mercoledì 24 luglio 2013

Educazione al genere. Per tutti.




Nelle scuole, progetti mirati educano ragazze e ragazzi a“rompere gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini”. Il 12 giugno. sul sito www.ilfattoquotidiano.it, appariva l’articolo Educazione al genere, la mappa delle “buone pratiche” nelle scuole italiane (di Stefania Prati).
l’incipit suscita alcune riflessioni: "Nelle scuole italiane ci sono buone pratiche per educare gli studenti e le studentesse al“genere”. Con questo termine si intendono tutte le lezioni e gli incontri che cercano di rompere gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini. Questi stereotipi – secondo i quali, ad esempio, le donne sarebbero destinate a svolgere certe mansioni, come essere dedite alla cura dei figli, degli anziani e della casa, e gli uomini invece fatti per il lavoro che produce reddito e la carriera - sono contenuti anche nei libri di testo. Lo dimostrata Irene Biemmi, ricercatrice universitaria, che ha analizzato dieci manuali per le scuole primarie e ha condensato il suo lavoro nel libro “Educazione sessista, stereotipi di genere nei libri delle elementari”.
Davvero ottime iniziative. L’innalzamento del muro divisorio tra ruoli maschili e femminili rappresenta un passo indietro di secoli nella storia della civiltà.
Eppure accade ogni giorno, in ogni città, in ogni tribunale, e nessuno grida allo scandalo. All’uomo sposato viene benevolmente concesso di occuparsi dei figli, ma il messaggio subliminale contenuto in decenni di sentenze è “sia chiaro: in caso di separazione il tuo ruolo torna quello atavico del reperimento di risorse, educare i figli non è compito maschile”.
Allo stesso modo, alla donna sposata viene benevolmente concesso di cercare una realizzazione nel mondo del lavoro, ma il messaggio subliminale di centomila sentenze è “sia chiaro: in caso di separazione il tuo ruolo torna quello atavico di gestione della prole, l’autonomia non è privilegio femminile”.
La costrizione giudiziaria nel ruolo di fattrice e balia, un vincolo dal quale la donna ha impiegato secoli ad emanciparsi, eppure sembra che ancora oggi in Tribunale non se ne siano accorti.
È deciso che dei figli se ne debbano occupare le donne, punto. Al massimo lasciando qualche briciola agli uomini, ma decreti e sentenze non lasciano spazio ad interpretazioni: una larga prevalenza femminile nei compiti di cura della prole è inderogabile. Allo stesso modo è deciso che le risorse le procurino gli uomini, punto. Al massimo lasciando qualche contentino alle donne, ma la casistica consolidata negli anni dice che è inderogabile una larga prevalenza maschile nel reperimento di risorse.
Ovviamente vi sono delle eccezioni: donne che si disinteressano dell’autonomia lavorativa e uomini che si disinteressano dei figli; ma gli ostacoli vengono innalzati per tutte e tutti, anche per le madri che vorrebbero non dipendere dall’ex marito ed i padri che vorrebbero continuare ad occuparsi dei figli.
Il ruolo maschile stereotipato è quello di garantire il sostentamento della collettività, come quando usciva con la clava ad ammazzare la preda mentre la donna rimaneva nella grotta a cullare il pupo e controllare che il fuoco non si spegnesse. Come quando la donna andava al fiume a prendere l’acqua - ma sempre col pupo in braccio - e l’uomo difendeva i confini del clan dagli assalti di altri clan. Sembra una becera restaurazione dei confini di Genere: il tribunale stabilisce compiti femminili e compiti maschili, nessuno si azzardi a sconfinare. Chi prova a chiedere altro è conflittuale, non si piega alle regole del Sistema.
È lecito chiedersi come mai le numerose associazioni impegnate nella lunga serie di progetti in tutta Italia, abbiano dimenticato di riportare a scuola i magistrati. O perlomeno alcuni magistrati. Quelli cioè che si accaniscono nel prendere provvedimenti arcaici, dai quali trasuda quanto di più discriminatorio ed antifemminista possa esistere oggi in Italia.
Il riferimento è ad una larga parte di quei giudici che si occupano di separazioni e divorzi, terreno fertile per una discriminazione di Genere in atto da decenni ma che, curiosamente, nessuno nota. La casistica delle separazioni infatti, nonostante la riforma del 2006, continua a testimoniare un quadro deprimente per l’ottica femminile.
La prassi giurisprudenziale costruisce una discriminazione basata sul Genere e la cementa ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, perpetuando un percorso culturale diametralmente opposto a ciò che viene proposto nelle scuole come percorso di rieducazione: “stereotipi secondo i quali, ad esempio, le donne sarebbero destinate a svolgere certe mansioni, come essere dedite alla cura dei figli, degli anziani e della casa, e gli uomini invece fatti per il lavoro che produce reddito”.
Gli stessi stereotipi che devono essere distrutti nelle scuole poi tornano prepotentemente ad inquinare ogni minimo anfratto della Culla del Diritto.
Non si pronuncia l’UDI contro la genuflessione giudiziaria al paradigma di Genere? La divisione in compiti di Genere o è una discriminazione sempre o non lo è mai.
O è, o non è.
 
http://www.adiantum.it/public/3112-fas-e-la-convergenza-con-il-pensiero-femminista--possibile-un-percorso-comune--.asp

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