mercoledì 10 luglio 2013

Affido condiviso: a rimetterci sono i papà


La legge 54 sull’affidamento condiviso dei figli nelle separazioni e nei divorzi ha da poco superato il settimo anno ed è oggetto di profondo dibattito.

Fonte:http://www.famigliacristiana.it/articolo/fascione-l-afido-condiviso.aspx

E’ stata quasi totalmente sdoganata dai tribunali italiani, che la applicano massivamente. Ma secondo alcuni autorevoli critici è stata anche purtroppo svuotata degli obiettivi per cui era nata: la legge 54 sull’affidamento condiviso dei figli nelle separazioni e nei divorzi ha da poco superato il settimo anno ed è oggetto di profondo dibattito.
Sul tavolo c’è, prima di tutto, la domanda se sia veramente uscita dalla carta. Insomma, l’affidamento condiviso ha davvero realizzato quel principio di bigenitorialità secondo cui, pur nella separazione, padri e madri devono mantenere pari diritti e pari doveri nella cura e nell’educazione dei figli?

Secondo le ultime rilevazioni Istat (anno 2010) in Italia le separazioni sono state 88.191 e i divorzi 54.160. Il fenomeno è in crescita costante: se nel 1995 c’erano 158 separazioni e 80 divorzi ogni 1000 matrimoni, ora si registrano 307 separazioni e 182 divorzi. Quasi il 70% delle separazioni e quasi il 60% dei divorzi coinvolge coppie con figli.
E qui arriviamo all’applicazione, quasi a tappeto, dell’affidamento condiviso: è stato previsto nell’89,8% delle separazioni e nel 73,8% dei divorzi.

I figli coinvolti nel fenomeno non sono pochi: si tratta complessivamente di 153.331 tra bambini, adolescenti e maggiorenni. Di questi, 88.972 sono minorenni e sono dunque stati affidati secondo il regime della legge 54 o, per casi ormai residuali, in affidamento esclusivo.

Fino al 2005, l’affidamento esclusivo dei figli minori alla madre è stata la situazione ampiamente prevalente. C’era una previsione di “calendari di visita” riservati ai padri, che si trovavano però estromessi dalla vita quotidiana dei piccoli nonché dalle decisioni che li riguardavano, dal momento che la potestà genitoriale spettava in modo esclusivo al genitore affidatario.

Con l’entrata in vigore della Legge 54/2006 l’ottica è stata ribaltata: secondo la nuova legge entrambi i genitori ex-coniugi conservano la potestà genitoriale e devono provvedere al sostentamento economico dei figli in misura proporzionale al reddito. E’ previsto un assegno al coniuge economicamente più debole (ma attualmente è concesso solo nel 20% dei casi), cumulabile a quello per i figli, che viene previsto nel 73% delle separazioni. Entrambi i tipi di contributo ammontano in media a poco più di 400 euro, 480 per i figli.

Se questo è il quadro formale, gli aspetti sostanziali legati alla corretta applicazione della legge 54 mostrano tutte le difficoltà culturali, organizzative, sociali, che essa ha incontrato in questi anni.

Una delle maggiori critiche alla legge riguarda la sostanziale “fatica” del sistema, della magistratura in particolare, ad abbracciare pienamente l’innovazione e a evitare di ripetere i vecchi schemi, come l’indicazione della madre “collocataria principale” e la stesura di un calendario minimo di visita che replica le vecchie dinamiche dell’affidamento esclusivo.

Secondo altri – e opposti - punti di vista, l’affidamento condiviso rischia invece di aumentare l’esasperazione dei rapporti e creerebbe un corto circuito nella gestione delle rispettive spese sostenute per i figli (il testo normativo infatti ha eliminato il riferimento a un assegno di mantenimento fisso).

In questi ultimi due anni è stato discusso al Senato un disegno di legge di riforma della legge 54, il ddl 957, ispirato al lavoro dell’associazione Crescere Insieme, presieduta dal professor Marino Maglietta, che è stato l’ispiratore dell’affido condiviso. Il testo era volto a dare maggior sostanza agli obiettivi dell’attuale norma, favorendo ad esempio la situazione di un doppio domicilio per i figli, per vivere la quotidianità con entrambi i genitori. Finita la Legislatura, l’iter della proposta si è interrotto e un nuovo testo dovrà essere ripresentato.

