martedì 30 settembre 2014

La grande bugia


Fonte: http://nellenote.wordpress.com/2014/07/19/the-big-lie/
( http://bit.ly/1mONpOC )


E’ vero che studi recenti “dimostrano” che madre e padre sono inutili e i bambini crescono meglio in coppie omosessuali?
1) La credibilità dell’APA e la fallacia del presunto sostegno della comunità scientifica all’ideologia GENDER

Sembra incredibile ma dobbiamo tornare a discutere ancora una volta la fallacia di ogni argomento che mira a sostenere le teorie gender in quanto “scientifiche”. Non possiamo che restare a bocca aperta di fronte all’ignoranza epistemologica di chi sostiene i matrimoni e le adozioni omosessuali poiché (a suo dire) “la scienza “dimostra” che non ci sono danni per i bambini”.
Abbiamo già discusso il bluff dei “trent’anni di studi che dimostrano …” qui: http://nellenote.blogspot.it/2014/06/n-3-trentanni-di-studi-dimostrano-che_13.html
Evidenziando inoltre che esistono corposi elenchi bibliografici che mostrano effetti deleteri per i bambini deprivati di uno dei due genitori ed inseriti nelle coppie omosessuali: http://nellenote.blogspot.it/2014/01/letteratura.html

Nessuno studio psicologico “dimostra” alcunché. Una tesi è dimostrata quando la sua negazione implica contraddizione logica perenne. La sola scienza che dimostra in senso autentico è dunque la Matematica pura. Dato che si parla di Psicologia (o di Antropologia oppure di Sociologia, dipende dalle curvature), ogni pretesa di “dimostrazione” è semplicemente ridicola.
E’ il solito bluff dei sostenitori delle teorie omosessualiste che o sostengono queste sciocchezze in mala fede oppure parlano dal profondo dell’analfabetismo epistemologico che non si avvede di un dato essenziale come quello dell’ *errore*. Nel procedere scientifico delle scienze empiriche *l’errore* è infatti fondamentale, sia nel breve che nel lungo periodo.

“Tutte le teorie, restano essenzialmente provvisorie, congetturali, o ipotetiche, anche quando non ci sentiamo più in grado di dubitare di esse”, sosteneva il grande epistemologo Karl Popper.
Dunque, mentre è possibile e perfettamente legittimo parlare di “dimostrazione” in ambito logico-matematico, il termine “dimostrazione” non è per nulla adatto alle scienze umane. Facciamo un esempio, per chiarire il concetto. Pensiamo proprio alla Psicologia. Come tutti sappiamo, nasce con Aristotele (più di venti secoli fa) ed è ancora in pieno sviluppo. Nessuno, però, oggi sottoscriverebbe una teoria psicologica dell’Ottocento, in quanto si ritiene che la Psicologia sia progredita e le teorie del secolo scorso o di due secoli fa non siano più valide. Al contrario, per esempio il Teorema di Pitagora (che è ancora più antico delle teorie di Aristotele) è ancora lì, senza modifiche, da oltre duemila anni, a ricordarci appunto la differenza che c’è tra “dimostrazione” e “congettura”. Mentre la prima non ammette negazioni (pena la contraddizione), la seconda è sempre perfettibile o addirittura passibile di radicale negazione. Dipende dai dati, dall’osservazione, dall’osservatore, dal metodo, dalle teorie di riferimento, e così via. Insomma: “dipende”.
“Tutte le teorie, – sostiene sempre Karl Popper – restano essenzialmente provvisorie, congetturali, o ipotetiche, anche quando non ci sentiamo più in grado di dubitare di esse”.
I sostenitori delle teorie GENDER si basano su un concetto di “verità scientifica” che nessuno scienziato o filosofo della scienza accetta più, da più di un secolo. Ovvero da quando il Positivismo è morto. E sepolto.
Tutti sanno – tranne i sostenitori del Gender – che nel procedere effettivo della scienza il ruolo liberamente svolto dallo scienziato è talmente importante da risultare decisivo nell’accettazione o nel rifiuto di qualsiasi idea scientifica. Dunque la scienza che in un dato momento storico viene accolta come “vera” deriva la propria verità non dal dato inconfutabile ed incontrovertibile dell’esperimento o dell’analisi scientifica, ma solo dall’assenso degli scienziati, dalle loro scelte e decisioni, dai condizionamenti (epistemologici, politici, culturali, economici, etc.).
Poiché queste decisioni sono sempre rivedibili e correggibili, ogni affermazione scientifica sarà da considerarsi perennemente in forse, sempre IPOTETICA.

