giovedì 3 gennaio 2013

Ai bambini servono entrambe le figure...

di Silvia Vegetti Finzi
in “Corriere della Sera” del 2 gennaio 2013







Da tempo la psicoanalisi ha perso la capacità di sollecitare la riflessione collettiva sulle strutture
profonde che reggono l'identità individuale e sociale e ciò proprio nel momento in cui si delineano
radicali trasformazioni. A rompere questo silenzio giunge quanto mai opportuno l'invito che Ernesto
Galli della Loggia rivolge agli psicoanalisti perché non temano di far sentire la loro opinione, anche
quando non è conforme al «mainstream delle idee dominanti».
Ormai le psicoanalisi sono tante e non parlano «con voce sola» ma, come storica e teorica del
campo psicoanalitico, farò riferimento a Freud, che non credo abbia esaurito il suo compito di
fondatore e di maestro. Poiché da oltre un secolo i suoi eredi raccolgono e interpretano, attraverso la
pratica dell'ascolto e della cura, i vissuti consapevoli e inconsapevoli della nostra società, mi sembra
doveroso interrogare un sapere che si fonda sull'Edipo, così come è stato tramandato dalla tragedia
di Sofocle. L'Edipo, che Freud definisce «architrave dell'inconscio», è il triangolo che connette
padre, madre e figlio. Entro le sue coordinate si svolgono i rapporti inconsci erotici e aggressivi,
animati dall'onnipotenza Principio di piacere, «voglio tutto subito», che coinvolgono i suoi vertici.
Per ogni nuovo nato il primo oggetto d'amore è la madre ma si tratta di un possesso sbarrato dal
divieto dell'incesto, la Legge non scritta di ogni società. Questa impossibilità è strutturante in
quanto mette ognuno di fronte alla sua insufficienza (si desidera solo ciò che non si ha) e alla
correlata impossibilità di colmare la mancanza originaria. Il figlio che vuole la madre tutta per sé
innesca automaticamente una rivalità nei confronti del padre, che pure ama e dal quale desidera
essere amato. La contesa, che si svolge nell'immaginario, termina per due motivi: per il timore della
castrazione, la minaccia di perdere il simbolo dell'Io, e per l'obiettivo riconoscimento della
insuperabile superiorità paterna. Non potendo competere col padre, il bambino s'identifica con lui e
sceglie come oggetto d'amore, non già la madre, ma la donna che le succederà. Attraverso questo
gioco delle parti, il figlio rinuncia all'onnipotenza infantile, prende il posto che gli compete nella
geometria della famiglia, assume una identità maschile e si orienta ad amare, a suo tempo, una
partner femminile. Tralascio qui il percorso delle bambine, troppo complesso per ridurlo a mera
specularità. Ma già quello maschile è sufficiente a mostrare come l'identità sessuale si affermi, non
in astratto, ma attraverso una «messa in situazione» dei ruoli e delle funzioni che impegna tanto la
psiche quanto il corpo dei suoi attori. Se, come sostiene Merleau Ponty, «noi non abbiamo un corpo
ma siamo il nostro corpo», non è irrilevante che esso sia maschile o femminile e che il figlio di una
coppia omosessuale non possa confrontarsi, nella definizione di sé, con il problema della differenza
sessuale. La psicoanalisi non è una morale e non formula né comandamenti né anatemi ma, in
quanto assume una logica non individuale ma relazionale, mi sembra particolarmente idonea a dar
voce a chi, non essendo ancora nato, potrà fruire soltanto dei diritti che noi vorremo concedergli.
Tra questi, credo, quello di crescere per quanto le circostanze della vita lo consentiranno, con una
mamma e un papà.

Fonte:
http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201301/130102vegettifinzi.pdf

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