Tra questi molteplici chiaroscuri, l’affidamento condiviso resta oggi una grande opportunità, per i genitori, di dimostrare ai figli l’amore e il senso di responsabilità che li tiene legati, a prescindere dalla vicenda della separazione.


                                                                                               Benedetta Verrini

L’affido condiviso? E’ rimasto sulla carta. Quella grande rivoluzione, rappresentata dall’affermazione del principio di bigenitorialità come valore da difendere in tutti i casi di separazione, non è ancora riuscita a realizzare il cambiamento sperato. La prassi giurisprudenziale ha trovato gli escamotage per mantenere gran parte delle separazioni in una condizione da pre-riforma. Marino Maglietta, presidente dell’associazione Crescere Insieme, docente universitario e ispiratore della legge 54 del 2006, stila un severo bilancio dei primi anni di applicazione dell’affidamento condiviso.

«E’ stata adottata una - neanche troppo sottile - modifica lessicale», spiega. «Non si parla più di genitore affidatario ma di genitore collocatario. Si tratta ancora, in prevalenza, della madre, che trascorre con i figli la gran parte del tempo, resta nella casa familiare e si fa carico di tutte le decisioni e i compiti di cura. Con questa impostazione, va da sé che la stragrande maggioranza delle sentenze ripescano il vecchio diritto di visita del padre e dispongano un assegno di mantenimento per i figli, che nella ratio della legge doveva restare residuale ed esclusivamente perequativo».

Cosa è successo? «E’ successo che la magistratura si è opposta all’applicazione della legge», sottolinea Maglietta. «Un po’ per fattori culturali, un po’ per difficoltà a ribaltare prassi ormai consolidate, il sistema ha respinto la portata innovativa dell’affido condiviso. Certamente, per applicarlo nel modo giusto, garantendo il pieno coinvolgimento dei padri e delle madri nella vita dei figli, è necessario entrare in ciascun caso, approfondirlo, sforzarsi di sollevare gli occhi dai moduli pre-stampati che azzerano la specificità di ogni storia familiare».

Non a caso, osserva Maglietta, gli unici veri affidamenti condivisi i genitori sono costretti a pretenderli e a farseli da soli, con l’assistenza di mediatori. Ma quanta buona volontà, quanta fiducia reciproca, quanta consapevolezza e corretta informazione servono per arrivare a questo traguardo? In questo senso, il promotore dell’affidamento condiviso non è tenero nemmeno con la categoria degli avvocati che, a suo avviso, «non ha apprezzato il fatto che la legge 54 andasse a ridurre i contenziosi, disinnescando lo scenario vincitori-vinti».

«Per questo motivo, dopo aver a lungo monitorato la situazione, abbiamo ispirato la proposta di legge 957 in discussione in Senato, il cui iter è stato interrotto dalla fine della Legislatura. Continueremo a lavorare perché possa essere riproposta, e nel frattempo anche aggiornata», dice. «L’ipotesi legata alla riforma della legge 54 è quella di “riscriverne” alcuni passaggi in modo che la sua applicazione diventi assolutamente ineludibile».

L’idea di fondo è quella di ribadire la pariteticità delle responsabilità e dei doveri di cura dei genitori, «pariteticità che non significa una divisione al 50 per cento dei tempi», sottolinea Maglietta, chiarendo una volta per tutte un aspetto particolarmente dibattuto della proposta. E di fronte allo scalpore che ha suscitato l’idea del “doppio domicilio”, il professore ricorda che la bigenitorialità si sostanzia nella quotidianità con i figli, nella possibilità che “casa” sia l’appartamento del papà così come quello della mamma.