Ma è lecito decidere del futuro dei bambini basandosi sull’accettazione di *peraltro contraddittorie* IPOTESI scientifiche?
E’ sempre Popper a ricordarci che “Le teorie scientifiche si distinguono dai miti soltanto in quanto criticabili e suscettibili di modifiche alla luce della critica. Non possono venir né verificate né rese più probabili”: vi sembra normale pretendere una rivoluzione antropologica di questa portata (regolarsi nelle adozioni come se le figure genitoriali di padre e madre fossero del tutto ininfluenti per la crescita dei bambini) solo per soddisfare le pretese di *alcuni* omosessuali (tra l’altro non tutti, in quanto in molti omosessuali si dicono apertamente e coerentemente contrari alle adozioni gay)?
La base empirica della scienza – secondo Popper – non posa affatto su un solido strato di roccia. L’ardita struttura delle sue teorie si eleva sopra una palude. E’ come un edificio costruito su palafitte. Le palafitte vengono conficcate giù dall’alto, ma non in una base naturale o data; e il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di conficcare più a fondo le palafitte non significa che abbiamo trovato un terreno solido. Semplicemente ci fermiamo quando siamo soddisfatti e riteniamo che per ora i sostegni siano abbastanza stabili da reggere la struttura.
Come si deve abbandonare in quanto palesemente contraddittorio ogni forma di relativismo, allo stesso modo la fiducia nel sapere scientifico va tenuta, ma in modo critico e consapevole.
Non si possono né si devono prendere decisioni ultime sul destino dell’uomo basandosi su un sapere che è solo relativo. L’esperienza non ci può confermare definitivamente la validità delle ipotesi scientifiche, ma al massimo ci può dire senza dubbio quando queste congetture sono false. Mentre la verità scientifica non è *dimostrabile* in senso forte, il principio cui l’uomo dovrebbe attenersi è quello dell’EVIDENZA inconfutabile. In questo senso, si dice che il grande Tommaso d’Aquino (che pure era un realista) mettesse una mela sulla cattedra, prima di ogni lezione, e dicesse: “Questa è una mela. Chi non è d’accordo può andarsene”. Edmund Husserl – uno dei maestri del pensiero Novecentesco, forse il più grande – sosteneva analogamente che è dall’esperienza dell’evidenza che si deve ripartire. La “crisi delle scienze europee” – che aveva previsto con straordinaria lungimiranza – sta proprio in questo virus: nel voler pretendere di interpretare l’esperienza evidente a proprio piacere, fino a negare l’evidente stesso.
Oggi assistiamo quotidianamente e con cadenza impressionante il ripetersi di questo disastro.
Proprio come aveva anticipato Husserl, le mere “scienze di fatto”, hanno alla fine creato meri “uomini di fatto”. E visto che secondo la vulgata comune “non esistono fatti ma solo interpretazioni”(lo diceva anche Nietzsche, a dire il vero, ma con ben altra profondità di pensiero e ben altra consapevolezza filosofica) – anche l’uomo è diventato un’interpretazione. Una, tra le tante possibili. Che possiamo rivedere a nostro piacimento, a seconda dei pruriti di ciascuno. Specialmente se si è gay e con un pacco di soldi in tasca.


