle 8 prelevano Mario da casa e lo portano al mare con altri bambini.
Quindi esce dal cilindro un referto del mese di luglio, quando il bambino alle 9,45 viene accompagnato al PS del solito piccolo centro. La diagnosi è percosse, ma il piccolo PS invia il bambino presso una struttura pediatrica.
Curioso, ma nel fascicolo non c’è traccia del referto di questa fantomatica struttura pediatrica.
Conferma le percosse?
Ha diagnosticato qualcosa di diverso dalle percosse?
Che terapia ha somministrato? È compatibile con le percosse o serve a curare altro?
Oppure Mario non vi è mai stato accompagnato perché il primo referto era sufficiente?
Ancora: per quale motivo nessuno ha riscontrato segni di percosse alle 8, al momento di prelevare Mario da casa, mentre i segni sono comparsi un’ora e mezza dopo?
Cosa è accaduto fra le 8 e le 9,45?
È stato picchiato da un adulto? Se si, da chi, visto che la madre ed il convivente erano altrove?
Una semplice zuffa tra bambini, con deficit di sorveglianza da parte di chi avrebbe dovuto farlo?
Per quale motivo il bambino è stato immediatamente dimesso e non è stato detto nulla alla madre?
Per quale motivo al rientro a casa i segni di percosse non c’erano più?
Oppure le percosse non ci sono mai state, Mario aveva i soliti gonfiori da punture d’insetto che spariscono in due ore?
Poi si verifica una coincidenza che le AASS non potevano prevedere: 4 giorni dopo la corsa in ospedale per percosse , è il compleanno di Mario.
C’è la festicciola, con tanto di torta e foto. È luglio, Mario nelle foto appare senza maglietta e non c’è traccia (ne’ sul viso, ne’ sulle braccia o sul corpo) degli evidenti segni di percosse che hanno costretto le operatrici a precipitarsi in ospedale.
I lividi impiegano 8/10 gg a sparire, seguono un riassorbimento naturale che fa cambiare colore all’edema (dal nero, al blu/verde, al giallo), ma sicuramente dopo 4 gg nessun bambino può avere la pelle rosea che Mario mostra in foto. Cosa significa?
La zelante assistente sociale, sempre colei che senza essere convocata da nessuno si è spontaneamente presentata al TdM per far nascere l’allarme, dichiara inoltre di “avere saputo” che sono intervenuti anche i Carabinieri. Ulteriore dato: il verbale dei CC nel fascicolo non esiste.  
L’assistente sociale del vecchio Comune di residenza dice che Mario sta malissimo con la madre, viene picchiato, va a scuola in condizioni pessime senza peraltro vederlo a scuola da 10 mesi.
L’assistente sociale dell’attuale Comune di residenza  porta il bambino al PS senza dire nulla alla madre, ne’ prima ne’ dopo. Anche al centro estivo dicono che Mario è picchiato, malnutrito, trascurato.
Che ci sia un disegno comune che collega le due iniziative?
Ma nooooo, non bisogna pensare male, i Servizi Sociali non avrebbero alcun interesse a pilotare le decisioni del TdM verso la cancellazione della figura materna a favore di un istituto prima e di una famiglia affidataria poi.
Nemmeno se il provvedimento del TdM viene notificato, oltre che alla madre di Mario, anche a due signori che si propongono come affidatari. Non è che per caso, e dico per caso, questa vicenda finirà per alimentare la teoria del “sequestro di stato”? Oppure Mario veniva realmente pestato e - unica misura possibile - doveva essere sradicato dalla famiglia?
Se ne stanno occupando medici legali ed avvocati, qualcuno dovrà dare parecchie spiegazioni. Per ora la vicenda è in itinere, aggiorneremo i lettori sugli sviluppi.

Fonte: http://www.adiantum.it/public/3451-napoli,-bambini-in-cambio-di-fondi.-inchiesta-sulle-case-famiglia.-di-fabio-nestola.asp