Il corollario di questa impostazione è il superamento di tutte le rigidità legate ai tempi di visita e all’assegno di mantenimento. «Se anche il padre è presente nella vita quotidiana dei ragazzi, non ha senso impostare un rigido calendario di visita e non ha senso dibattere sull’ammontare di un contributo fisso. Con il “vecchio” assegno, infatti, i padri liquidavano anche tutti gli obblighi di cura che finivano sulle spalle delle ex mogli. Ora la gran parte delle mamme sarebbe davvero sollevata di fronte alla possibilità di contare soprattutto sul tempo dei padri, più che sul loro denaro».

                                                                                             Benedetta Verrini

«Una nuova e doppia realtà è inevitabile per il figlio di una coppia che si separa, così come all’inizio sono da mettere in conto i capricci e i piccoli opportunismi di ogni giorno. Ciò che va invece curato da subito è la qualità della relazione, la sintonia tra ex coniugi su ruoli e compiti educativi». Lo sostiene con chiarezza Fulvio Scaparro, psicoterapeuta e fondatore dell’associazione milanese GeA, Genitori ancora, che da oltre 25 anni promuove la cultura della genitorialità oltre la separazione e il divorzio.

«E’ importante che questa dimensione continui attraverso la relazione tra madre e padre e non a livello individuale. Per un figlio di separati infatti il dolore più grande non è spostarsi da una casa all’altra ma passare attraverso messaggi contrastanti, spesso bellicosi senza contare che a volte il bambino stesso diventa messaggero di rabbie e ostilità».

Difficile però dialogare con equilibrio e coerenza sul terreno quasi sempre aspro di una separazione. «Ma passato il periodo della tempesta deve sopraggiungere la capacità di distinguere il fallimento matrimoniale dal progetto genitoriale. Anzi, lo stesso matrimonio non sarà stato vissuto invano se i figli potranno continuare a contare su mamme e papà capaci di crescerli in armonia.  Proprio nelle difficoltà i “buoni” genitori si dimostrano tali».

Per questo Scaparro invita i genitori che affrontano una separazione a farsi aiutare, avvalendosi dei servizi di mediazione familiare e ancora prima a formarsi. «Esistono corsi di preparazione sulla genitorialità, responsabilità comune e irreversibile, così irreversibile che andrebbe trasmessa chiaramente anche nei corsi pre-matrimoniali per ricordare sempre che si può smettere di essere coppia nella passione e negli affetti ma non si finisce mai di essere genitori».

                                                                                                   Paola Molteni

Nel dibattito su una possibile riforma della legge 54/2006 l’Aiaf - Associazione Italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori ha preso una posizione netta, già nel 2011, per ribadire che non vi sono reali necessità di modifica.

Quello che serve, piuttosto, per far decollare il principio di bigenitorialità, sarebbe «un’equa ripartizione dei compiti domestici e di cura dei figli, nel momento della convivenza come nella fase di separazione della coppia genitoriale; un più efficace intervento culturale sulle responsabilità familiari e genitoriali e un concreto sostegno alle famiglie; servono interventi di tipo psicologico e relazionale a sostegno della genitorialità, soprattutto nei casi di conflittualità tra i genitori, e una fattiva politica di ampliamento dei servizi sul territorio». Così aveva scritto, in un intervento lucido e appassionato, la compianta Milena Pini, che ha guidato per anni l’Aiaf e che è recentemente scomparsa.

In sintonia con il suo pensiero, gli avvocati aderenti all’associazione guardano con preoccupazione a interventi che possano irrigidire, o dettagliare all’estremo, i principi fissati dalla legge sull’affidamento condiviso.

«Il concetto della condivisione non può essere ridotto a una quasi “scientifica” separazione al 50% del tempo trascorso con padre e madre. E’ necessario elevarlo a un altro piano, quello educativo, rassicurando i bambini che la mamma e il papà sono coinvolti nella loro vita e sono d’accordo sulle scelte che li riguardano, dalla scuola agli sport, passando per l’educazione e gli orari», spiega Luisella Fanni, vicepresidente Aiaf.
«L’ipotesi di imporre un doppio domicilio, contenuta nell’ultima proposta di riforma della legge 54, mi pare davvero di difficile realizzazione, perché dipende dal livello di conflittualità della coppia ma anche dall’età e dalle abitudini dei figli. Non mi pare giusto che, soprattutto quando sono piccoli, abbiano confusione su dove devono stare e su quale sia la loro casa. Gradualmente potranno capire che dove c’è un genitore che li ama e si prende cura di loro, lì c’è una loro casa».