2) Passiamo ora a qualche esempio per mettere più a fuoco – come se non bastasse – la credibilità di questi “studi” o delle associazioni che li considerano tali (APA prima tra tutte).
Ecco, per esempio, come lavora l’APA (associazione psicologi americani)
“Storia della derubricazione dell’omosessualità dal DSM”
Uno degli argomenti del movimento gay per affermare che l’omosessualità sarebbe “normale” è l’affermazione secondo la quale l’APA, nel 1973, ha cancellato l’omosessualità dal suo manuale diagnostico, il DSM (Diagnostic and Statistic Manual); sulla scia di questa decisione, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) l’ha cancellata dal suo manuale diagnostico, l’ICD (International Classification of Disease), nel 1991. Pochi però spiegano che questa decisione non è stato il frutto di un dibattito scientifico, ma di una operazione ideologica. Dal 1968 gli attivisti gay manifestavano alle riunioni della “Commissione Nomenclatura” dell’APA, chiedendo e infine ottenendo di partecipare agli incontri. Da quel momento il dibattito scientifico fu sospeso e sostituito da discussioni di carattere politico e ideologico che sfociarono nel 1973 nella decisione di mettere ai voti la questione.
Ebbene sì: l’omosessualità fu derubricata dai manuali statistici grazie a una votazione (5.816 voti a favore e 3.817 contro)! Nel DSM IV rimase la voce “omosessualità egodistonica” (che fu tolta poi nel 1987), espressione che in generale designa soggetti spinti verso uno stato depressivo a causa di un conflitto con il proprio io. Il noto psichiatra Irving Bieber commentò la votazione del 1973: “Non si può davvero sostenere che la nuova posizione ufficiale riguardo l’omosessualità sia una vittoria della scienza. Non è ragionevole votare su questioni scientifiche come se si trattasse di mettere ai voti se la terra sia piatta o rotonda”.
[…] È interessante la posizione di Robert Spitzer, che nel 1973 era presidente della “Commissione Nomenclatura” dell’APA. Egli, in seguito a una ricerca compiuta nel 2001 e confermata nel 2003 sull’efficacia della terapia riparativa, afferma di aver cambiato idea in merito alla possibilità di cambiamento dell’orientamento sessuale. In una dichiarazione rilasciata al “Wall Street Journal” il 23 maggio 2001, egli afferma: “Nel 1973, opponendomi all’opinione prevalente dei miei colleghi, appoggiai la rimozione dell’omosessualità dalla lista ufficiale dei disordini mentali. Per questo motivo ottenni il rispetto dei liberals e della comunità gay, anche se ciò fece infuriare molti dei miei colleghi[…]. Ora, nel 2001, ho mutato opinione e questo ha fatto sì che venissi presentato come un nemico della comunità gay e così la pensano in molti all’interno della comunità psichiatrica e accademica. Io contesto la tesi secondo cui ogni desiderio di cambiamento dell’orientamento sessuale di un individuo è sempre il risultato della pressione sociale e mai il prodotto di una razionale motivazione personale…”.
Prendiamo ora in esame il problema del **condizionamento**.
“Per molti anni ho cercato di contestare le mode intellettuali nella scienza e ancor più in filosofia. Il pensatore alla moda è per lo più prigioniero del proprio conformismo, mentre io considero la libertà…uno dei principali valori che la vita può offrirci, se non il principale” (scriveva sempre Karl Popper)

Adozioni gay: ricerche condizionate dall’ideologia (di Costanza Stagetti)
I bambini allevati da due individui dello stesso sesso hanno le stesse opportunità dei bambini allevati in famiglie con un padre e una madre? Fino a poco tempo fa la risposta a questa domanda era “no”. Tuttavia politici, sociologi, media e anche associazioni mediche (1) oggi asseriscono che è giunto il momento di abolire il divieto per le coppie omosessuali di adottare bambini. Per convalidare la loro posizione i sostenitori delle adozioni gay citano i numerosi studi che avrebbero dimostrato l’assenza di differenze significative tra i bambini allevati da coppie omosessuali e quelli cresciuti in famiglie tradizionali.
La portavoce del governo spagnolo, Maria Teresa Fernandez de la Vega, dopo l’approvazione il 1 ottobre scorso (2004) di un progetto di legge che, se approvato dal Parlamento, farà della Spagna il terzo paese europeo dopo l’Olanda e il Belgio ad autorizzare il “matrimonio omosessuale”, ha dichiarato: «La Spagna si situa così all’avanguardia dell’Europa e del mondo nella lotta contro una discriminazione secolare che toccava i nostri concittadini». Sulla questione dell’adozione, la più polemica, la signora de la Vega ha affermato che «ci sono migliaia di bambini che in Spagna già vivono con un genitore omosessuale e più di cinquanta studi provano che non c’è differenza tra i bambini che crescono con genitori omosessuali e gli altri».