L’avvocato Fanni cita casi in cui gli ex coniugi sono riusciti a collaborare e a trovare soluzioni molto equilibrate, «ma serve un grande lavoro da parte degli avvocati per far capire, ad esempio, a certi padri che fanno mancare il loro sostegno economico, che i figli devono essere mantenuti; e a certe madri che i bambini non sono una proprietà e non esiste una competenza esclusiva nell’accudimento, in cui bisogna coinvolgere anche i padri, quelli che già lo facevano e quelli che devono imparare a farlo».

Nelle separazioni è passato il mito della vittoria a tutti i costi? «Per gli avvocati Aiaf sicuramente sì. Siamo consapevoli che la miglior vittoria, il più delle volte, è quella in cui si trova un punto di mediazione, in cui si fa capire - anche alla coppia più conflittuale - che i figli hanno il diritto di mantenere le relazioni con entrambi e con i loro familiari. Qui non ci sono vittorie o sconfitte, c’è solo l’importanza di rispettare i propri doveri, oltre a reclamare diritti».

La grande spinta culturale che serve alla legge 54 per poter decollare coinvolge l’intero sistema, avverte l’avvocatessa. Giudici, avvocati, ma anche mediatori e psicologi e tutte le competenze coinvolte nella separazione sono chiamati a consapevolizzare la coppia sui doveri nei confronti dei figli e sul senso profondo del continuare a essere genitori. «Dobbiamo chiederci cosa perdono quei bambini» dice, «e cosa possiamo fare per continuare a garantirglielo. E’ necessario altresì valutare quali erano le abitudini precedenti di quella famiglia e modellare il futuro dei bambini su di esse, chiamando i genitori a fare la loro parte perché, anche se non si è più mariti o mogli, si resta madri e padri per sempre».

                                                                                           Benedetta Verrini

Il diritto di un bambino di avere sempre accanto entrambi i genitori, anche dopo la loro separazione, resta sulla carta. Sì perché nonostante la Corte di Cassazione abbia stabilito che l’affido condiviso dei figli debba essere seguito di regola nei casi di separazione, l’istituto non viene effettivamente applicato.

Dati e considerazioni emergono da un recente convegno organizzato a Roma dal Centro studi sul diritto della famiglia e dei minori. In Italia il 49% delle coppie che si separano e il 33% di quelle che divorziano hanno almeno un figlio minore e le separazioni per cui è stato stabilito l’affidamento congiunto toccano l’89,8%. Disposizioni ben lontane della realtà però, come informa una ricerca del centro, secondo la quale per l’88% dei padri separati l’affido condiviso è inefficace (nel 92% dei casi il figlio viene affidato di fatto alla madre).

«E così il minore continua a trovarsi in mezzo a un genitore “collocatario” (di solito la madre) e a uno “marginalizzato” - commenta l’avvocato Matteo Santini, direttore del centro - squilibrio che secondo un nuovo disegno di legge si risolverebbe garantendo ai figli dei separati una doppia casa e un doppio domicilio». Ma non sempre duplicare case e organizzazione quotidiana significa garantire una reale condivisione.

Lo conferma Anna, 40 anni, mamma di due bambini di 13 e 9 anni, separata da più di un anno. «I nostri figli hanno la fortuna di poter contare su due case vicine, dividono la loro settimana tra me e il papà e stiamo attenti a non far mancare loro niente. Non riusciamo però a comunicare sulle loro emozioni e sui bisogni educativi e abbiamo mantenuto le abitudini di prima: io sono quella severa, con lui si divertono però non fanno mai i compiti! Con il risultato che, così “sdoppiati”, anche se mi sembrano sereni diventano sempre più insofferenti alle regole e opportunisti».

                                                                                                 Paola Molteni

L’affido condiviso? Il suo riconoscimento legislativo e la sua diffusione nella prassi delle separazioni italiane sono un fatto molto positivo, che ha consentito di riportare i padri sulla scena educativa e affettiva nella relazione con i figli. «Ma un coinvolgimento significativo non significa, necessariamente, una suddivisione al 50% di tutte le responsabilità organizzative e genitoriali. Ogni separazione è una storia a sé. Se l’affido condiviso deve trasformarsi in una lotta per avere tutto doppio, diventa una follia». Costanza Marzotto è psicologa, mediatrice familiare, direttore del Master biennale in Mediazione familiare e comunitaria all’Università Cattolica e membro dell’équipe del Servizio di Psicologia Clinica per la coppia e la famiglia che da anni ha istituito anche i Gruppi di parola per i figli dei genitori separati (www.unicatt.it/serviziocoppiafamiglia).
Rispetto alle dinamiche e alla riuscita dell’affido condiviso in Italia ha una visione estremamente lucida, che tiene conto anche del panorama internazionale in cui questa esperienza ha già una lunga e importante storia da raccontare.

Nell’ultima legislatura si è discusso di una proposta per incentivare ulteriormente l’affido condiviso, facendo sì che i figli dei separati abbiano davvero due domicili, due abitazioni, doppi luoghi degli interessi e degli affetti. Cosa ne pensa?

«Da un lato, penso che ci troviamo in una fase in cui l’esperienza dell’affido condiviso è ancora fortemente rivendicata, soprattutto dai padri, dunque si pretende il 50% di tutto per essere certi di essere coinvolti nella vita dei figli. Ed è vero che attualmente il genitore “collocatario” ha una posizione “dominante”, mentre l’altro, in una posizione più accessoria, finisce per diventare maggiormente rivendicativo soprattutto sul fronte economico, disposto per esempio a pagare solo per le spese sostenute quando il figlio è con lui. Ma questo non è il cuore del problema. E qual è, allora? Il problema è che i genitori devono essere aiutati a chiedersi quale fosse, durante il matrimonio, la loro delega di responsabilità genitoriale. Se un padre, per esempio, aveva già un ruolo periferico nella vita dei figli – e ciò avviene spesso, perché in Italia la struttura familiare vede ancora un genitore principale e uno accessorio – sarà molto difficile costruire “in laboratorio” un affido condiviso in cui all’improvviso diventa presente e condivide esattamente a metà ogni responsabilità educativa e familiare. Sappiamo che non è nemmeno questo che serve ai figli».

In che senso?

«Una recentissima ricerca anglosassone, condotta su un campione di 400 giovani adulti che hanno ripercorso la separazione dei genitori, ha fatto emergere il bisogno di un progetto il più possibile personalizzato, che tenga conto dell’età e dei bisogni del singolo bambino, basato più sulla qualità della relazione che sulla quantità. Facciamo un esempio: per la qualità della relazione, forse è più importante che un padre porti ogni settimana il proprio figlio a calcio o a nuoto, piuttosto che gli imponga di condividere, magari fin dalle prime settimane della separazione, una nuova casa in cui vive anche un nuovo partner magari con altri figli».

Dunque è meglio non imporre una divisione della vita familiare “con il bilancino”...

«Esattamente, soprattutto, lo ripeto, se prima della separazione il ruolo del padre era in qualche modo accessorio rispetto a quello della madre. Questo non significa escludere un genitore, ma incoraggiarlo e coinvolgerlo in una relazione davvero significativa. E’ quello che ci chiedono anche i ragazzi: vorrebbero percepire che il genitore collocatario incoraggia e sponsorizza il rapporto con l’altro genitore, invece accade spesso che gli incontri sono vissuti con estrema tensione e ansia di controllo».

Per questo si cercano strumenti giuridici per dare maggiore concretezza all’affido condiviso…

«Certo, abbiamo molte esperienze all’estero in questo senso: in Canada, per esempio, l’alternanza tra una casa e l’altra è una realtà. L’affido condiviso alternato, che impone al bambino di vivere a settimane alterne in due case diverse, è però al centro di un fortissimo ripensamento in Francia: sono stati i padri stessi a capire che il cambiamento continuo del setting alimentare, educativo, organizzativo era fonte di grande stress per i bambini e i ragazzi».