**Ricerche a forte contenuto ideologico**

Il problema è, tuttavia, che molti di questi studi non rispondono ad accettabili standard di ricerca psicologica, sono compromessi da difetti metodologici e sono sostenuti più da programmi politici che da un’obbiettiva ricerca della verità. La presenza di tali difetti metodologici invaliderebbe qualsiasi altra ricerca condotta in altre aree. L’indifferenza su tali mancanze da parte delle riviste scientifiche può essere attribuita alla volontà “politically correct” degli esperti di “dimostrare” che l’ambiente omosessuale non è differente dalla famiglia tradizionale. Questa conclusione è riproposta anche dalla American Psychological Association nella cui dichiarazione ufficiale sulla genitorialità omosessuale ad opera dell’attivista lesbica Charlotte J. Patterson della University of Virginia si legge: «In sintesi, non c’è alcuna prova che le lesbiche e i gay siano inadatti ad essere genitori o che lo sviluppo psicologico dei figli di omosessuali sia compromesso in qualche suo aspetto… Non esiste un solo studio che abbia rilevato che i figli di omosessuali sono svantaggiati in qualche aspetto significativo rispetto ai figli di genitori eterosessuali». 2

**Problemi relativi alla ricerca sulla genitorialità omosessuale**
Ad un esame più attento, tuttavia, questa conclusione non è così sicura come sembra. Nel paragrafo successivo Patterson fa delle precisazioni e scrive: «Bisogna riconoscere che la ricerca sui genitori omosessuali e i loro figli è ancora molto recente e relativamente scarsa…. Studi longitudinali che seguono famiglie di gay e lesbiche nel tempo sono assolutamente necessari».3 Inoltre Patterson riconosce che «la ricerca in questa area ha presentato varie controversie metodologiche» e che «sono state sollevate domande riguardo il campionamento, la validità statistica e altre questioni tecniche». (Belcastro, Gramlich, Nicholson, Price, & Wilson, 1993).
Aggiunge significativamente: «La ricerca in questa area è stata anche criticata per non aver usato gruppi di controllo in modelli che richiedono tali controlli….Un’altra critica è stata che la maggior parte degli studi hanno coinvolto pochi campioni e che ci sono state inadeguatezze nelle procedure di valutazione impiegate in alcuni studi».4
Sebbene ammetta i gravi errori metodologici che metterebbero in discussione i risultati di qualsiasi altro studio, Patterson incredibilmente dichiara che «anche con tutte le domande e/o limitazioni che possono caratterizzare la ricerca in questa area, nessuna delle ricerche pubblicate suggerisce conclusioni differenti da quelle che abbiamo precedentemente esposto….» Ma qualsiasi conclusione è attendibile nella misura in cui lo è la prova su cui si fonda.