Allora, che fare?

«Accedere a una mediazione familiare precoce, avere un orientamento informativo preventivo per stabilire accordi significativi da proporre direttamente al giudice della separazione. In questi ultimi tempi ho visto funzionare molto bene una soluzione che prevede l’alternanza dei genitori nella casa familiare. E’ un’esperienza che prevede che entrambi abbiano una casa “di riserva”, magari quella dei nonni o di un nuovo partner, ma permette di lasciare invariate le abitudini dei bambini, di evitare la famosa “valigia in mano” e di introdurre i cambiamenti della separazione con estrema gradualità, condividendo davvero ogni situazione, spesa, difficoltà nella gestione domestica ed educativa».

                                                                                               Benedetta Verrini

Prendersi cura dei figli, seguire la loro crescita, decidere dove frequenteranno il liceo o da quale dentista possono andare. I papà di oggi vogliono essere presenti nelle vite dei loro bambini anche dopo un’eventuale separazione. La soluzione potrebbe essere l’affido congiunto. Che, però, nella pratica a volte funziona, altre no.

«Quando io ed Elena ci siamo lasciati, era terrorizzato al pensiero di non poter più a stare accanto a nostro figlio Marco», racconta Tiziano Buselli, 48 anni e un bambino di 8. «Ho ottenuto l’affido condiviso e ne sono entusiasta, perché passo parecchio tempo con Marco e mi sento un papà presente, attento». Secondo Tiziano, le piccole difficoltà pratiche si risolvono con il buon senso. «Per un bimbo può essere faticoso avere due case, dovere fare e disfare la valigia continuamente. Per questo io e la mia ex abbiamo diviso il guardaroba del piccolo tra i due appartamenti e abbiamo arredato le camerette con mobili simili, in modo che nostro figlio non si senta mai ospite in casa sua». Queste strategie hanno funzionato: il piccolo Marco è sereno. «Impegnarmi con la mia ex moglie per rendere più agile la vita del bambino ha migliorato anche il nostro rapporto, adesso siamo meno rancorosi e più complici nell’educazione del piccolo».

Non per tutti l’affido condiviso rappresenta la scelta migliore. «Sono felice di potermi ancora occupare di mia figlia», racconta Antonio Pesce, 42 anni e una bimba di 10. «Però ho l’impressione che l’affido congiunto stressi un po’ troppo la mia piccola, che si ritrova ad avere due vite autonome e separate, una con me e una con la mamma. Purtroppo spesso i ragazzi subiscono l’affido condiviso, che rischia di privarli delle sicurezze di cui hanno bisogno. Sono arrivato al punto di pensare che, forse, in caso di separazione, affidare il bambino a un solo genitore, senza naturalmente escludere l’altro dalla vita del piccolo, è il male minore».

«L’affido condiviso potrebbe essere una grande opportunità per le coppie con figli che si separano» sostiene Paolo Cavallaro, 50 anni e due figli adolescenti. «Purtroppo, però, sono pochi i genitori separati che riescono a crescere insieme i bambini senza scontrarsi di continuo». Le amare parole di Paolo sono il frutto della sua esperienza. «Io e la mia ex moglie credevamo che l’affido condiviso sarebbe stato perfetto per noi, invece ci ha creato molti problemi. Per esempio, io credo che la mia ex mi estrometta da parecchie scelte familiari, mentre lei mi accusa di screditarla davanti ai nostri figli, minando la sua autorità. Ed entrambi ci rendiamo conto che, purtroppo, nonostante i nostri sforzi i ragazzi si sentono spaesati e soffrono».

                                                                                                          Erika Di Francesco

Separarsi è doloroso per tutti. E, se ci sono anche dei figli, diventa faticoso e difficile continuare a fare i genitori, senza escludere la mamma o il papà dell'educazione dei bambini. Molte madri ritengono che la soluzione sia l'affido condiviso.