**Numero insufficiente di campioni**
Gli studi che esaminano gli effetti della genitorialità omosessuale sono inficiati da un numero insufficiente di campioni.
Non avendo trovato nessuna significativa differenza fra un gruppo di 9 bambini educati da lesbiche e un gruppo simile di bambini educati da genitori eterosessuali, S. L. Huggins ha ammesso: «Il significato e le implicazioni di questo risultato sono incerti, e il numero ridotto di campioni rende difficile qualsiasi interpretazioni di questi dati». 5
Una relazione di J. M. Bailey in Developmental Psychology, commentando gli studi sui figli di genitori omosessuali, indica che «gli studi disponibili non sono sufficientemente ampi da produrre valore statistico». 6
S. Golombok e F. Tasker ammettono nel loro studio successivo sui figli educati da lesbiche, «È possibile che il basso numero di campioni abbia portato ad una sottovalutazione del significato delle differenze fra i gruppi a causa di una bassa validità statistica (errore tipo II)» 7
Altrove essi avvisano che gli effetti negativi sui bambini educati da lesbiche «potrebbero non essere stati rilevati a causa del numero relativamente basso di campioni. Ne consegue che, sebbene siano state individuate delle tendenze, è necessario fare attenzione nell’interpretare questi risultati». 8
Nel suo studio pubblicato in Child Psychiatry and Human Development che mette a confronto i figli di madri omosessuali e eterosessuali, G. A. Javaid con franchezza ammette che «i numeri sono troppo bassi in questo studio per trarne delle conclusioni».
Nel suo studio sulle “famiglie” lesbiche, Patterson ammette la parzialità dei campioni: «dovrebbero essere riconosciuti alcuni problemi riguardo la scelta dei campioni. La maggior parte delle famiglie che hanno preso parte al Bay Area Families Study avevano a capo delle madri lesbiche bianche, ben istruite, relativamente benestanti e abitanti nell’area della baia di San Francisco. Per questi motivi non può essere fatta alcuna rivendicazione sulla rappresentatività del presente campione». 10
Appena la ricerca si fa approfondita, subito risaltano le differenze tra i due tipi di genitorialità
Al contrario, R. Green in Archives of Sexual Behavior, ha scoperto che i pochi studi sperimentali che includevano un numero di campioni anche solo modestamente più alto (13-30) di maschi e femmine educati da genitori omosessuali …«hanno rilevato differenze di sviluppo statisticamente significative fra bambini allevati da genitori omosessuali in confronto a quelli allevati da genitori eterosessuali Ad esempio, i bambini educati da omosessuali hanno un maggiore incoraggiamento dai genitori nello scambio dei ruoli di genere e una maggiore inclinazione al travestitismo».11

**La mancanza di campioni casuali**
I ricercatori usano campioni a caso per garantire che i partecipanti allo studio siano rappresentativi della popolazione che viene studiata (ad esempio gay o lesbiche). I risultati che derivano da campioni non rappresentativi non possono essere legittimamente generalizzati.
L. Lott-Whitehead e C. T. Tully ammettono il punto debole del loro studio sulle madri lesbiche: «Questo studio era descrittivo e quindi aveva intrinseci limiti metodologici pari a quelli di altri studi simili. Forse il limite più serio riguarda la rappresentatività….. Il campionamento a caso era impossibile. Questo studio non pretende di portare un campione rappresentativo e quindi non si può ipotizzare una sua generalizzazione».12
N. L. Wyers riconosce di non aver usato il campionamento casuale nel suo studio sui partners omosessuali, rendendo il suo studio «vulnerabile a tutti i problemi associati ad una selezione a senso unico dei partecipanti».13
Golombok scrive del suo studio: «un ulteriore obiezione ai risultati risiede nella natura dei campioni studiati. Entrambi i gruppi erano volontari ottenuti attraverso associazioni e riviste gay. Ovviamente questi non costituiscono un campione a caso e non è possibile conoscere quali parzialità siano coinvolte nel metodo de selezione dei partecipanti». 14

**La mancanza di anonimato dei partecipanti alla ricerca**
Le procedure di ricerca che garantiscono l’assoluto anonimato sono necessarie per prevenire una fonte di parzialità riguardo chi acconsentirà a partecipare quale soggetto della ricerca e garantiscono la veridicità e la sincerità delle loro risposte:
M. B. Harris e P. H. Turner osservano sul Journal of Homosexuality: «La maggior parte dei genitori omosessuali che partecipano a tali ricerche si preoccupano della loro paternità/maternità e dei loro figli, e la maggior parte ha un’identità gay pubblica. È difficile identificare i genitori omosessuali “segreti” e i loro problemi possono esser piuttosto diversi da quelli dei genitori più apertamente gay».
Harris e Turner hanno impiegato tecniche superiori di ricerca per assicurare il completo anonimato dei loro soggetti. Come risultato, al contrario di altri studi, essi hanno riportato problemi associati alla genitorialità omosessuale che non erano stati riportati dagli studi precedenti: «Forse l’anonimato della presente procedura di campionamento ha reso i soggetti più disponibili a riconoscere quei problemi rispetto a quelli degli studi precedenti». 15