«Io e Patrizio siamo stati amici per parecchi anni prima di innamorarci, sposarci e diventare i genitori di Viola», racconta Chiara Autelli, 39 anni e una figlia di 12. «Ed è stato proprio l'affetto che ci ha sempre uniti a permetterci, una volta finito l'amore, di restare due genitori presenti e uniti». L'esperienza di Chiara è positiva: Viola vive un po' dalla mamma e un po' dal papà ed è una ragazzina sorridente, sicura di sé. «Con il mio ex ci siamo spartiti i compiti», continua Chiara, «per esempio, io ho scelto la scuola per la piccola, mentre lui l'ha portata dal suo dentista di fiducia per l'apparecchio. Siamo in armonia».

Anche Serena Di Fazio, 47 anni e un bambino di 12, è entusiasta dell'affido condiviso: «All'inizio non è stato facile, perché il nostro Mattia era disorientato dalla nuova vita divisa tra me e il mio ex. Ma sono bastati pochi mesi per ritrovare un po' di equilibrio. Ed è capitato che fosse proprio il nostro bambino a proporci semplici soluzioni ai problemi pratici. Per esempio, qualche mese fa ci ha chiesto di comprargli due copie dei libri scolastici, perché gli capitava spesso di dimenticarli a casa di uno o dell'altra».

Per Elena Masini, 50 e una figlia di dieci, invece, l'affido condiviso è molto, troppo stressante: «Purtroppo io e il mio ex abbiamo pessimi rapporti e non è facile educare la nostra Elisa insieme». Elena si sforza di essere una madre serena, ma quando la bambina è con il papà è sempre tesa, preoccupata. «Vorrei davvero che la piccola avesse un bel rapporto con suo padre e mi rendo conto che dovrei essere io per prima a parlare bene di lui con Elisa. Purtroppo, non sempre ci riesco». Secondo Elena, vivere in due case è troppo faticoso per la sua bimba. «Credo che sarebbe molto meglio se Elisa vivesse nella casa in cui abitavamo tutti insieme e fossimo io e il mio ex ad alternarci accanto a lei».

                                                                                                   Erika Di Francesco

Uno studio pubblicato su Children & Society, su 184.496 bambini in 36 Paesi occidentali (Italia inclusa) ha dimostrato che i bambini che vivono con entrambi i genitori biologici riportano i più alti livelli di soddisfazione di vita rispetto ai bambini che vivono con un genitore single o con un genitore biologico e uno acquisito 

In Italia, purtroppo, l'81,9 % dei figli, dopo il divorzio, hanno un solo genitore con cui trascorrono la loro quotidianità e (di solito si tratta della madre) e solo il 18,9% ha la fortuna di continuare a vedere regolarmente entrambi i genitori. Questo succede anche quando è stato deciso l’"affidamento condiviso”

In tal modo si disconosce l'importante principio di bigenitorialità cioè il fatto che un bambino ha un legittimo diritto a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori, qualunque sia la loro situazione di coppia.

Il pediatra Vittorio Vezzetti, autore del libro sulla giustizia minorile Nel nome dei figli, ha esaminato, raccolto, riassunto e integrato le più importanti ricerche scientifiche internazionali con validazione statistica relative all’importanza dell’affidamento condiviso.

Le conclusioni, pubblicate in un articolo pubblicato sulla Rivista Scientifica della Società di Pediatria Preventiva e Sociale, considerano gli effetti benefici della bigenitorialità «anche se questo comporta la soluzione del doppio domicilio per i figli di coppie separate».

Mentre  Piercarlo Salari, anch'esso pediatra prtesso il consultorio Familiare Milano e Componente SIPPS haor sottolineato che «La custodia condivisa migliora lo status psichico e fisico dei figli  come dimostrano i risultati congiunti di numerose e affidabili ricerche scientifiche, il coinvolgimento di entrambi i genitori nella crescita del figlio migliora lo sviluppo cognitivo, riduce i problemi di carattere psicologico, riduce l’insorgenza di problemi comportamentali nell’età adolescenziale».


                                                                                                                Orsola Vetri

Nessun commento:

Posta un commento