**Falsa rappresentazione di sé**
La mancanza di campionamento casuale e l’assenza di controlli che garantiscano l’anonimato fanno sì che i soggetti presentino al ricercatore un’immagine fuorviante che si conforma alle opinioni del soggetto e rimuove l’evidenza che non si conforma all’immagine che il soggetto desidera presentare.
Nel suo National Lesbian Family Study N. Gartrell ha scoperto che 18 studi su 19 riguardanti i genitori omosessuali usavano una procedura di ricerca che era contaminata da questa falsa rappresentazione di sé. Gartrell menziona i problemi metodologici di uno studio longitudinale sulle “famiglie” lesbiche: «Alcune possono essersi presentate volontariamente per questo progetto poiché erano motivate a dimostrare che le lesbiche sono capaci di crescere bambini sani e felici. Nella misura in cui questi soggetti potrebbero desiderare di presentare sé stessi e le loro famiglie nella miglior luce possibile, i risultati dello studio possono essere intaccati da tendenziosità». 16
Harris e Turner ammettono, riguardo al loro studio: «non c’è modo di conoscere quanto sia rappresentativo il campione…… L’alta proporzione di soggetti gay che hanno manifestato la volontà di essere intervistati indica che forse erano interessati agli argomenti trattati nel questionario e che quindi erano desiderosi di rivelare la loro omosessualità ai ricercatori. Inoltre, anche se il questionario era anonimo, i genitori gay avrebbero potuto essere particolarmente interessati a enfatizzare gli aspetti positivi della loro relazione con i figli, immaginando che i risultati avrebbero potuto avere implicazioni in futuro sulle decisioni di custodia. Di conseguenza ogni generalizzazione deve essere considerata con prudenza….Poiché tutti i dati riferiti a voce dalle persone sono soggetti a parzialità e poiché i genitori possono deliberatamente o inconsciamente minimizzare la misura dei conflitti con i loro figli, questi risultati non possono essere presi per buoni». 17




Note
1 American Academy of Pediatrics, “Co parent or Second-Parent Adoption by Same-Sex Parents,” Pediatrics. 109(2002): 339-340.
2 Charlotte J. Patterson, “Lesbian and Gay Parenting,” American Psychological Association Public Interest Directorate (1995): 8.
3 Ibid.
4 Ibid., p. 2.
5 S. L. Huggins, “A Comparative Study of Self-esteem of Adolescent Children of Divorced Lesbian Mothers and Divorced Heterosexual Mothers,” Journal of Homosexuality 18 (1989): 134.
6 J. M. Bailey et al., “Sexual Orientation of Adult Sons of Gay Fathers,” Developmental Psychology 31 (1995): 124.
7 Susan Golombok and Fiona L. Tasker, “Do Parents Influence the Sexual Orientation of Their Children? Findings from a Longitudinal Study of Lesbian Families,” Developmental Psychology 32 (1996): 9.
8 F. Tasker and S. Golombok, “Adults Raised as Children in Lesbian Families,” Developmental Psychology 31 (1995): 213.
9 Ghazala A. Javaid, “The Children of Homosexual and Heterosexual Single Mothers,” Child Psychiatry and Human Development 23 (1993): 245.
10 Charlotte J. Patterson, “Families of the Lesbian Baby Boom: Parent’s Division of Labor and Children’s Adjustment,” Development Psychology 31 (1995): 122.
11 Richard Green et al., “Lesbian Mothers and Their Children: A Comparison with Solo Parent Heterosexual Mothers and Their Children,” Archives of Sexual Behavior 15 (1986): 167–184.
12 Laura Lott-Whitehead and Carol T. Tully, “The Family Lives of Lesbian Mothers,” Smith College Studies in Social Work 63 (1993): 265.
13 Wyers, “Homosexuality in the Family,” p. 144.
14 Golombok et al., “Children in Lesbian and Single-parent Households: Psychosexual and Psychiatric Appraisal,” Journal of Child Psychology and Psychiatry 24 (1983): 569.
15 Mary B. Harris and Pauline H. Turner, “Gay and Lesbian Parents,” Journal of Homosexuality 12 (1985): p. 112.
16 Nanette Gartrell et al., “The National Lesbian Family Study: Interviews with Prospective Mothers,” American Journal of Orthopsychiatry 66 (1996): 279.
17 Harris and Turner, “Gay and Lesbian Parents,” p. 111, 112.

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